Crisi economica: facciamo parlare i fatti!

Secondo me, per quando ne capisco e ho letto, la crisi attuale è dovuta all’euro che non funziona, unica moneta non coniata in uno stato sovrano ma in una entità che non ha ancora un’identità precisa e una uniformità di vedute, non ha neanche una costituzione… e allora l’economia non guidata  e la globalizzazione vanno da se incontrollate e prevalgono l’avidità e le speculazioni finanziarie, invece la differenza la dovrebbe fare l’uomo e il bene comune.

Ma in questa europa di diritti l’uomo ha poco spazio, non si sa i diritti e le libertà verso chi esercitarli, non avendo chiara cognizione dell’uomo, ma punti di vista, e un punto di vista si può sacrificare..l’economia no, per questo i burocrati della BCE preferiscono un’euro forte anche se comporta l’impoverimento progressivo dei più deboli. Poi c’è anche la globalizzazione che di per se è positiva ma rischia, se non guidata e controllata con un modo di operare etico, di essere un mostro.

Gli effetti li stiamo vedendo, si sta passando dalla globalizzazione delle economie a quelle delle armi (aggressione in Libia, nuovo atteggiamento aggressivo della Turchia, effetti della carestia in Somalia moltiplicati) .

Mi pare sempre più che nel mondo reale non si facciano parlare i fatti, che di per sè spiegherebbero da soli molte cose, perciò li mistificano, li stravolgono, ne creano altri negli studi televisivi, vi propongo un articolo che ho trovato interessante, onesto:

L’Italia come la Grecia? Verrebbe da dire: siamo seri. Se non fosse che questo tipo di allarme viene più o meno esplicitamente propagato dai massimi leader europei, che a loro volta parlano spesso per motivi tutti politici. Cioè da coloro che dovrebbero esercitare il massimo della responsabilità. Qualche giorno fa Angela Merkel ha parlato di “fragilità” della Grecia e dell’Italia, stabilendo una pericolosissima equazione. Ma la sindrome greca dilaga anche da noi: dalla Confindustria (“Il Paese è in pericolo”, Emma Marcegaglia) ai politici, quelli della sinistra in prima fila, ma anche qualcuno della maggioranza. “Rischiamo la fine della Grecia” è il refrain di queste ore.

Ma stiamo impazzendo? Per una volta il mondo della finanza, spesso così cinico, ragiona con più raziocinio. In un report rilasciato martedì da Credit Suisse l’équipe di analisti paragona innanzi tutto il problema della competitività italiana a quello greco, ma anche a quello portoghese. Con questi risultati: “Con un disavanzo delle partite correnti del 3,9% del Pil, la perdita di competitività appare nettamente inferiore a Grecia e Portogallo, dove il disavanzo è di 9,6% e 8,9% del Pil”. Inferiore: siamo ad un terzo.

Credit Suisse si sofferma anche sul debito sovrano: “L’Italia ha una scadenza media di 7,2 anni e circa la metà di questo è di proprietà di investitori nazionali”. Ciò significa, spiegano gli analisti, “che ogni aumento dell’1% nel rendimento dei titoli dopo un anno aggiunge solo lo 0,4% del Pil per i costi di finanziamento”. Ma soprattutto, sostengono, l’Italia è stata disponibile ad adottare alcune misure fiscali dolorose, con un nuovo pacchetto di austerità di 60 miliardi di euro (3,8% del Pil) tra il 2011 e il 2013.

Quindi, concludono al CS, “riteniamo che il rischio di default del prezzato nel mercato dei Cds è troppo alto”. Traduciamo per i non addetti: i Credit default swap (Cds), questi strumenti che dovrebbero appunto assicurare gli operatori finanziari sul rischio di un paese, ed invece sono divenuti l’ennesima diavoleria speculativa, con il loro mercato e i loro guadagni, sono giunti per l’Italia ad un livello abnorme. (…)

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