Riporto di seguito un articolo di Alberto Conti, pubblicato originariamente su ComeDonChisciotte.org e intitolato “Deterrenza“. Conti ci guida attraverso un’analisi profonda su come il concetto di deterrenza, sollevando questioni morali e etiche di grande rilevanza. Con uno stile chiaro e penetrante, l’autore mette in luce i paradossi e le contraddizioni di una logica bellica che continua a dominare le più avanzate civiltà tecnologiche:
Un predatore tende a nascondersi fino al momento dell’attacco finale, per evitare che la preda s’insospettisca e fugga preventivamente, vanificando la strategia di predazione.
Al contrario quando due competitori si affrontano aggressivamente, tendono a massimizzare la percezione della propria forza da parte dell’avversario, mostrando denti, muscoli, artigli e quant’altro costituisca arma d’offesa letale, compresi trucchi recitativi per sembrare più grossi e potenti di quanto non siano. Il senso di questi preliminari allo scontro fisico è quello di intimidire l’avversario per predisporlo alla sconfitta, o meglio ancora per provocarne la fuga che sancisce una vittoria senza colpo ferire.
Questo grosso modo ha a che fare col concetto di deterrenza, il cui scopo è convincere l’avversario che non gli conviene affrontare lo scontro fisico, dovendosi confrontare con una forza soverchiante, dalle conseguenze letali o comunque catastrofiche.
Dal regno animale al regno umano quindi il passo è breve, la logica di fondo non cambia.
La storia delle tante civiltà conosciute è una storia di conflitti, interni o esterni, di guerre civili o guerre di conquista e di difesa, in obbedienza alla estrema legge della forza che seleziona vincitori e sconfitti, laddove vengono meno le possibilità di dialogo e mediazione delle rivalità, degli odi, degli interessi confliggenti, delle diverse culture e concezioni del mondo.
Tuttavia le armi e le modalità di combattimento sono molto cambiate nel corso della storia, oltre ad essere talvolta differenti anche tra gli stessi eserciti che si scontrano. Dai combattimenti in battaglia tra soldati vincolati da un codice militare si è passati, in tempi più recenti, al coinvolgimento di intere popolazioni senza esclusione di colpi. E questa degenerazione comportamentale paradossalmente va di pari passo con la disponibilità di armi sempre più sofisticate e potenti, comprese le famigerate “armi di distruzione di massa”, che per loro stessa natura non distinguono tra civili e militari.
A ruota dei due ultimi conflitti mondiali è stata realizzata la famosa bomba atomica, la cui devastante potenza distruttiva è presto diventata simbolo, oltre che sostanza, delle più micidiali armi di distruzione di massa. Armamenti successivamente perfezionati e potenziati, tali da non lasciare scampo non solo al nemico di turno, ma all’intera specie umana che abita la biosfera terrestre, irrimediabilmente deteriorata e resa inabitabile come “effetto collaterale”.
Essendo gli esseri umani tendenzialmente ragionevoli si presuppone che l’uso di queste armi da “fine di mondo” venga evitato fino all’ultimo livello di disperazione incontrollata, fino alla folle decisione suicidaria del tipo “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Tuttavia la ricerca e sviluppo di tali armamenti, con relativa produzione massiva e accumulo strategico, è continuata più o meno segretamente presso le maggiori potenze mondiali, anche in barba a ragionevoli accordi multilaterali di non proliferazione.
Questo assurdo utilizzo di risorse pubbliche, provenienti dalle sudate tasse dei contribuenti, si giustifica, se così si può dire, solo alla fosca ed ambigua luce del concetto di “deterrenza”, proveniente come abbiamo visto dal comportamento istintuale di alcune specie animali, al quale anche la specie “homo sapiens” si è ispirata nella “logica” di dare sfogo alla propria aggressività competitiva.
Il fenomeno che però è più interessante osservare è che la possibilità di produrre ed accumulare tali armi in quantità smodate è appannaggio delle maggiori potenze economiche del pianeta, dal momento che occorrono enormi investimenti nello sviluppo di moderne tecnologie dedicate a questi scopi, evolutesi grazie allo sviluppo della ricerca scientifica. Ma mano che queste tecnologie vengono sviluppate, anche altri Paesi minori ne vengono successivamente in possesso, allargando ulteriormente l’arsenale militare da “fine di mondo”, e aumentando così la possibilità, voluta o accidentale, che vengano effettivamente utilizzate scatenando un “escalation” incontrollabile a livello globale.
Ciliegina sulla torta è lo sviluppo parallelo di questo tipo di armi in scala ridotta, o “depotenziata”, dette ipocritamente “tattiche” in gergo militare, per indicare la possibilità di un loro libero utilizzo “limitato” al campo di battaglia, quasi rappresentassero mille sfumature di grigio nella gerarchia dell’armamentario militare.
Si tratta in realtà di un eventuale utilizzo foriero di escalation altrettanto incontrollabili di quelle garantite dall’uso di armi di distruzione di massa al top di gamma.
E’ un po’ come quando i bulli più potenti del quartiere impongono il loro volere grazie alla maggior forza fisica, tendenzialmente imitati da bulli di rango inferiore, fino a rendere il quartiere invivibile.
O come quando la mafia più potente detta legge a tutti i livelli, corrompendo ed inquinando la vita civile, ma soprattutto rendendo sleale qualunque confronto civile.
In realtà non mi vengono in mente similitudini o metafore appropriate, in grado di rendere l’assurdità della prassi politico-militare fondata sul concetto di deterrenza, così come vigente dal dopoguerra ad oggi.
Insomma, comunque la si rigiri questa “deterrenza” dimostra tutta la sua grottesca assurdità, come una logica cavernicola che però domina le più evolute civiltà tecnologiche nella storia del pianeta Terra, coinvolgendone l’interezza. E’ facile predire che se l’umanità uscirà ancora viva dal XXI secolo guarderà indietro ai tempi della deterrenza militare come ai tempi più bui e pericolosi della storia umana, caratterizzati da un’arretratezza culturale incredibile, da far impallidire il medioevo con la sua caccia alle streghe, o l’epoca dello schiavismo e del colonialismo, e perfino i peggiori casi di razzismo etnico e religioso, che pure sporadicamente tormentano ancora la nostra contemporaneità.
Questa deterrenza è una boiata pazzesca, su questo non c’è alcun dubbio, anche se viene accettata e gestita dai governi di tutto il mondo da 80 anni, sulla pelle delle popolazioni che ne subiscono le conseguenze.
Occorre gridarlo dai tetti con tutta la voce che abbiamo in corpo, fino a quando il vero potere sarà costretto ad ascoltare la voce del Popolo, e porvi rimedio. Almeno questa è la speranza, di vincere questa corsa contro il tempo, il nostro tempo, tutti insieme, in ogni angolo di mondo.
Basta segreti militari sui laboratori dedicati allo sviluppo di armi di distruzione di massa, basta finanziamenti indiscriminati all’apparato militare-industriale, basta bulli che dettano regole unipolari a livello planetario, basta guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Alla fine torniamo sempre lì, alla saggezza dei Padri Costituenti, che la guerra sapevano bene cosa fosse per averla sperimentata sulla propria pelle, così come sapevano bene cosa volesse dire rappresentare il Popolo ed avere la schiena dritta.
Se proprio non possiamo abrogare il concetto stesso di deterrenza, applichiamolo solamente ai nostri governanti, inteso come giudizio popolare sul loro operato, o consenso che dir si voglia, riconquistando la proprietà vera di questo nostro giudizio al di sopra della propaganda, soprattutto quando è propaganda di guerra, cioè il peggiore dei crimini, tuttora sfacciatamente perpetrato quanto impunito.
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