Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza… per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto, che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto
L’inizio della discussione parlamentare sul ddl Cirinnà è il punto di arrivo della tragica campagna di guerra guidata dalla cecità morale, culturale e intellettuale di una intera classe politica che, senza scrupoli e senza lume di ragione, sta portando la nostra società verso le sabbie mobili dove altri sono stati inghiottiti già da tempo.
Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza.
Infatti quando un nemico ben equipaggiato e mediaticamente assistito si è fatto sotto sotto le mura, per vero già indebolite della cittadella, ma avrebbe potuto essere debellato ai primi colpi di mano, la confusione delle idee, il fumo delle parole e la paura di pensare contro la marea delle opinioni telecomandate, hanno quasi annullato sul nascere ogni resistenza.
E ora, giunti ad un punto ormai cruciale di questa storia desolante, l’unica possibilità di difesa ancora rimasta sta tutta nel capire quali siano le armi usate da questo nemico e quali gli errori degli assediati sui quali esso continua a prosperare. Occorre dunque riordinare i tasselli che vanno a comporre l’intero quadro di insieme.
Anzitutto bisogna rendersi conto, senza margine di dubbio, che un qualunque riconoscimento giuridico, in qualunque misura esso avvenga, della convivenze more uxorio tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso (ma queste ultime sono state solo utilizzate come apripista per rendere all’inizio meno ostiche le prime), è il passo decisivo e definitivo per la resa senza condizioni a quel nemico e alle mostruosità che esso già va apparecchiando fra una indifferenza abbastanza diffusa. Il resto viene di conseguenza.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che una pretesa di legalizzazione, volta cioè ad ottenere una qualche tutela giuridica, per essere plausibile debba fare riferimento ad una realtà meritevole di quella tutela, cioè portatrice di un valore di interesse generale e a nessuno verrebbe in mente di invocare uno speciale statuto per un rapporto perché segnato da forte attrazione sessuale e sentimentale come quello adulterino o per quello semplicemente affettivo o intellettuale che lega due amici, due persone accomunate da interessi politici o culturali, e via dicendo. E dovrebbe essere altrettanto evidente, che, semmai, la consacrazione giuridica delle relazioni omosessuali porterebbe conseguenze pesantissime di ordine etico e sociale.
Ecco allora che la accorta strategia dei movimenti omosessualisti ha puntato ad alimentare l’equivoco di una presunta analogia con il rapporto matrimoniale, reclamando alla convivenza more uxorio tra persone dello stesso sesso la medesima protezione, sul presupposto che vi ricorrano le stesse condizioni di fatto: rapporto sessuale, rapporto affettivo e coabitazione. Il tutto in omaggio al principio di uguaglianza. Ma il ragionamento non reggeva perché la tutela prevista dall’articolo 29 della Costituzione copre soltanto il matrimonio quale è ancora previsto dalle leggi dello Stato e non ammette (ancora) forzature.
Per superare la difficoltà di adattare la lettera dell’articolo 29 si è cercato allora di cambiare il significato del matrimonio. Si è cominciato cioè a far passare l’idea che l’elemento caratterizzante del rapporto matrimoniale sia anzitutto il dato affettivo, e siccome anche la convivenza more uxorio viene caratterizzata dall’unione erotico sessuale e dal dato affettivo, l’analogia col rapporto matrimoniale poteva essere giocata sul piano dei sentimenti. Si poteva far scivolare l’attenzione dal piano del diritto e dell’etica a quello magmatico della suggestione emotiva. E questo è servito per influenzare l’opinione corrente, sempre sensibile alle questioni del cuore, e rendere di nuovo plausibile una qualunque richiesta di tutela paramatrimoniale.
Per alimentare l’equivoco è stata creata la “coppia omosessuale”, munita di una sua carica di rispettabilità per la assonanza con la coppia formata dai coniugi. Sennonché quest’ultima include in sé proprio il rapporto di coniugio cioè il rapporto istituzionale di riferimento. La coppia di coniugi indica il legame istituzionale che vi è sotteso, con la relativa distinzione di ruoli che si riflette nella terminologia: essa comprende un marito ed una moglie, così come la coppia reale comprende un re e una regina. Rapporto indissolubile e di complementarietà.
La coppia omosessuale è un falso terminologico che non aggiunge nulla alla sostanza delle cose, perché rappresenta semplicemente due persone dello stesso sesso che intrattengono più o meno stabilmente un rapporto erotico e/o affettivo, è cioè una espressione numerica come una coppia di sedie, una coppia di comò o una coppia di gatti. Ma l’espediente ha fatto un buon lavoro alimentando una inesistente e impossibile analogia con il rapporto matrimoniale
Ora dovrebbe risultare evidente che la legge non tutela nel matrimonio il rapporto sessuale e affettivo tra due persone conviventi (addirittura non si preoccupa neppure del fatto che in concreto il matrimonio sia realmente consumato e nelle intenzioni di chi si scambia la promessa matrimoniale ci sia il fine procreativo come fa – o ha fatto finora – il diritto canonico), ma tutela lo strumento capace di fondare potenzialmente la famiglia quale nucleo fondamentale della società votato alla formazione della generazioni.
Il legislatore civile tutela la funzione sociale dell’istituto matrimoniale e proprio perché si tratta di un legislatore laico sanamente distante dalle indagini sulla coscienza individuale, si attiene solo alla volontà pubblicamente espressa dai nubendi di accedere all’istituto matrimoniale.
L’ufficiale di stato civile non chiede ad essi se si amano, quanto si amano o se intendano mettere al mondo dei figli, ma solo se sono consapevoli di ciò che l’istituto matrimoniale comporta, e se intendono tenere fede ai doveri assunti e all’impegno di crescere ed educare l’eventuale prole. Come al momento di firmare l’atto di acquisto di una casa, non siamo tenuti a dichiarare al notaio se la compriamo a fini speculativi, per abitarci solo temporaneamente o se è la casa dei nostri sogni. Ma semplicemente esprimiamo la volontà di utilizzare quell’importante strumento giuridico che l’ordinamento ci mette a disposizione per agevolare i commerci.
Ma questo equivoco della presunta assimilabilità della convivenza matrimoniale a quella “more uxorio” etero od omosessuale, in via affettivo emozionale, non ha risparmiato la stragrande maggioranza delle persone, comprese quelle che per mestiere dovrebbero sapere che cos’è il diritto. E per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto. Così si è arrivati a formulare il concetto del “diritto alla felicità”, che ai giuristi del passato sarebbe apparso come una trovata goliardica buona per il testo di un papiro di laurea. E naturalmente hanno dilagato i “diritti degli omosessuali”, quelli che dovrebbero essere fondati appunto sui gusti sessuali individuali.
Eppure da signore e signori devoti teorici o pratici degli amori omoerotici, dalle Bindi alle Concia, dalle Marzano allo Scalfarotto, fino ora all’ormai mitica Cirinnà, il concetto di diritto alla felicità è stato elargito anche in sussiegose aule universitarie, ormai adibite a cassa di risonanza di qualunque idiozia ideologicamente assistita e propagata.
Ma il marchingegno ideologico politico al cui servizio sono assoldati tutti i mezzi di comunicazione, una volta messo in moto ha funzionato a dovere, macinando il buon senso e appiattendo i cervelli su una falsa rappresentazione che ormai è diventata opinione ruminata senza ripensamenti. Il rapporto affettivo che lega due omosessuali di qualunque genere, poiché è produttore di felicità, sublima il rapporto non solo nella fantasia un po’ ingolfata di Veronesi, ma è sentito ormai unanimemente come degno di essere tutelato dalla legge, che sola dovrebbe garantire questo stato di grazia, con l’aiuto generoso del munifico contribuente.
Per smontare questo meccanismo perverso, e dalle conseguenze incontrollabili, bisogna tornare all’equivoco di fondo, nel frattempo completamente oscurato dalla contraffazione di una realtà delle cose che la retta ragione dovrebbe leggere senza paraocchi. Si tratta di recuperare il senso della verità oggettiva sulla quale deve essere finalmente riportato il ragionamento
di Patrizia Fermani (fonte riscossa cristiana)