In Siria il quadro di ciò che accadrà è già ben definito, ma diversi “mediacenter” continuano a fare una guerra parallela. Quella della cattiva informazione.
Patrizio Ricci – Il Sussidiario
La fine della guerra al sud della Siria è coincisa con il summit a Sochi (Russia) dove Russia, Turchia ed Iran, insieme ad opposizione e governo siriano, si sono incontrati per proseguire nella road map per la soluzione del conflitto: nei colloqui — che si sono protratti per due giorni — si è discusso sulla situazione nel sud del paese, la cui liberazione, completata il 31 luglio, è stata resa possibile grazie al superamento dei timori israeliani per presenza iraniana in Siria. Per superare l’intransigenza di Israele, la Russia ha dato fondo a tutta la sua influenza nei confronti di Teheran; ha offerto cospicui vantaggi economici (si è impegnata ad investire ben 50 miliardi di dollari nel settore petrolifero e del gas iraniano, una vera manna per un paese sotto sanzioni); è riuscita inoltre a ripristinare le forze dell’Onu sul Golan e monitorerà direttamentecon proprie forze le frontiere di Israele.
Altri argomenti affrontati a Sochi sono stati la situazione umanitaria, la problematica della restituzione reciproca dei detenuti e il rientro degli sfollati. In proposito, è di rilievo che se anche la situazione umanitaria è ben lontana dall’essere normalizzata, ci sono passi per un graduale coinvolgimento dei paesi europei e in primis della Francia, che da un anno ha contatti discreti con il governo siriano attraverso il Libano.
In questo senso, pur se sono stati continui gli inviti della Russia verso la comunità internazionale affinché sostenga la ricostruzione della disastrata economia siriana, ben poco finora si è visto all’infuori dell’opera fornita dalle agenzie internazionali umanitarie: all’appello fino a questo momento hanno risposto concretamente solo la Cina, la Russia e l’Iran.
Passi avanti sono stati fatti invece verso il rilascio dei prigionieri e sul rientro degli sfollati. Su quest’ultimo argomento, decisivo è stato l’incontro di Helsinki tra Trump e Putin, in cui l’amministrazione Usa ha accettato di collaborare per favorirne il rientro. In quell’occasione, il presidente Trump ha riconosciuto che la quasi totalità dei profughi esterni può tornare tranquillamente, dato che sono da considerarsi perseguitati politici solo circa 5mila persone, ovvero un’esigua minoranza sul numero complessivo dei rifugiati.
Naturalmente, mentre sui suddetti argomenti è stato possibile individuare convergenze e fare passi avanti, più difficile è stato trovare un accordo sulla provincia di Idlib occupata da una pluralità di milizie, tra cui primeggia il gruppo qaedista Tharir al-Sham. In proposito, il rappresentante siriano Bashar al-Jaafari ha detto chiaramente che lo status di quel territorio come area di de- escalation sarà rimosso e, se necessario, l’esercito siriano procederà alla sua riconquista armata.
L’annuncio non sorprende: tutti gli analisti sapevano che la riconquista di Idlib sarebbe stata questione di tempo. In fondo la soluzione di inserire Idlib nelle aree di de-escalation era solo una soluzione momentanea per dar tempo alla Turchia di estromettere dall’area di sua pertinenza i terroristi, ma Ankara non lo ha fatto: non è riuscita ad impedire che avvenisse la fusione tra i gruppi islamici più radicali (tra cui Ahrar al-Sham e Nour al-Zinki) con il “moderato” Esercito Siriano Libero (Esl).
E’ per questo che in assenza di sviluppi positivi, procrastinare ulteriormente il ristabilimento della piena sovranità sul territorio permetterebbe solo alle milizie estremiste di rafforzarsi ulteriormente e perpetuare gli attentati e degli attacchi che avvengono sistematicamente.
Perciò il presidente turco Erdogan ha accettato che la riconquista avvenga, pur se ha rivelato di aver chiesto a Putin di “affrontare qualsiasi possibile attacco alla città di Idlib nell’ambito dell’accordo di riduzione dell’escalation”, ovvero ha chiesto che Idlib sia tenuta sotto il controllo di un “esercito” addestrato dalla Turchia che si fonderà con l’esercito siriano in futuro, all’avvio di una transizione politica. Ciò significa che anche se non tutte le forze dell’Esl si schiereranno con l’esercito siriano, è probabile che almeno una parte delle milizie filo-turche dell’Esl sosterranno le forze governative siriane.
In tal senso si direbbe che la lotta interna sia già iniziata: è da qualche tempo che sono in corso “misteriosi” omicidi mirati contro i vertici delle varie organizzazioni terroristiche e attentati contro istituzioni chiave ad Idlib. Ankara è consapevole che se favorirà l’offensiva dell’esercito siriano, potrà forse patteggiare una sorta di influenza sulle zone di Afrin, Azaz e Jaralabus, ora controllate direttamente dalle milizie filo-turche.
Alla luce di tutto questo, giacché per sommi capi gli accordi già ci sono ed il quadro di ciò che accadrà è già ben definito, ora ci si aspetterebbe che la campagna mediatica che ha affiancato con tutte le sue menzogne e manipolazioni la guerra siriana, cessasse. Ma ciò non sta avvenendo.
Invece, si notano nuove “produzioni” dei vari mediacenter attivi in questi anni come quinta colonna: in Italia una serie di trasmissioni Rai hanno tentato di rilanciare la retorica rivoluzionaria con i suoi falsi miti tramite le consuete strumentalizzazioni; Bana, la bambina che a sette anni scriveva perfettamente inglese e che mandava i suoi tweet è riapparsa tramite i suoi cloni alias Hala, Yara e Lana, le tre bambine gemelle di sei anni che da località diverse si sono messe contemporaneamente a scrivere in varie lingue su twitter invocando la salvezza di Idlib. Ciò accade mentre gli “Elmetti bianchi” (il mediacenter della Cia in Siria) sono riapparsi magicamente ad Afrinpronti ad inscenare nuovi attacchi chimici.
La domanda è allora d’obbligo: se i giostrai hanno cessato le loro attività, perché non lo fanno anche i burattinai!?
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