La propaganda mediatica in democrazia
Non sarà sfuggito a nessuno che il postulato democratico afferma che i media sono indipendenti, determinati a scoprire la verità e a farla conoscere ; e non che essi passano la maggior parte del tempo a dare l’immagine di un mondo tale che i potenti desiderano che noi ci rappresentiamo, che sono in una posizione d’imporre la trama dei discorsi, di decidere ciò che il buon popolo ha il diritto di vedere, di sentire o di pensare, e di “gestire” l’opinione a colpi di campagne di propaganda. – Noam Chomsky Edward Herman – “La fabbricazione del consenso”
Intorno alla metà di novembre, a seguito della disfatta di Hillary Clinton (cioè all’inizio della fine della democrazia), i sedicenti Guardiani della Realtà, meglio conosciuti con il nome di “media” gestiti dal mondo degli affari, hanno lanciato una campagna mondiale di marketing contro il malefico e perfido flagello delle “fake news”. Questa campagna ha attualmente raggiunto lo stadio di isteria. I media dell’insieme dell’Impero diffondono quotidianamente degli avvertimenti terrificanti sulla minaccia imminente ed esistenziale contro le nostre libertà, la minaccia delle “post verità” .
Ciò non riguarda solo la diffusione di disinformazione, di propaganda, ecc., che dura da migliaia di anni… La Verità in sé è sotto attacco. Le basi stesse della Realtà tremano.
Chi c’è dietro questa minaccia di “fake news “? Certamente Putin, naturalmente, ma non soltanto Putin. Questo sembra essere il lavoro di una vasta cospirazione di tipi virulenti anti-establishment, di estremisti di destra, di estremisti di sinistra, di pensionati libertari, di socialisti da salotto, di Sandersnisti, di Corbynisti, di terroristi ontologici, di apologeti del fascismo, di giovani ragazzi emarginati anti- globalisti maleducati, e di tutta una varietà di persone che odiano la Clinton.
Fortunatamente per noi, i media aziendali sono impegnati a fondo sulle tracce di questa banda di scellerati. Come indubbiamente saprete, il Washington Post ha recentemente pubblicato un articolo sensazionale di giornalismo investigativo, di livello Pulitzer, che diffama spudoratamente centinaia di pubblicazioni alternative (come quella che state leggendo) trattandole di “venditori ambulanti della propaganda russa.” L’articolo, un classico lavoro diffamatorio in pieno stile McCarthysta, scritto da Craig Timberg, si basa su asserzioni infondate e paranoiche fatte da coloro che Timberg qualifica, senza ironia, come “due gruppi di ricercatori indipendenti”: il The Foreign Policy Research Institute, un gruppo di osservanza anticomunista di basso livello, ed un sito anonimo, Propornot.com, di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima della sua comparsa improvvisa su Internet nell’agosto scorso, e che, sulla base del contenuto dei suoi tweets ed e- mails, sembra essere gestito da Beavis e Butthead.
Il Washington Post si è buscato alcune palle roventi per aver preso questa coraggiosa posizione “pro-Verità” contro le forze putiniste della confusione e della disinformazione. Una ridda di pubblicazioni pericolosamente estremiste, come CounterPunch, The Intercept, Rolling Stone, The Nation, The New Yorker, la rivista Fortune, Bloomberg e US News & World Report, hanno fustigato il Washington Post per le sue pratiche giornalistiche “pasticciate”, “discutibili” o di basso livello. Il Post naturalmente sostiene il suo pupillo e si rifiuta di scusarsi per aver difeso la democrazia, come ha fatto per tutto il percorso della sua storia, quando ha denigrato Gary Webb in rappresaglia per aver rivelato la connessione CIA-Contras, più o meno distruggendo la sua carriera di giornalista, o quando ha apertamente sostenuto Hillary Clinton durante la sua terribile campagna, pubblicando com’è noto sedici articoli negativi su Sanders in sedici ore, o quando ancora ha pubblicato un certo articolo su come la Clinton avrebbe potuto essere stata avvelenata da agenti segreti di Putin… e questi non sono altro che alcuni degli articoli più noti.
Ma non voglio ridurre la mia lucidità col Washington Post, o con il suo caporedattore, Marty Baron, che è chiaramente un prototipo dell’etica giornalistica. Anche il resto dei media aziendali hanno impietosamente montato il trambusto delle “fake news”, l’isteria della “propaganda di Putin” e della “normalizzazione del fascismo”, picchiando come matti sul tamburo del momento «post-verità». Il Guardian, il New York Times e gli altri, la radio pubblica, i
socialnetworks, il coro dei media rimbalzano il messaggio in una perfetta sincronia. Quindi cosa sta succedendo veramente?
Come ho già suggerito prima, ciò che stiamo vivendo è la patologizzazione (o “l’anormalizzazione”) del dissenso politico, cioè la stigmatizzazione sistematica di tutte le forme di non rispetto del consenso neoliberista. Le distinzioni politiche come “sinistra” e “destra” scompaiono e vengono sostituite da distinzioni imponderabili come “normali” e “anormali”, “vere” e “false”, “reali” e “inventate”. Tali distinzioni non si prestano all’argomentazione. Ci vengono offerte come delle verità assiomatiche, dei fatti empirici che nessuna persona normale si sognerebbe mai di contraddire.
Al posto di filosofie politiche concorrenti, l’intellighenzia neo-liberista offre invece una scelta semplice, “normale” o “anormale”. Il concetto di “anormale” varia a seconda di chi o cosa viene stigmatizzato. Oggi, è “Corbyn l’anti-semita”, domani, sarà “Sanders, lo sporco razzista”, o “Trump il candidato manchuriano” , o qualunque altra cosa. Che la diffamazione stessa sia indiscriminata (e, in molti casi, completamente ridicola) favorisce l’efficacia di una strategia su larga scala, che è semplicemente di “anormalizzare” l’obbiettivo e ciò che esso rappresenta. Non fa alcuna differenza che si venga trattati di razzista, come Sanders lo è stato durante le primarie, o di antisemita, come lo è stato Corbyn, o di fascista, come Trump lo è stato costantemente, o di mercante di propaganda russa, come Truthout, CounterPunch, Naked Capitalism e un certo numero di altre pubblicazioni lo sono state… Il messaggio che passa è che sono in qualche modo “non normali”.
Perché è diversa dall’impiego spudorato, da parte della stampa, la diffamazione che essa esercita fin dalla sua invenzione? Beh, aspettate ,ché ve lo dirò. È soprattutto una questione di parole, in particolare di opposizioni binarie come “reale” e “falso”, “normale” e “anormale”, che sono, ovviamente, essenzialmente prive di significato… essendo il loro valore puramente tattico. Cioè, non significano niente. Sono delle armi dispiegate da un gruppo dominante per imporre la realtà del consenso. Ecco come vengono utilizzate in questo momento.
Le opposizioni binarie senza significato che l’intellighenzia neo-liberista e i media corporativi utilizzano per soppiantare le filosofie politiche tradizionalmente contrarie − oltre a stigmatizzare una diversità delle fonti di informazioni e di idee non conformi − ristrutturano anche la nostra realtà del consenso come territorio concettuale nel quale ogni persona pensante, scrivente o parlante di fuori dal mainstream è considerato come una sorta di “deviante”, o di “estremista”, o qualsiasi altra forma di reietto sociale. Ancora una volta, poco importa la devianza, poiché è l’uso della parola “devianza” che è importante.
Di fatti, è il contrario della devianza che risulta importante. Perché è così che viene fabbricata la “normalità”. Ed è così che la realtà del consenso nel suo insieme viene realizzata… ed così che il processo di costruzione viene nascosto. Scusatemi di suonarvela alla Baudrillard, ma è in questo modo che funziona il trucco.
L’attuale ossessione dei media di fronte alle “fake news” nasconde il fatto che non esiste la “vera notizia” e produce simultaneamente delle “vere notizie”, o piuttosto la loro apparenza. Questo si realizza attraverso la modalità dell’opposizione binaria (cioè, se delle “false notizie” esistono… allora, ipso facto, esistono le “notizie vere”). Allo stesso modo, l’accento posto sul “non normalizzare Trump” nasconde il fatto che non c’è nessuna “normalità” e simultaneamente concretizza una “normalità”… che non può essere che una sola in apparenza.
Allo stesso modo, la stigmatizzazione di Trump come un moderno Hitler o Mussolini, o qualsiasi altro tipo di dittatore fascista, nasconde il fatto che gli Stati Uniti siano già virtualmente un sistema a partito unico, con la proprietà concentrata e il controllo dei mezzi di comunicazione, una forza di polizia militarizzata ed onnipresente, un’applicazione arbitraria dello Stato di Diritto, il mantenimento di uno stato di guerra più o meno permanente e molte altre caratteristiche standard dei sistemi di governo autoritario. In più, questa proiezione di “fascismo” evoca, o produce, il suo contrario, “la democrazia”… o una parodia della democrazia.
Questa parodia neo-liberista di democrazia, di normalità e di realtà, è quello che i media aziendali e tutta l’intellighenzia neo-liberale, cercano disperatamente di consolidare in questo momento, perché hanno preso un gran batosta con questo pasticcio elettorale. Trump non avrebbe dovuto vincere. Era previsto fosse un altro uomo di paglia hitleriano da cui i neo-liberal potevano salvarci tutti, ma poi, beh guardate cosa è successo. Il problema per le classi dirigenti neo-liberal, i grandi media mainstream e i liberisti in generale, avendo puntato tutto sull’immagine di Trump/Hitler, è che invece ora sono costretti pur tuttavia a continuare, cosa che diventerà sempre più strana quando Trump si rivelerà non essere Hitler, ma soltanto un altro plutocrate repubblicano, seppur con nessuna esperienza di governo e assistito da alcuni cattivi giornalai certificati. Sono sicuro che Trump vorrà aiutarli, (i suoi “nemici” neo-liberisti), con alcuni tweets razzisti o eventualmente misogini, poiché avrà bisogno di mantenere la sua nicchia di “classe operaia bianca”, almeno fino al lancio della sua “guerra contro l’islam”.
Qualunque cosa accada, possiamo tutti aspettarci una seria patologizzazione del dissenso nel corso dei prossimi quattro anni (o anche otto). E non mi riferisco a Trump e ai suoi cattivi ragazzi, anche se sono certo che non tarderanno su questo punto. Mi riferisco ai nostri amici nei media aziendali, come Marty Baron e la sua macchina di diffamazione, ai Guardiani della Realtà del New York Times, del Guardian e di altri “giornali di buonacreanza”. WNYC già trasmette un programma quotidiano: “discesa verso il fascismo”. E naturalmente, la sinistra neoliberal, Mother Jones, The Nation, e anche The New York Review of Books, ecc. (semplicemente non ce la fanno più a smettere su questa storia di Hitler), controlleranno ogni pensiero per garantire che il fascismo non si normalizzi… Cosa che, grazie a Dio, non dovrebbe mai accadere. Chissà come potrebbe finire l’America? A torturare gente? Ad attaccare altri paesi che non costituiscono alcuna minaccia? Ad imprigionare persone a tempo indeterminato nei campi? Ad uccidere chiunque considerato dal Presidente come un “terrorista” o un “combattente nemico” con la tacita approvazione della maggioranza degli Americani? A monitorare le chiamate telefoniche di tutti, le e-mails, i tweets e le abitudini di lettura e di navigazione sul Web?
Immaginate l’illusione in cui vivremo tutti… se delle cose così fossero considerate come “normali”.
Counterpunch