Il 25 aprile si dà molta enfasi alla guerra partigiana. Ora le formazioni partigiane per l’80% erano formate dalle Brigate d’Assalto Garibaldi.
Le brigate d’assalto “Garibaldi” furono, durante la Resistenza italiana, delle brigate partigiane legate prevalentemente al Partito Comunista Italiano (PCI)e partito socialista italiano, raramente anche esponenti del partito repubblicano.
Dimenticati – tratto da: Il Timone, n. 11 Gennaio/Febbraio 2001. – Paolo DE MARCHI
Una pagina rimossa della nostra storia. Centinaia di cattolici, sacerdoti e laici, uccisi dai partigiani comunisti nell’immediato dopoguerra. In odio alla fede e alla Chiesa. I testimoni tacciono. I libri di testo nascondono la verità. Viltà, paura o complicità?
Una delle accuse più squalificanti che possano essere rivolte a chi si occupa di storia è senz’altro – nell’attuale temperie culturale – quella di essere revisionista: che equivale quanto meno a impudente falsario o a spericolato negatore di verità conclamate e di tesi pacificamente ammesse dalla gente che conta.
Uno storico vero dovrebbe invece essere revisionista per definizione, perché il passato è sempre suscettibile di una pluralità di letture, e la valutazione dei fatti, per essere il più possibile serena, va sgombrata da pregiudizi ideologici e luoghi comuni non verificati.
Il revisionismo, insomma, dovrebbe essere strumento ordinario di lavoro per uno storico, se non altro per evitare il formarsi di miti e leggende che piano piano finiscono per sovrapporsi alla verità dei fatti.
Diciamo subito che il termine “giustiziati” usato da Bocca non appare esatto, perché fra gli uccisi ci sono certamente molti fascisti, ma ancor di più ci sono persone eliminate per ragioni che con la politica avevano poco o nulla a che tare (si pensi, per stare alla realtà, ai sette fratelli Govoni – uno solo dei quali era qualificabile come fascista, e di cui l’ultima, lda, ventenne, era madre di una bimba di pochi mesi – trucidati ad Argelato l’11 maggio 1945, i cui corpi verranno trovati solo nel ’51; oppure, per passare alla poesia, che spesso interpreta i fatti in modo più efficace della pura cronaca, al bellissimo racconto di Guareschi intitolato Due mani benedette).
Ma quello che qui ci interessa è sottolineare il fatto che fra questi morti ammazzati elevatissimo è il numero di cattolici, uccisi proprio in quanto cattolici, ossia perché incarnavano – agli occhi sia dei nazisti sia dei partigiani comunisti -quella tragica figura del “nemico oggettivo” di cui le rivoluzioni hanno assoluto bisogno per sopravvivere.
Ebbene, di queste vittime restano dei nomi, delle date, e poco più. Perfino Il secolo del martirio, il bel libro di Andrea Riccardi di cui si è già parlato su queste pagine, nulla dice in proposito: e di questi veri martiri della fede si rischia di perdere anche la memoria, se non ci si deciderà a tentare, e presto, qualche ricerca approfondita. Eppure sono tanti: solo in Emilia Romagna sono 92 i sacerdoti e seminaristi caduti per mano dei partigiani e su L’Osservatore Romano del 1° novembre 1995 Luciano Bergonzoni ne elenca i nomi, insieme a quelli di tanti altri, vittime della ferocia nazista.
Sempre nel ’95, il card. Biffi ha promosso una serie di celebrazioni commemorative, nelle parrocchie della diocesi di Bologna, dei sembravano socialmente sacerdoti uccisi prima e avanzate ed erano soltanto dopo la Liberazione, affermando che “questa impressionante serie di crimini dice che c’era a quel tempo il piano di impadronirsi politicamente della nostra società attraverso l’intimidazione della gente”; e proseguiva ribadendo il dovere del ricordo e della riconoscenza nei confronti di chi ha sacrificato la vita per ottenerci “il dono di un lungo periodo di prosperità e di pace”, sapendo “opporsi con fermezza ed efficacia al trionfo di ideologie che sembravano socialmente avanzate ed erano soltanto cieche e disumane”, e preservandoci così “dalle tristi prove toccate a molte nazioni dell’Est europeo”. Non è questa la sede per un ricordo dettagliato di tanti martiri, tra cui abbondano le figure nobili e luminose, e spesso i veri e propri eroi.
Tanti sacerdoti, dunque, ma anche tanti seminaristi e tanti laici, come il quindicenne Rolando Rivi, ucciso a Reggio Emilia il 10 aprile 1945, in quanto “futuro ragno nero”, o il famoso Giuseppe Fanin, apostolo dell’idea cristiana fra i braccianti e i contadini, ucciso a ventiquattro anni il 4 novembre 1948 vicino a Bologna, perché dava fastidio il suo impegno per tradurre in pratica la dottrina sociale della Chiesa.
Un ultimo punto vorremmo ricordare: gli assassini di tanti innocenti – colpevoli solo di essere cattolici – sono stati spesso individuati, ma le condanne sono state pochissime, perché quasi sempre essi hanno trovato, con la copertura e la connivenza del partito comunista, rifugio e ospitalità oltre la cortina di ferro. E questo va tenuto presente soprattutto oggi, quando quasi nessuno vuoi più ricordare il suo passato comunista, e addirittura vuol farsi passare per liberale, ma allo stesso tempo rifiuta un serio esame di coscienza. Ci piacerebbe insomma che anche altri, e non solo i cattolici, scoprissero la grandezza e la dignità del chiedere perdono.
Tutto questo discorso è fatto qui – sia chiaro – non per riaprire ferite o per vano spirito di polemica, ma allo scopo di mantenere viva la memoria dei fatti e far risplendere la verità, che rischia altrimenti di restare sepolta sotto gli slogan e il conformismo ideologizzato; e con la speranza che la Storia – quella vera, e non quella manipolata dagli storici non revisionisti o dai manuali scolastici – insegni a evitare gli orrori del passato.
Ricordiamo i nomi dei sacerdoti dell’Emilia Romagna sacrificati in odio alla religione o per “liberare” il nostro paese.
Bertinoro: Vincenzo Bruscoli, Giovanni Godoli.
Bologna: Luigi Balestrazzi, Medardo Barbieri, Corrado Bartolini (parroco di S. Maria in Duno, prelevato dai partigiani il 1° 1945 e fatto sparire), Raffaele Bartolini (canonico della Pieve di Cento, ucciso dai partigiani la sera del 20 giugno 1945), Dogali Raffaele Busi, Ferdinando Casagrande, Enrico Donati (arciprete di Lorenzatico, ucciso il 13 maggio 1945 da elementi qualificatisi per partigiani, chiuso in un sacco e gettato in acqua), Achille Filippi (parroco di Moiola, ucciso dai comunisti il 25 luglio 1945 perché accusato di filofascismo), Mauro Fornasari, Giovanni Fornasini (ucciso da un capitano tedesco il 13 ottobre 1944), Domenico Gianni, Arturo Giovannini, Ilario Lazzeroni, Giuseppe Lodi (ucciso dai tedeschi il 29 settembre 1944), Ubaldo Marchioni (ucciso dalle SS il 29 settembre 1944), Ildebrando Mezzetti, Aggeo Montanari, Giuseppe Rasori, Alfonso Reggiani, Eligio Scanabissi, Giuseppe Tarozzi, Elia Comini, Martino Capelli, Mario Ruggeri, Tarcisio Collina.
Carpi: Alberto Fedozzi, Amadio Po, Francesco Venturelli.
Cesena: Lazzaro Urbini.
Faenza: Angelo Cicognani, Antonio Lanzoni, Antonio Scarante.
Ferrara: Mario Boschetti, Pietro Rizzo.
Fidenza: Domenico Cavanna, Aldo Panni.
Forlì: Livio Casadio.
Guastalla: Gerrino Cavazzoli, Giacomo Davoli.
Imola: Pietro Cardelli, Teobaldo Daporto (arciprete di Castel Ferrarese, ucciso da un comunista nel settembre 1945), Giovanni Ferruzzi (arciprete di Campanile, ucciso dai partigiani il 3 aprile 1945), Giuseppe Galassi, Tiso Galletti (parroco di Spazzate Passatelli, ucciso il 9 maggio 1945 perché aveva criticato il comunismo), Settimio Pattuelli, Luigi Pelliconi, Aristide Penazzi, Evaristo Venturini.
Modena: Aldo Boni, Aristide Derni, Giuseppe Donini, Palmiro Ferrucci, Giovanni Guicciardi, Luigi Lendini (parroco di Crocette trucidato dopo inenarrabili torture il 20 luglio 1945), Elio Monari, Natale Monticelli, Giuseppe Muratori, Giuseppe Preci, Ernesto Talè.
Parma: Amedeo Frattini, Pietro Picinotti, Italo Subacchi,
Giuseppe Voli.
Piacenza: Giuseppe Beotti, Giuseppe Borea, Alberto Carrozza, Francesco Delnevo, Francesco Mazzocchi, Alessandro Sozzi.
Ravenna: Primo Mantovani, Luciano Missiroli, Santo Perin, Mario Domenico Turci.
Reggia Emilia: Sperindio Bolognesi (parroco di Nismozza, ucciso dai partigiani comunisti il 25 ottobre 1944), Pasquino Borghi, Aldemiro Corsi (parroco di Grassano, assassinato nella sua canonica, con la domestica Zeffirina Corbelli, da partigiani comunisti la notte del 21 settembre 1944), Giuseppe Donadelli, Luigi Ilariucci, Giuseppe Jemmi, Sveno Maioli, Luigi Manfredi (parroco di Budrio, ucciso il 14 dicembre 1944 perché aveva deplorato gli “eccessi partigiani”), Dante Mattioli, Umberto Pessina, Battista Pigozzi, Rolando Rivi, Carlo Terenziani.
Rimini: Giuseppe Balducci, Federico Buda, Pietro Carabini, Giuliani, Pietro Maccagli.
Sarsina: Ettore Barocci, Dino Foschi, Pietro Tonelli.
[su_note note_color=”#dcdcdc”] NOTA: nella foto il seminarista Rolando Rivi ucciso dai partigiani. «Domani un prete di meno», questa la motivazione che venne data dal commissario politico della formazione partigiana garibaldina che uccise nel 1945 il seminarista Rolando Rivi di 14 anni.
Rolando Maria Rivi nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, borgo rurale del Comune di Castellarano (Reggio Emilia), in una famiglia profondamente cattolica. Brillante e vivace, di lui si diceva: «o diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo». Con la prima Comunione e la Cresima divenne maturo e responsabile.
Rolando, ogni mattina, si alzava presto per servire la Santa Messa e ricevere la Comunione. All’inizio di ottobre del 1942, terminate le scuole elementari, entrò nel Seminario di Marola (Carpineti, Reggio Emilia). Si distinse subito per la sua profonda fede. Amante della musica, entrò a far parte della corale e suonava l’armonium e l’organo.
Quando stava per terminare la seconda media, i tedeschi occuparono il Seminario e i frequentanti furono mandati alle loro dimore. Rolando continuò a sentirsi seminarista: la chiesa e la casa parrocchiale furono i suoi luoghi prediletti. Sue occupazioni quotidiane, oltre allo studio, la Santa Messa, il Tabernacolo, il Santo Rosario. I genitori, spaventati dall’odio partigiano, invitarono il figlio a togliersi la talare; tuttavia egli rispose: «Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela. Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù».
Questa pubblica appartenenza a Cristo gli fu fatale. Un giorno, mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, il martire Rolando prese i libri e si allontanò, come al solito, per studiare in un boschetto. Arrivarono i partigiani, lo sequestrarono, gli tolsero la talare e lo torturarono. Rimase tre giorni loro prigioniero, subendo offese e violenze; poi lo condannarono a morte. Lo condussero in un bosco, presso Piane di Monchio (Modena); gli fecero scavare la sua fossa, fu fatto inginocchiare sul bordo e gli spararono due colpi di rivoltella, una al cuore e una alla fronte. Poi, della sua nera e immacolata talare, ne fecero un pallone da prendere a calci. Era venerdì 13 aprile 1945. (estratto da Santi Beati) qui storia in pdf [/su_note]
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