Crisi della Chiesa / Fra testimonianza e protesta

Cari amici di Duc in altumdopo il mio articolo Vive la Résistance!, nel quale affrontavo la questione relativa a come reagire alla crisi della fede e della Chiesa, e dopo il successivo contributo di don Alberto Strumia, oggi ecco un intervento dell’amico Andrea Mondinelli, al quale fa seguito la replica di don Alberto.

A.M.V.

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La testimonianza è già protesta

Caro Aldo, ho letto con interesse la riflessione di don Alberto Strumia. Vorrei commentare la sua quarta posizione, relativa alla testimonianza opposta alla protesta. Tutto sta ad intendersi sul significato di protesta.

Protestare deriva dal latino tardo protestari, che significa “attestare, dichiarare pubblicamente”. Tra i significati di testimoniare ve n’è uno molto simile:  “attestare o affermare come testimone, per propria diretta conoscenza”. Se ne deduce che già la testimonianza è una protesta e che così sarà intesa dalla tirannia: infatti i martiri (testimoni) venivano messi a morte.

Facciamo un esempio pratico. Don Alberto riceve in confessionale una persona divorziata risposata sessualmente attiva con il suo partner. Ella pretende l’assoluzione perché si trova nella situazione descritta dalla lettera dei vescovi argentini che ammettono che a coloro che si trovano in questa situazione può essere data l’assoluzione e la comunione sacramentale, anche quando non “non riescano a mantenere il proposito” di vivere tra loro in continenza sessuale. Lettera  approvata dal papa, che la utilizza come unica vera interpretazione di Amoris laetitia: “El escrito es muy bueno y explícita cabalmente el sentido del capítulo VIII de Amoris laetitia. No hay otras interpretaciones. Y estoy seguro de que hará mucho bien”. Questa lettera ai vescovi di Buenos Aires è stata poi pubblicata negli Acta Apostolicae Sedis dell’ottobre 2016, con una nota in cui si spiega che papa Francesco ha ordinato la sua pubblicazione come atto di magistero autentico. Questa nota non afferma che le dichiarazioni dell’Amoris laetitia o quelle dei vescovi di Buenos Aires fanno parte del magistero autentico: asserisce con autorità magisteriale che l’interpretazione dei vescovi di Buenos Aires di quanto papa Francesco voleva dire nell’Amoris laetitia è corretta.

Se, come penso, don Alberto non desse l’assoluzione si porrebbe immediatamente nella posizione sia di testimone della legge divina, sia di colui che protesta contro un arbitrio del papa.

Intendo dire che la differenza tra la posizione tre e la posizione quattro è molto sfumata, sempre che esista.

Andrea Mondinelli

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Si può testimoniare senza per forza protestare

Caro dottor Valli, sono d’accordo con il lettore Andrea Mondinelli sul fatto che, a tavolino, dal punto di vista dell’etimologia delle parole e delle loro diverse sfumature i significati dei termini “protesta” e “testimonianza” possono essere intesi anche, ma non necessariamente, come equivalenti: “pro-testare”, ovvero “testare pro” significa “testimoniare a favore” secondo l’etimo latino.

In pratica, però, e non a tavolino, la gente normalmente intende la protesta come un atteggiamento ribelle, rivendicativo, che pretende qualcosa, e non di rado aggressivo e irrispettoso nei confronti dell’interlocutore o della controparte. Quante volte nelle proteste, specie se di massa, volano insulti e minacce. Mentre con il termine “testimonianza” si intende una presa di posizione che si mantiene ferma senza essere per forza aggressiva nei confronti dell’autorità alla quale è rivolta, ma anzi, con rispetto per la veste istituzionale dell’autorità stessa, avendole motivato la posizione assunta, accetta di pagarne in prima persona le conseguenze (come nel caso dei martiri), subendo anche gli eventuali abusi dei potere dell’autorità alla quale è istituzionalmente sottoposta. Chi protesta nel senso appena detto, invece, vorrebbe far pagare all’interlocutore le conseguenze della sua azione rivendicativa.

L’esempio del quarto punto del mio intervento si riferisce, in particolare, a quei sacerdoti che non intendono ribellarsi all’autorità istituita da Cristo del papa e dei vescovi, rischiando di rompere la comunione con loro mettendosi così essi stessi al di fuori della Chiesa, ma danno loro la testimonianza di una presa di posizione che non può accettare di rendersi connivente, nella patica pastorale, con una disposizione, o un’interpretazione di un documento, che contraddice manifestamente l’insegnamento del Vangelo e la tradizione bimillenaria della Chiesa. Una simile testimonianza è ben diversa dalla protesta di chi va a battere i pugni sul tavolo e assume toni irrispettosi di ribellione e disconoscimento dell’autorità. L’autorità, nella Chiesa, anche se sbaglia rimane autorità istituita da Cristo e con la pazienza della testimonianza si può e si deve cercare di aiutarla a correggersi, accompagnandola con la preghiera perché sappia esercitare nella fedeltà a Cristo, che l’ha voluta, il suo gravoso compito.

Inoltre la testimonianza dei più forti può essere di incoraggiamento per i più timorosi e facili a cedere ad adeguarsi per non andare incontro a problemi. Ci sono, grazie a Dio, anche dei superiori che hanno stima di coloro che hanno il coraggio di testimoniare la fedeltà alla dottrina di sempre e accettano anche delle prese di posizione che personalmente non condividono, ma che sono in linea con la tradizione della Chiesa.

Questo il senso del mio quarto punto. E per un sacerdote non è cosa di poco conto, su cui disquisire al tavolino di un salotto di laici cattolici eruditi. Bisogna essere sul campo per rendersene conto…

Vorrei terminare qui per non rischiare di giocare a un ping pong che potrebbe essere senza fine, più accademico che cristiano, e poco utile ai giocatori stessi.

Grazie dell’opportunità di essermi ulteriormente spiegato.

don Alberto Strumia

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