di Stefano Fontana – Direttore dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan – da Crocevia
Alla fine di gennaio 2016 il Parlamento italiano comincerà la discussione del disegno di legge Cirinnà che concluderà presumibilmente il suo inter in primavera. Il mondo cattolico in politica, a parte qualche valente eccezione, ha già deciso per non dare battaglia e di giungere al compromesso sul testo di legge. Nel mondo cattolico più ampiamente inteso si sta discutendo su cosa fare. Il quadro è molto frammentato, purtroppo, e si rischia di non fare nulla. Sarebbe una tragedia.
Il Family Day del 2007 non è stato un fallimento, come è stato detto nei giorni scorsi, dato che ha contribuito, insieme ad altre contingenze, a fermare il percorso legislativo della legge sui DICO, che pure, rispetto al disegno di legge Cirinnà, era ben poca cosa. Inoltre esso ha mobilitato tante energie che negli anni successivi hanno dato molto per la famiglia dentro la società civile. Le attese, purtroppo, rispetto al seguito che la classe politica avrebbe potuto dare a quella iniziativa, sono state deluse. Ma fu colpa della classe politica e non del Family Day.
Colpire il Family Day significa anche colpire la linea dei Vescovi italiani in quel periodo. In quella situazione i Vescovi hanno fatto sentire la loro voce, non sulla manifestazione in sé, che è stata opera laica, ma sui contenuti e sulle prospettive. Una Nota dei Vescovi italiani spiegava molto bene i valori in gioco e perché non si poteva accettare il riconoscimento pubblico delle unioni di fatto. Si accusa la Chiesa del Family Day e della Nota dei Vescovi del 2007 di aver fatto politica clericale, politica coordinata e guidata dai Vescovi, mentre in realtà in quell’occasione i Vescovi fecero la loro parte e i laici pure, come deve essere.
Ora, la legge Cirinnà è molto più grave. Essa riconoscerebbe le unioni civili o matrimoni tra persone dello stesso sesso, non solo garantendo diritti individuali, ma equiparando l’unione in parola al matrimonio tra un uomo e una donna. E’ ridicola la discussione sulla Stepchild adoption. Non è accettabile un compromesso che, a fronte di una cancellazione dal testo di legge della Stepchild adoption o di una sua attenuazione nella forma dell’”affido rinforzato”, prometta il sì alla legge. Un volta approvata questa legge, sarà l’Europa a chiedere in forma obbligante il riconoscimento del diritto all’adozione. In presenza poi della Sentenza della Corte costituzionale italiana che ha sancito il diritto costituzionale della coppia – di qualsiasi tipo essa sia – ad avere un figlio tramite la fecondazione eterologa, nessuno sarà in grado di fermare il processo che andrà ben oltre l’adozione di minori.
Ci si chiede con accorato stupore come sia possibile che il mondo cattolico accetti tutto questo senza agire. Una simile omissione sarebbe una assoluta novità per la Chiesa italiana e lascerebbe una ferita molto profonda e duratura.
Se non si mantiene fermo cosa si intende per vera famiglia, tutti i discorsi sulle politiche familiari perderanno di senso. La società, la scuola, la sanità, il lavoro … tutti i settori dove si parlerà di famiglia diventeranno un continuo campo di battaglia, a meno che non si verifichi la resa di quanti dovrebbero combattere per difendere una dimensione naturale delle cose, non soggetta al violento capriccio degli egoismi.
Non agire, non scendere in piazza, non protestare, non richiedere con una sola voce e davanti alla nazione, in pubblico, il “no” a questa legge vorrebbe dire ritornare indietro alla “scelta religiosa”, che fu, nonostante l’espressione, una chiara scelta politica: per la presenza nella società alla spicciolata, per la rinuncia ad una visione cattolica delle cose, per la messa da parte della verità nei rapporti con la fede, per una afasia sistematica dei cattolici sulla scena pubblica a vantaggio dei poteri dominanti. Non è stata una scelta solo religiosa ma propriamente politica allora e così sarebbe anche oggi: significherebbe la sottomissione al potere politico vincente e arrogante di oggi, un sì alla violenza condita con l’autoconsolazione della democrazia.
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