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Il Declino del Peacekeeping

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Sin dagli anni novanta abbiamo assistito ad una grande espansione dell’interventismo umanitario (che si concentrava sulla dottrina della Responsibility to Protect R2P, promossa dalle Nazioni Unite) e questo ha fatto credere al mondo occidentale che saremmo stati capaci di proteggere i diritti umani dei singoli individui, di portare aiuto in nazioni martoriate dalla guerra civile, di riappacificare nazioni dove l’odio etnico o religioso avevano fatto grossi danni alla società.

Ovviamente il grande desiderio di difendere il nazionalismo dalla globalizzazione, i conflitti in Africa e in Medio Oriente, le rivoluzioni colorate e la stessa degenerazione che si può osservare in Siria, fa ben comprendere che la dottrina R2P è stata arrestata dalle regole della geopolitica, si sa, la geopolitica non guarda troppo in faccia la morale. Lo stesso ritorno della ideologia nazionalista contro la globalizzazione, il desiderio di ritornare all’isolazionismo e al protezionismo economico sono invocate da quella grossa fetta di popolazione colpita dalla crisi del 2007-2008. La grande disillusione, i flussi migratori, i grandi fallimenti arrivati dalle diplomazia che si sono dimostrate incapaci di regolare le controversie per creare un mondo più stabile, ebbene tutto questo porta a creare barriere.

Lo stesso conflitto siriano dimostra l’inutilità della dottrina R2P, la comunità internazionale in merito alle controversie e agli interventi umanitari ha disatteso le speranze di coloro che la vedevano come uno strumento per affermare una nuova concezione della sovranità, aperta e responsabile. Le stesse primavere arabe hanno deluso queste aspettative: i principi e le linee guida per disciplinare gli interventi umanitari sono stati ignorati, anzi tali mandati si sono trasformati rapidamente in operazione di regime change a guida NATO o in una invasione militare.

La Cina ha sempre apertamente criticato e messo in guardia la violazione della sovranità statuale in nome della difesa dei diritti individuali, ha sempre combattuto l’ideologia sull’interventismo umanitario, in quanto inutile per rimettere ordine.
Ma facciamoci poi una grande domanda: secondo tale dottrina uno stato ha come prima responsabilità quella di proteggere i cittadini, ma se lo stato interessato non è in grado di adempiere a tutto ciò o se non intendesse farlo allora dovrebbe entrare in gioco la comunità internazionale, che è preposta ad agire al suo posto ma anche ad intervenire nel caso in cui lo stati in questione rifiuti l’aiuto esterno o impedisca l’accesso alla popolazione colpita da particolari disagi.

Ottimo, infatti in Libia, in Siria e in Iraq la situazione è precipitata nel caos più totale, le ingerenze di potenze straniere sono visibili a tutti, le nazioni sono cadute caos, e l’opinione pubblica globale ha compreso perfettamente il significato del cinismo della Realpolitik. Infatti nelle relazioni internazionali tutti hanno capito che invocare la R2P si trasforma in un intervento armato, alla faccia delle ragioni umanitarie. Sono molte le nazioni che si sono “impegnate” in operazioni in cui mancava il consenso del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, (NB. la carta dell ONU, di cui quasi tutti i paesi del mondo fanno parte, vieta esplicitamente gli interventi unilaterali) con operazioni che definire “robuste” è un eufemismo.

Global civil society? New military humanism? Ma vah, pure e semplici ingerenze dove si piglia l’utilitarismo dei valori e lo si trasforma in un interventismo “à la carte”, indossando la maschera della morale umanitaria e applicando meri strumentali geopolitici perché ci può essere interesse a far cadere un determinato regime (Jugoslavia docet). Un semplice cavallo di Troia mascherato dal classico buonismo… ovvero si incolpa uno stato di essere cattivo e canaglia, si interviene bellamente legittimando il  tutto attraverso abili manovre di politica internazionale per avere una tacita accettazione dell’intervento.

A chi interessa se l’uso della forza internazionale – per ragioni umanitarie – è contraria al “principio di non ingerenza nella domestic jurisidction di uno Stato sovrano? Ma l’esportazione della democrazia non è ancora finita, ci sono altre nazioni in lista di attesa dove esistono regimi che vengono definiti “scomodi”, ma sono curiosa di vedere se l’occidente sopravviverà a se stesso, magari la Corea del Nord nel 2100 esisterà ancora e Noi NO! Mah, forse forse mi vien voglia di andare a bere un caffè da L’ultimo Avventuriero (http://giuliololli.it/) per sapere cosa ne pensa.

Nel frattempo già si delinea il provvedimento di Donald Trump per la riduzione degli aiuti esteri e delle missioni di peacekeeping: dovrebbe essere attuato a Ottobre 2017(http://www.lindro.it/tagli-alle-missioni-di-peacekeeping-unopportunita-per-lunione-africana/). Gli USA non verseranno più del 25% per coprire i costi delle missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite (https://www.state.gov/documents/organization/252735.pdf). Al contrario le spese americane per la difesa aumenteranno di 54 miliardi di dollari. Chi più dovrà affrontare la ritirata degli Usa sono il continente africano, che dovrà opporsi (Mi raccomando credeteci!!!) al terrorismo in Nigeria o alle operazioni marittime in Somalia per fermare i pirati. Vedo già il continente africano – che con incrollabile volontà – affronterà la nuova sfida e aprire le nuove trattative per sfruttare la nuova grande opportunità di cambiamento: non so perché ma sento che ci sarà una nuova massiccia ondata migratoria che l’Europa dovrà affrontare in solitaria. Tranne che non metta mano al proprio portafoglio per pagare le missioni di peacekeeping.

Alessia http://liberticida.altervista.org/

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Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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