fonte: di Wayne Madsen – strategic-culture.org.
Esperti del continente africano, che conoscono molto bene la situazione libica, sostengono che le storie diffuse dai media occidentali, i quali raccontano che il leader libico, Muammar Gheddafi, si affida anche ai servizi di mercenari di colore provenienti dal Sahara e dall’Africa sub-sahariana, sono una manovra di disinformazione da parte della CIA per alimentare i ribelli libici contro Gheddafi con un’ondata di razzismo. Le fonti occidentali “riferiscono” che Gheddafi ha assoldato mercenari di colore africani per la lotta contro i ribelli libici.
Il risultato è stato che migliaia di lavoratori neri africani in Libia sono stati attaccati da folle inferocite che hanno creduto alla propaganda occidentale.
Il ruolo del presidente Obama nel sostenere questa macchinazione della CIA per alimentare la rabbia dei ribelli libici non è stato preso bene dalla comunità afro-americana. Un leader attivista afro-americano di Washington ha scritto una e-mail che dichiarava: “non esigete maggiore senso di responsabilità da parte di un presidente nero rispetto ad uno bianco, perché riceverete solo una cosa: niente”.
Le agenzie di stampa occidentali hanno riferito che i ribelli libici hanno cominciato la “caccia” al nero.
Pensando di catturare collaborazionisti pro-Gheddafi, imprigionano invece semplici lavoratori che si trovano in Libia in cerca di lavoro nel campo petrolifero, agricolo e edilizio, scappati dai loro paesi economicamente depressi. Ironia della sorte, la maggior parte dei neri cacciati vengono dal Kenya, la terra che secondo le affermazioni di Obama è la sua “casa paterna dei suoi antenati”.
Altri africani, bloccati in Libia e sottoposti all’assalto razziale degli arabi libici, provengono dal Sud Sudan, dall’Uganda, dalla Sierra Leone, dalla Tanzania, dalla Somalia, dall’Etiopia, dal Ghana, dal Ruanda, dal Burundi, dall’Uganda, dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Lesotho, dallo Zimbabwe, dallo Zambia e dalla Nigeria. Un milione e mezzo di lavoratori neri africani sono vissuti in pace in Libia prima dello scoppio della guerra tra Gheddafi e le forze ribelli. Solo pochi africani sono riusciti a scappare, ma la maggior parte di loro sono costretti a nascondersi nelle loro case e fuggire verso squallidi campi profughi in Egitto, in Tunisia e in Sudan. Anche i lavoratori dalla pelle scura non africani provenienti dal Bangladesh, non sfuggono all’ira dei ribelli libici.
Altri africani, in particolare quelli provenienti dal Niger, dal Mali, dal Gabon, dal Ciad e, sono lì in seguito ai progetti di sviluppo finanziati nei loro paesi da Gheddafi ed essi hanno risposto andando in Libia come volontari a sostegno di Gheddafi. Tuttavia, questi volontari sono stati bollati come mercenari dai media occidentali e dall’intelligence. L’Algeria ha respinto le accuse che i suoi cittadini siano stati inviati in Libia per combattere come mercenari per Gheddafi.
Il Sunday Mirror di Londra ha pubblicato un articolo discutibile, il quale sosteneva che il 27 marzo il figlio di Gheddafi, Seif al-Islam Gheddafi, era andato in Zimbabwe, ad arruolare un esercito africano per aiutare le forze di suo padre. La relazione afferma che il vecchio dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, era pronto a mandare truppe dell’esercito dello Zimbabwe in Libia per combattere a fianco dell’esercito di Gheddafi.
La propaganda di guerra della CIA contro i neri africani in Libia non si è limitata agli editoriali e ai telegiornali di Washington, Londra, Parigi e New York. Un candidato alla presidenza della Liberia, TQ Harris, ha accusato Gheddafi dell’arruolamento forzato di giovani uomini e ragazzi nel suo esercito. La dichiarazione è stata ripresa dai giornali della Liberia, da sempre influenzati dalla CIA.
Il 16 marzo, The Guardian (UK), ha pubblicato la notizia che Gheddafi stava reclutando mercenari dalla tribù dei Zaghawa che vivono nel Darfur e nel Ciad. The Guardian ha scritto che non vi era “alcuna prova che i membri della tribù Zaghawa siano realmente coinvolti nel conflitto in corso”.
Non solo si trattava di lavoratori provenienti dal Ciad, Etiopia, Somalia quelli braccati dai ribelli libici impiccati ai lampioni e feriti a morte con asce e machete, ma anche libici neri, per lo più della provincia meridionale del Fezzan hanno subito lo stesso trattamento.
I neo-conservatori di Washington e New York, grazie ai loro media, hanno ignorato la situazione di questi lavoratori neri e hanno continuato ad aizzare la folla, sostenendo che qualsiasi nero presente in Libia fosse un mercenario di Gheddafi, infischiandosene che ciò non fosse vero. Tant’è che i media occidentali non hanno mai dato notizia di lavoratori uccisi “per sbaglio” dagli insorti.
Il New York Times, in un articolo del 16 marzo intitolato “Libyan Oil Buys Loyal African Allies for Qaddafi”, ha scritto che Gheddafi stava arruolando “circa 200” giovani del Mali per combattere in Libia. Il Times ha dato credibilità alla non-notizia costruita ad arte dalla CIA ed ha rilanciato sostenendo che dai 3.000 ai 4.000 mercenari erano stati reclutati dal governo di Gheddafi dal Mali, dal Darfur e dal Niger con un salario di 1.000 dollari al giorno.
Tuttavia, in una notizia pubblicata l’11 marzo dal Times, è stato riportato che in effetti i funzionari dell’intelligence degli Stati Uniti non sono riusciti a trovare conferma alla notizia dei 4.000 e 5.000 mercenari dal Niger, dal Mali e dal Justice and Equality Movement del Darfur erano stati assunti da Gheddafi per 1.000 dollari al giorno. Nonostante viviamo in un’epoca di guerra fondata anche e soprattutto sull’informazione mediatica, la CIA non riesce a tenere la barra a dritta.
L’ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, Susan Rice, in una dichiarazione del 17 marzo sull’adozione da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu della risoluzione che consentiva la creazione di una no-fly zone sopra la Libia, ha dichiarato che uno dei motivi della creazione di quella zona era quello di impedire che arrivassero a destinazione gli aerei che trasportavano i “mercenari” in Libia.
È stato anche riferito che i gruppi wahabiti dell’Arabia Saudita legati ai ribelli, tra cui il Gruppo combattente islamico libico, hanno giustiziato lavoratori neri africani di fede cristiana, condannandoli come “infedeli” che sostenevano Gheddafi.
Inoltre sono girate voci che Gheddafi, con il sostegno del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, e il capo dell’intelligence Aman (acronimo ebraico per la direzione dell’Intelligence, ndt) Aviv Kokhavi, avesse organizzato, tramite la società di sicurezza israeliana Global CST, il trasporto segreto di 50.000 mercenari africani in Libia. Il costo: 5 miliardi di dollari.
La connessione tra israeliani e mercenari neri pro-Gheddafi ha alimentato la rabbia degli islamici radicali tra i ribelli libici, i quali erano convinti che Gheddafi non solo avesse un accordo segreto con Israele, ma che fosse un “cripto Ebreo”, perché sua nonna era ebrea. L’accusa è stata trasmessa sulla televisione nazionale israeliana da una donna ebrea libica che sosteneva di essere dell’entourage di Gheddafi. Altre fonti di ispirazione sionista hanno riferito che Gheddafi stava reclutando serbi, ucraini, piloti siriani e un gruppo di feroci guerrieri Tuareg tribali del deserto del Sahara.
Il Washington Times, un giornale di destra di proprietà di un auto-proclamato “Messia” coreano, Sun Myung Moon, il 21 marzo ha pubblicato un articolo del principe Mohamed Hilal Al Senussi, un membro della famiglia reale cacciata da Gheddafi durante il colpo di stato del 1969. Senussi paragona i ribelli libici ai membri del “Tea Party” repubblicano degli Stati Uniti e ha ripetuto l’accusa che Gheddafi stava usando mercenari africani: “In Baida, oltre 100 persone sono state massacrate da mercenari africani legati a Gheddafi provenienti dal Ciad, Niger e dal Mali, spingendo le forze di polizia locali e l’esercito a proteggere i loro connazionali inermi».
La connivenza delle agenzie di intelligence occidentali, di concerto con elementi israeliani e media occidentali, ha posto le basi per la strage dei libici neri anche in altre parti dell’Africa. Tutto ciò ha fatto infuriare gli afro-americani, che in precedenza avevano sostenuto Obama nelle sue campagne politiche in Illinois e alle presidenziali. Obama, il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti, ha ora il primato di essere l’unico presidente americano a lanciare una guerra sanguinosa in un paese africano. Agli occhi di molti attivisti politici afro-americani, Obama si è rivelato essere tanto uno strumento della CIA, che di Wall Street, che delle compagnie petrolifere, come i passati presidenti americani bianchi.