L’imbarcazione è affondata in un’area protetta e non è solo il carburante a minare la sua sicurezza. Ci sono anche lubrificanti, vernici, sostanze clorurate e amianto
fonte: web magazine Wired – ( autore Chiara Di Martino):
Costa Concordia, si teme l’emergenza ambientale: al dramma delle vittime e alla preoccupazione per i feriti, si aggiunge l’allarme per il paradiso terrestre che circonda il luogo in cui è affondata la nave da crociera, davanti all’isola del Giglio. L’isola fa parte infatti del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano e del Santuario dei Cetacei, area naturale marina protetta di interesse internazionale.
Nelle cisterne del “gigante del mare” naufragato venerdì ci sarebbero infatti poco meno di 2.400 tonnellate di carburante, quantità che evoca i danni causati dall’affondamento, nel 2007, della nave da crociera Sea Diamond a Santorini. In caso di sversamento dell’intero contenuto, secondo l’associazione Greenpeace la rovina sarebbe otto volte più grave della perdita del portacontainer greco Rena, incagliatosi a ottobre in Nuova Zelanda, che ha ucciso circa 20mila uccelli marini e inquinato decine di chilometri di costa.
La nave italiana, una delle più grandi della flotta Costa Crociere, venerdì ha cominciato a imbarcare acqua dopo aver urtato uno scoglio procurandosi uno squarcio di oltre 70 metri. Poi l’ordine del comandante – arrestato con l’accusa di abbandono della nave, omicidio colposo plurimo e disastro – di evacuare la nave, che dopo la mezzanotte si è adagiata su un fianco. Oltre al carburante, l’impatto ambientale del naufragio conta anche tonnellate di altre sostanze pericolose come lubrificanti, vernici, sostanze clorurate e amianto, nonché gli oggetti degli oltre 4000 passeggeri, alcuni dei quali particolarmente nocivi: basti pensare alle batterie di telefoni e fotocamere.
Greenpeace chiede un piano d’urgenza per lo svuotamento delle cisterne di carburante. “Potrebbe essere complicato se a causa delle basse temperature avesse assunto una consistenza semi-solida”, spiega Alessandro Giannì, Direttore delle Campagne di Greenpeace, “perciò lo svuotamento deve essere avviato immediatamente, prima che eventuali mareggiate infliggano danni strutturali al relitto, causando la dispersione del carburante”.
È d’accordo sull’urgenza anche Marco Marcelli, professore di Oceanografia biologica e Oceanografia applicata all’Università della Tuscia e di Ecologia marina e tutela delle risorse biologiche e naturali all’Accademia Navale di Livorno. “Prima si fa e meglio è”, spiega Marcelli: “Un buon risultato sarebbe riuscire a rimuovere il relitto entro la primavera. Ci sono due ordini di rischi: un primo, relativo al carburante, per il quale è stato predisposto già un piano d’intervento dal Ministero dell’Ambiente, il che però non impedirà a una parte degli oli di penetrare nella catena alimentare con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare. E poi c’è il danno all’ambiente marino: tanto per fare un esempio, l’ombra prodotta da una nave di quasi 300 metri per 35 ha grande influenza su specie che hanno bisogno di luce.
Secondo uno studio pubblicato da un gruppo di economisti su Nature, la Posidonia oceanica che qui vive è uno dei tre sistemi naturali con maggiore valore al mondo. Vanno valutati i concetti di “sensibilità ambientale” e di uso della zona di mare: balneazione, pesca, turismo. Un conto è dunque la messa in sicurezza, un conto è il danno al sistema per l’impatto sul fondale e la permanenza del relitto”. C’è il rischio che la struttura si sposti a causa del vento o delle correnti e procuri ulteriori danni? “Anche se la nave è molto grande e pesante, la forza del mare sa essere incredibile”, chiarisce l’oceanografo: “Gli effetti vanno contenuti, perché l’area è davvero molto ricca: oltre alla Posidonia, c’è un’altra specie protetta e di alto pregio, la pinna nobilis, caratteristica di questa zona. Ho fiducia nell’intervento delle istituzioni ma credo che sia urgente che passi la logica di interventi compensativi: l’Italia è già molto avanti nel “trapianto” di alcune specie marine come la Posidonia. È questo a mio avviso, insieme alla celerità di intervento, il modo migliore per limitare i danni”.
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