Oggi, 24 novembre, usciamo da una giornata da incubo. Attraverso i mass media siamo stati bombardati, inseguiti, perseguitati, tormentati da messaggi all’insegna del «black friday», il venerdì nero dell’acquisto forsennato.
Importato, tanto per cambiare, dagli Stati Uniti, il «black friday» viene dopo il «thanksgiving day», il giorno del ringraziamento, osservato il quarto giovedì di novembre per ringraziare Dio del raccolto. Una festa, quest’ultima, che ha origine nel Seicento, quando i primi pionieri sentirono il bisogno di dire grazie a Dio per essere riusciti a sostentarsi (dietro consiglio dei nativi) con il granoturco e i tacchini. Di qui l’idea, che risale al presidente Kennedy, di concedere la «grazia presidenziale» a due tacchini, i quali, anziché finire in padella, vengono trasferiti in un ranch. Dove, almeno teoricamente, nessuno dovrebbe più minacciarli.
Da noi la faccenda dei tacchini e della grazia non è ancora arrivata (forse perché c’è un limite a tutto, o forse perché non si è ancora trovato il modo di sfruttarla a fini commerciali), però il «black friday», come Halloween, ha attraversato l’oceano a velocità supersonica ed eccoci puntualmente qui, tutti presi dalla smania di accaparrarci più roba possibile al minor prezzo possibile.
Essendo un bastian contrario, il sottoscritto, che normalmente ha le mani piuttosto bucate, nel «black friday» non fa acquisti nemmeno se minacciato con la pistola alla tempia. E quando poi, alla radio o alla televisione, lo sento nominare, cambio subito canale. Così come ad Halloween mi piacerebbe tanto giocare a pallone con le zucche, nel venerdì nero divento improvvisamente taccagno. Capisco che è una resistenza da niente, il gesto di un illuso, o forse di uno che si avvia a diventare un irrimediabile brontolone. Ma a me va di fare così.
Mi dà anche fastidio il fatto che per un giorno del genere sia stato scelto il venerdì. Nella tradizione cristiana il venerdì è il giorno della morte di Gesù. Come ogni domenica è una Pasqua, ogni venerdì è un venerdì santo. Ecco perché al venerdì si digiunava. Ecco perché, di venerdì, i misteri che si ricordano nel rosario sono quelli dolorosi, dall’incoronazione di spine alla morte di Gesù sulla croce. Per i musulmani il venerdì è il giorno della preghiera nella moschea. Per gli ebrei è il giorno che, dal tramonto, introduce nel sabato.
Proprio perché possiede questa speciale sacralità, un venerdì tutto consacrato al rito profano dell’acquisto compulsivo appare particolarmente blasfemo. Un oltraggio, a dirla tutta. O quanto meno un’insolenza e una mancanza di sensibilità, a voler essere magnanimi.
Direte: «Ma a chi vuoi che importi, ormai!». Non sono d’accordo. A me importa, ed è già qualcosa. E sono convinto che molti altri, anche se magari non lo dicono, provano fastidio e tristezza per questo vilipendio del venerdì che si aggiunge a tanti altri vilipendi.
Poi mi dà fastidio il nome, che è lugubre e c’entra ben poco, anzi nulla, con il clima del Natale al quale ci stiamo avvicinando. L’espressione «venerdì nero» sembra sia nata a Filadelfia, all’indomani di un «thanksgiving day», in un venerdì particolarmente caotico dal punto di vista del traffico. E va bene. Resta il fatto che è un nome funereo, in netta contraddizione con la luce richiamata dal Natale. E mi chiedo che bisogno ci sia, dopo tutto il buio e il funereo di Halloween, di introdurre altro nero.
Insomma, questo «black friday» proprio non mi va giù.
Qualcuno dirà: «Ma guarda che è stato calcolato che solo in Italia il giro d’affari complessivo è di un miliardo e mezzo di euro, e lo sai che c’è tanto bisogno di sostenere i consumi. Guarda che la spesa media pro capite è di circa 108 euro, la rete coinvolta è di duecentomila negozi e questa è manna per la nostra economia».
Ho capito, eppure non mi va giù. La vita non è fatta solo di prodotto interno lordo e di propensione al consumo. Il mio problema è di ordine, direi, simbolico, e i simboli sono importanti.
Ho letto che dopo il «black friday» c’è il «grey saturday», definita la giornata dei super sconti ma più sicuri. E poi ecco il «cyber monday», con offerte appetitose nel campo delle tecnologie.
Dico: a voi non sembra che stiamo perdendo la bussola? Avevamo la settimana santa, i primi venerdì del mese, il mercoledì delle ceneri, il martedì e il giovedì grasso, il carnevale. Adesso abbiamo il venerdì nero, il sabato grigio, il lunedì informatico, Halloween. Vedrete che presto avremo anche il «groundhog day», il giorno della marmotta, che al di là dell’Atlantico si celebra il 2 febbraio e consiste nel tenere d’occhio la tana di una marmotta: se l’animaletto esce e non vede la sua ombra perché il cielo è nuvoloso, l’inverno finirà presto; se esce e vede la sua ombra e si spaventa e torna nella tana, l’inverno durerà per altre sei settimane. O è il contrario? Non mi ricordo.
Ora, io ho molta simpatia per le marmotte, e quando vado in montagna le osservo volentieri e mi piace sentirle fischiare, però sinceramente non scambierei la nostra bella candelora («Quanno viè la Candelora da l’inverno sémo fóra, ma se piove o tira vènto ne l’inverno semo dentro»), che cade appunto il 2 febbraio, con questo strambo giorno dedicato al roditore.
Comunque, ragazzi, è già da un po’ che aspetto con ansia il «crib day». Che cos’è? L’ho inventato adesso: è il «giorno della culla». Ovvero il giorno in cui si fa il presepe. E me lo tengo stretto.
Aldo Maria Valli
[ad_2]
Source link