22 luglio – La settimana scorsa, con un tipico colpo di mano estivo, è stata annunciata la pubblicazione dei nuovi statuti di quello che fino a tre anni fa, prima della soppressione voluta da papa Bergoglio, era il Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e la famiglia, sostituito da un nuovo organismo denominato Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia.
L’obiettivo dei nuovi statuti? Da un lato rafforzare il potere del gran cancelliere, monsignor Vincenzo Paglia, dall’altro snaturare definitivamente l’istituto voluto da san Giovanni Paolo II, allontanare i docenti non allineati e sintonizzare gli insegnamenti sulla lunghezza d’onda di Amoris laetitia.
I documenti ufficiali e le dichiarazioni, tanto di monsignor Paglia quanto del preside Angelo Sequeri, parlano ovviamente della necessità di “aggiornare” la struttura, ma a ben guardare il progetto sembra essere quello di demolirla, spezzando la continuità dottrinale e pastorale, con conseguente soppressione delle cattedre e perfino degli incarichi amministrativi precedenti.
Formalmente il nome di san Giovanni Paolo II compare ancora nella “ragione sociale” dell’istituto, ma di fatto la memoria di papa Wojtyła e del suo insegnamento viene mandata in soffitta. Nuovi paradigmi, nuovi linguaggi e nuove tendenze impongono di cambiare tutto.
C’è da notare che la soppressione di un intero istituto non ha precedenti. Certo, il papa ha l’autorità necessaria per prendere un tale tipo di provvedimento, ma ciò non toglie che si tratti di un grave attacco all’autonomia (garantita dagli statuti precedenti) di un’istituzione che godeva di prestigio mondiale.
Quanto è accaduto, sottolineano i docenti che non si piegano alla nuova linea, costituisce una vera e propria lesione della libertà di ricerca e d’insegnamento, ma anche della stessa dignità degli insegnanti, peraltro mai consultati né informati circa i contenuti dei cambiamenti.
Perché tutto questo? Se davvero si punta all’aggiornamento, perché punire e radere al suolo un’intera struttura che ha sempre svolto al meglio il proprio compito? Forte è il sospetto che si voglia piuttosto ridurre al silenzio chi ha difeso la dottrina della Chiesa di fronte al disorientamento creato dall’esortazione apostolica Amoris laetitia.
La nuova denominazione dell’istituto, con quel riferimento alle scienze del matrimonio e della famiglia, fa capire che l’intento è di aprire un dialogo tra teologia e scienze umane, con un cambiamento radicale nell’assetto culturale dell’istituto. In ogni caso, è evidente che l’intenzione dei nuovi statuti è relativizzare il più possibile il riferimento alla teologia del corpo e agli insegnamenti del magistero su matrimonio e famiglia dei due pontefici che hanno preceduto Francesco.
Il nuovo istituto, in altre parole, sembra destinato a diventare uno dei tanti in cui si parla dei problemi e dei conflitti nelle famiglie, ma senza indicare una chiara via cattolica. Una sorta di centro per la mediazione familiare e il supporto psicologico, privo di autentiche connotazioni legate alla vita di fede e alla morale cattolica. Così, per esempio, della Cattedra Woytjla, affidata all’autorevole filosofo Stanislaw Grygiel, amico personale di san Giovanni Paolo II, non resterebbe che un vago ricordo.
Rispondere meglio alle sfide presenti: così dicono i responsabili per giustificare gli stravolgimenti. Ma allora perché non potenziare le strutture già esistenti? In realtà, ciò che si vede è l’affermarsi di uno stile totalitario che intende fare piazza pulita di ogni dissenso rispetto alle nuove linee ispirate a relativismo morale e misericordismo.
Per quanto riguarda il corpo docente, monsignor Sequeri parla di “nuove cattedre” e “nuovi docenti”. Il timore fondato è quindi che molti docenti, anche tra gli stabili, non saranno confermati e che il tutto sarà giustificato con la cessazione del vecchio istituto e la nascita del nuovo.
Per giunta, secondo i nuovi statuti si potrebbe procedere alle nomine o alle conferme non secondo le regole consolidate (proposta, discussione in Consiglio di Istituto, approvazione collegiale) ma in maniera unilaterale, da parte del gran cancelliere e del preside.
Resta poi una domanda: quale sarà, in concreto, l’offerta formativa del prossimo anno? Sulla base di quali certezze gli studenti potranno iscriversi ai corsi? Com’è possibile pensare, in totale spregio della dignità dell’insegnamento universitario, di stravolgere il piano degli studi a soli due mesi dall’inizio di un anno accademico al quale si iscrivono studenti di ogni parte del mondo, inviati con grande impegno pastorale, economico e individuale? Difficile non vedere, dietro a questa situazione di incertezza il tentativo di allontanare gli studenti che hanno studiato fino a oggi nell’istituto e di non farne arrivare altri, almeno per qualche tempo.
A.M.V.
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