Di nuovo in sei sulla ISS dopo l’attracco della Sojuz MS-12

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Il 15 marzo, con l’arrivo di Aleksej Ovčinin, Nick Hague e Christina Koch, che segna l’inizio dell’Expedition 59, l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale è tornato a sei membri, a chiusura di una lunga una parentesi di cinque mesi, conseguenza dell’incidente della Sojuz MS-10.

In quell’occasione, protagonisti del primo abort di una capsula con equipaggio nella storia della cosmonautica postsovietica furono proprio due membri della crew della Sojuz MS-12, Ovčinin e Hague. L’11 ottobre scorso, due minuti dopo il lancio, uno dei quattro booster che costituiscono il primo stadio del razzo Sojuz FG non si staccò in modo corretto, provocando l’innesco automatico della procedura di fuga emergenza.

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La camera di bordo del razzo che trasportava la Sojuz MS-10 ha ripreso il momento in cui il booster di sinistra non si separa correttamente dal core centrale. Credit: Roscosmos

Aleksej e Nick furono proiettati con la loro capsula lontano dal lanciatore, fino alle soglie dello spazio (avendo raggiunto solo i 93 km, la qualifica del loro come “viaggio spaziale” vale per gli Stati Uniti, ma non per chi, come la Russia si attiene ai 100 km della Linea di Kármán), per poi ritornare a terra, utilizzando i normali mezzi di discesa dalla Sojuz, a circa 400 km dal cosmodromo di Bajkonur.

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Ovčinin e Hague, insieme a Rogozin sull’aereo che li riporta a Mosca il giorno dopo l’abort della Sojuz MS-10. Credit: Roscosmos

Ai due astronauti, usciti dalla drammatica esperienza del tutto indenni, anche se un po’ abbacchiati, il responsabile dell’agenzia spaziale russa, Rogozin, aveva promesso un rapido ritorno al volo, addirittura nella primavera successiva. Quella che era sembrata una promessa consolatoria del momento si è poi concretizzata alla lettera. Non solo i due sono tornati a volare pochi mesi dopo l’incidente, praticamente nella seconda missione disponibile, ma lo hanno fatto insieme.

Secondo i piani precedenti l’equipaggio della Sojuz MS-12, che doveva partire in aprile, prevedeva il russo Oleg Skripočka come comandante, la statunitense Christina Kock come primo ingegnere e un astronauta degli Emirati Arabi nel posto di minor responsabilità. I tre avevano già iniziato l’addestramento al simulatore, come appare da questo tweet postato da Christina il 22 ottobre 2018:

Dopo la revisione delle missioni seguita all’incidente, Skripočka ha ceduto il posto di comandante ad Ovčinin e Hague ha preso il posto della Kock che è diventata secondo ingegnere; l’astronauta emiratense Hazza Al Mansouri è rimasto a terra.

Una missione nominale

La Sojuz MS-12 si è staccata da terra quando in Italia erano le 20:14:09 del 14 marzo, spinta dai motori del primo stadio del Sojuz FG (si è trattato del penultimo volo di questo storico lanciatore per voli manned che a breve sarà sostituito dalla versione aggiornata Sojuz 2.1a). Pochi minuti prima la Stazione Spaziale Internazionale era passata sui cieli di Bajkonur e sul pad 1/5 dove il veicolo attendeva il completamento del conto alla rovescia.

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Gli schermi del centro di controllo mostrano il passaggio della ISS su Bajokonur 4 minuti prima del lancio. Credit: NASATV

La coincidenza non era affatto casuale; il piano di volo prevedeva l’avvicinamento veloce in quattro orbite e sei ore per la cui realizzazione è necessario che il piano dell’orbita della ISS attraversi il luogo del lancio al momento del decollo e che quest’ultimo avvenga in un istante ben preciso: un semplice ritardo è sufficiente per determinare lo scrub e il rinvio al giorno successivo.

Fortunatamente la partenza di Aleksej, Nick e Christina è avvenuta puntualmente. In Kazakhistan era già passata la mezzanotte e il razzo si è sollevato e nascosto rapidamente nel cielo buio e nuvoloso.

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Il decollo della Sojuz MS-12. Credit: NASA/Bill Ingalls

Man mano che il primo stadio consumava la sua spinta, si avvicinava il momento in cui si era verificata l’anomalia nella precedente missione di Ovčinin e Hague. Per quanto abituati all’autocontrollo e preparati ad affrontare ogni sorta di situazione anomala, è difficile che i due non provassero un’emozione particolare mentre a T+114 si staccava la torre di fuga e, dopo pochi secondi, si verificava lo spegnimento e il distacco dei booster.

Questa volta però al rapido calo di G (da 4 a 1), determinato dalla riduzione del numero di propulsori attivi, non è seguita nessuna improvvisa accelerazione. Il core centrale, o secondo stadio, continuava il suo viaggio tranquillo, mentre le telecamere di bordo inquadravano Nick abbandonarsi ad un piccolo gesto liberatorio.

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Nick Hague, a destra in alto, esprime la sua esultanza dopo il riuscito distacco del primo stadio. Credit: Roscosmos

Anche il resto del volo si svolgeva regolarmente. A T+4 minuti e 57 secondi, raggiunta un quota di 155 km e abbandonato il core, si accendeva il motore del terzo stadio che, dopo quasi quattro minuti di propulsione, portava la Sojuz MS-12 a 200 km di altezza e alla velocità orbitale.

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La Sojuz MS-12 in procinto di attraccare al modulo Rassvet durante il tramonto orbitale. Credit: NASA

Quattro orbite dopo, a 5 ore 53 minuti dal lancio, ossia alle 2:01 del 15 marzo, ora italiana, la Sojuz attraccava al modulo Rassvet della ISS, segnando l’inizio dell’Expedition 59. Dopo altre 2 ore, alle 4:07, si aprivano i portelli e i tre della Sojuz MS-12 potevano essere accolti a bordo dal comandante, il russo Oleg Konoenko, dalla statunitense Anne McClain e dal canadese David Saint-Jacques.

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Foto ufficale dell’Expedition 59. Da sinistra: David Saint-Jacques, Anne McClain, Oleg Konenenko, Aleksej Ovčinin, Nick Hague e Christina Koch. Credit NASA/Markowitz

I tre nuovi membri dell’equipaggio della ISS

Conosciamo un po’ più da vicino i tre nuovi abitanti dell’avamposto spaziale dell’umanità.

Aleksej Ovčinin ha 48 anni e ha un passato nell’aeronautica militare russa. Si è formato presso l’accademia di Yeisk dove, nel 1992, ha ottenuto la qualifica di “pilota ingegnere”. In seguito ha servito come pilota istruttore a Yeisk e a Krasnodar, per poi assumere posizioni di comando. Alla guida di vari tipi di aereo ha all’attivo oltre 1.300 ore di volo.

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Aleksej Ovčinin. Credit: Roscosmos

La sua carriera di cosmonauta è iniziata nel 2006 quando è stato selezionato come “candidato” e avviato alla formazione presso il Centro di Addestramento Cosmonauti “Jurij Gagarin”. Il training si è concluso nel 2010 con la certificazione di cosmonauta che, come richiesto in Russia, ha coinciso con il congedo dal servizio militare.

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Ovčinin saluta la moglie Svetlana poche ore prima del liftoff. Credit Roscosmos

Aleksej ha avuto la sua prima assegnazione a una missione nel 2015, come parte dell’equipaggio di backup della Sojuz TMA-16M, e ha effettuato il suo primo volo spaziale un anno dopo, in qualità di comandante della Sojuz TMA-20M e membro delle Expedition 47/48. Durante i 172 giorni trascorsi in orbita, dal 19 marzo al 7 settembre 2016, oltre a svolgere varie attività scientifiche, ha assistito all’arrivo sulla ISS con la Dragon CRS-8 e alla successiva installazione del modulo espandibile BEAM, e ha collaborato, dall’interno della stazione, alle due EVA 36 e 37 con le quali è stato installato il modulo IDA-2 e retratto il radiatore TTCR.

Simile a quello di Ovčinin è il background di Tyler Nicklaus Hague, 45 anni, che si è specializzato in ingegneria aerospaziale presso l’Air Force Academy di Hoxie (Kansas) e al MIT, oltre a formarsi come pilota collaudatore ad Edwards. Durante la sua carriera nell’Air Force è passato attraverso i ruoli più diversi, dalla partecipazione alle operazioni militari in Iraq, all’insegnamento, al distaccamento presso il Senato statunitense e al Pentagono.

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Nick Hague nel 2013. Credit NASA

Alla NASA è entrato nel 2013 con il 21° gruppo di astronauti, il primo selezionato dopo il ritiro dello Shuttle. Oltre a lui gli otto “Eight balls” comprendono Anne McClain, che Nick ha ritrovato sulla stazione spaziale, Christina Koch, che l’ha accompagnato, e Andrew Morgan che li raggiungerà a luglio, sulla stessa Sojuz MS-13 che avrà a bordo Luca Parmitano.

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Gli astronauti del 21° gruppo del 2013. Da sinistra Nick Hague, Andrew Morgan, Jessica Meir, Christina Kock, Nicole Aunapu Mann, Anne McClain, Josh Cassada e Victor Glover. Credit: NASA

A differenza del suo collega russo, Hague è ancora parte dell’Air Force, che l’ha promosso Colonnello nel 2016, e può mettere nel curriculum l’abort dell’11 ottobre 2018 come sul primo volo spaziale, avendo superato lo standard ufficiale USA delle 50 miglia.

A 40 anni, Christina Hammock Koch (quest’ultimo è il cognome del marito, che usa comunemente), è la più giovane dell’equipaggio e non ha alle spalle una formazione militare, bensì scientifica, con titoli di studio in fisica e in ingegneria elettrica. Come ingegnere è entrata alla NASA, lavorando al Laboratory for High Energy Astrophysics del Goddard Space Flight Center, mentre ricopriva incarichi di docenza al Montgomery College.

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Christina Hammock Koch. Credit: Roscomos

Prima dello spazio, il suo primo contatto con un ambiente estremo è avvenuto in Antartide, dove ha soggiornato più volte come parte del United States Antarctic Program. Oltre a ciò, il lavoro per la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) nel campo del monitoraggio climatico l’ha portata anche in Groenlandia, in Alaska e nelle Samoa. Nel frattempo, nel 2007, aveva collaborato per conto dell’Applied Physics Laboratory della Johns Hopkins University nello sviluppo degli strumenti per lo studio delle particelle radioattive delle sonde Juno e Van Allen.

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Christina nel 2006 in Antartide. Credit: National Science Foundation/Christina Hammock.

Dopo la selezione nel 21° gruppo astronauti nel 2013 ha completato l’addestramento e ha volato per la prima volta sulla Sojuz MS-12.

I sei al lavoro nella stazione e fuori

Tra breve, superata la fase di adattamento allo spazio, i tre nuovi arrivati si uniranno ai loro colleghi nelle attività di ricerca scientifica e di ordinaria manutenzione della stazione.

Sul programma di lavoro dell’Expedition 59 c’è anche, da subito, un certo numero di attività extraveicolari, per installare le nuove batterie dei pannelli solari ed effettuare altri aggiornamenti. Inizieranno Hague e McClain il 22 marzo, seguiti sette giorni dopo da McClain and Koch. L’8 aprile sarà la volta di Hague e Saint-Jacques.

L’EVA del 29 marzo è particolarmente attesa, perché si tratterà della prima storica spacewalk tutta al femminile. Dal 1984 ad oggi, quando, a pochi mesi di distanza, uscirono nello spazio la sovietica Svetlana Savitskaya e la statunitense Kathryn Sullivan, solo 12 donne hanno effettuato passeggiate spaziali. Anne e Chatherine saranno rispettivamente la tredicesima e la quattordicesima e, come si è detto, le prime ad uscire insieme.

L’installazione delle batterie è in lista d’attesa dall’autunno scorso. Giunte alla ISS il 27 settembre 2018 con il cargo giapponese HTV-7, avrebbero dovuto essere posizionate dopo l’arrivo dell’equipaggio della Sojuz MS-10. Nick Hague che avrebbe dovuto partecipare ai relativi lavori cinque mesi fa, se le è ritrovate come “arretrato” appena giunto sulla Stazione.

L’Expedition 59 si chiuderà con la partenza dell’equipaggio della Sojuz MS-11, il prossimo 25 giugno, dopo una permanenza di 203 giorni. Poco dopo, il 6 luglio, arriveranno i nuovi compagni della Expedition 60, Skvorcov, Morgan e Parmitano. La loro Sojuz MS-13 sarà anche l’ultima navicella sulla quale la NASA – al momento – ha acquistato posti per il trasporto di astronauti alla ISS.

Quanto accadrà nella fase di transizione al Commercial Crew Program non è ancora del tutto chiaro. Ufficialmente il ritorno del trio della Sojuz MS-12 è previsto per il 3 ottobre, a conclusione di una missione di 204 giorni, ma sono circolate voci secondo le quali il posto di Christina Koch potrebbe essere occupato da Al Mansouri, nel caso il viaggio di breve durata dell’astronauta emiratense iniziasse pochi giorni prima sulla Sojuz MS-15.

Se così fosse Christina potrebbe prolungare la sua missione fino a dicembre o addirittura fino all’inizio del 2020. Su questi sviluppi, tuttavia, pende ancora la recente decisione NASA di acquistare altri due posti sulle navicella russe, a copertura di eventuali ritardi nell’avvio del servizio regolare delle nuove capsule commerciali. Uno dei posti oggetto di trattativa sarebbe proprio il terzo seggiolino della Sojuz MS-15.

“Record” e numeri di questa missione (a cura di Paolo Baldo)

L’isolamento dei tre astronauti dell’Expedition 58, Kononenko, McClain e Saint-Jacques, è durato ben 85 giorni. Per trovare tre astronauti rimasti in orbita “da soli” per un tempo più lungo bisogna tornare al 2008/2009 quando Michael Fincke, Yuri Lončakov e Sandra Magnus rimasero per 105 giorni gli unici umani nello spazio.

Erano anche 85 giorni che non veniva occupato il boccaporto di Rassvet. Si tratta del più lungo inutilizzo in tutta la storia del modulo (cioè dal 2010), che supera il precedente record di 56 giorni fra giugno e dicembre 2017. E sempre dopo 85 giorni la Sojuz MS-11 non è più l’unica Sojuz presente sulla ISS. Per trovare un veicolo russo con equipaggio rimasto per più tempo l’unico agganciato alla stazione bisogna tornare ai 156 giorni della Sojuz TMA-13 fra ottobre 2008 e marzo 2009.

Christina Koch e Nick Hague sono entrambi in orbita per la prima volta: era dal 2010 che due astronauti statunitensi non effettuavano assieme il loro primo lancio orbitale, ed anche in quel caso furono un uomo ed una donna. Parliamo di James Dutton e Dorothy Metcalf-Lindenburger che fecero il loro primo volo a bordo della navetta Discovery per la missione STS 131.

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Da sinistra James P. Tracy Caldwell Dyson e i due “rookie” James Dutton e Dorothy Metcalf-Lindenburger al lavoro nell’airlock Quest nell’aprile 2010. Credit: NASA

I tre astronauti NASA attualmente sulla ISS (McClain, Hague e Koch) sono tutti alla loro prima esperienza spaziale. Per trovare così tanti americani contemporaneamente in orbita al loro primo volo bisogna tornare all’aprile 2010, quando per 15 giorni furono insieme nello spazio i rookie Timothy Creamer e i già citati James Dutton e Dorothy Metcalf-Lindenburger. In quei 15 giorni però erano presenti anche altri astronauti statunitensi, che avevano già effettuato una o più missioni precedenti. Una situazione come quella attuale, in cui i tre neofiti sono anche gli unici americani ad essere in orbita si era verificata solo negli anni ’70 del secolo scorso quando, fra il novembre 1973 ed il febbraio 1974, per 84 giorni, Gerald Carr, Edward Gibson e William Pogue, tutti tre alla loro prima esperienza spaziale, presero parte alla missione Skylab 4.

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L’equipaggio della missione Skylab-4. Da sinistra il comandate Gerald Carr, Edward Gibson e William R. Pogue. Credit: NASA

Per Ovčinin quello del 15 marzo è stato il suo secondo lancio orbitale nel giro di 1.091 giorni. Per trovare un’astronauta che ha effettuato due lanci più ravvicinati bisogna tornare al 2015 quando Gennadij Padalka effettuò il suo quinto lancio orbitale 1.047 giorni dopo il quarto. Aleksej però è tornato in orbita 919 giorni dopo il suo precedente atterraggio, avvenuto nel settembre 2016. Per trovare un’astronauta che ha aspettato meno tempo per tornare in orbita bisogna tornare al 2013 quando Fëdor Jurčichin partì per lo spazio 915 giorni dopo essere rientrato dalla missione precedente.

Video

Lancio della Sojuz MS-12:

Il docking alla ISS:

Apertura del portello e incontro tra gli astronauti:

 


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