Donna transgender ai Giochi Olimpici: chi penserà alla discriminazione dello sport femminile?

Con la prima donna transgender ai Giochi Olimpici inizia la morte dello sport femminile

di Robert Bridge – 30/06/2021

Laurel Hubbard passerà agli annali delle Olimpiadi di Tokyo come il primo atleta transgender a competere ai Giochi. Ma le conseguenze di questa decisione per le atlete e le donne in generale saranno devastanti e durature.

Potrebbe essere imminente il giorno in cui le donne, nate biologicamente femmine, non saranno più rappresentate sul podio delle medaglie olimpiche, dal momento che i maschi biologici iniziano a fare serie incursioni nei loro sport.

Laurel Hubbard, 43 anni, è tra i cinque sollevatori di pesi scelti per rappresentare la Nuova Zelanda alle Olimpiadi di Tokyo per competere nella categoria femminile degli 87 kg. Per inciso, è anche la progenie di Dick Hubbard, l’ex sindaco liberale di Auckland. Le critiche e le polemiche che hanno accolto la notizia del primo atleta transgender a partecipare ai Giochi non sembrano inappropriate. In primo luogo, Hubbard, la cui inclusione ha avuto la piena approvazione del Primo Ministro neozelandese, Jacinda Ardern, godrà, nei confronti delle sue contendenti, del vantaggio competitivo scientificamente correlato alle caratteristiche maschili innate.

Sembra ridicolo dover ricordare a qualcuno le ovvie differenze anatomiche tra maschi e femmine, ma tale è lo stato attuale del mondo in cui viviamo.

Secondo uno studio, pubblicato dal British Journal of Sports Medicine“le donne trans avevano ancora un 9% in più di velocità media di corsa dopo il periodo di 1 anno di soppressione del testosterone raccomandato dal World Athletics per l’inclusione in eventi femminili.”

Una biologa dello sviluppo, la Dr.ssa Emma Hilton, appoggia in pieno questa opinione.

“I maschi possono correre più velocemente, saltare più in lungo, lanciare più lontano e sollevare più peso delle femmine,” aveva confermato la Hilton in una discussione del 2019. “Superano le femmine del 10% nella corsa e del 30% nel lancio del peso.”

La Hilton aveva poi riportato alcune curiosità sportive a sostegno della sua affermazione: ci sono 9.000 maschi tra il detentore del record mondiale [maschile] dei 100 m, Usain Bolt, e Florence Griffith Joyner, la donna più veloce di tutti i tempi; l’attuale campionessa olimpica femminile dei 100 m, Elaine Thompson, è più lenta del detentore del record scolastico, un quattordicenne; una squadra di ragazzini under 15 ha battuto la nazionale femminile di calcio statunitense in una partita di allenamento senza tempo o punteggio.

E così via.

Queste crude statistiche, naturalmente, non sono destinate a sminuire gli enormi risultati ottenuti dalle atlete. Vorrebbero piuttosto dimostrare il confine, molto definito, che esiste – o dovrebbe esistere – tra i concorrenti maschili e quelli femminili. Infatti, le differenze fisiche tra i sessi potrebbero effettivamente essere una questione di vita e di morte. È già stato versato del sangue.

Consideriamo, per esempio l’incontro misto di arti marziali del 2014 tra Fallon Fox e Tamikka Brents. Fox, la prima combattente transgender nella storia delle MMA, aveva percosso la Brents in modo talmente violento da provocarle una frattura del cranio e una commozione cerebrale. Quanto tempo ci vorrà prima che un’atleta donna subisca gravi lesioni, o magari venga uccisa, nell’arena dello spettacolo per mano di una donna transgender?

Per quanto preoccupante possa essere questa possibilità, il vero problema per le atlete è che questi maschi biologici vengono semplicemente visti come intrusi che sconfinano nel loro territorio, privandole del diritto di esibirsi. Basta chiederlo a Kuinini ‘Nini’ Manumua, 21 anni, la donna che è stata esclusa dalla squadra Kiwi per far posto ad Hubbard, che ha vissuto 35 anni da maschio prima della transizione. Per quanto riguarda Manumua, sarebbe stata la sua prima Olimpiade.

Le critiche sulla decisione di includere Hubbard nella squadra della Nuova Zelanda sono state feroci. La sollevatrice di pesi belga Anna Vanbellinghen ha detto che permettere a Hubbard di competere a Tokyo è stato ingiusto per le atlete e lo ha definito “un brutto scherzo.”

Il neozelandese Daniel Leo, un ex giocatore di rugby professionista diventato amministratore delegato, ha osservato in un tweet che la decisione di includere Hubbard “offusca ENORMEMENTE la reputazione [della Nuova Zelanda].”

Nel frattempo, il gruppo di difesa britannico, Fair Play for Women, ha condannato la politica del CIO come “palesemente ingiusta.”

Il CIO aveva dichiarato nelle sue linee guida transgender del 2015 che l’obiettivo sportivo prioritario era, e rimane, la garanzia di una concorrenza leale,” ha osservato Nicola Williams, direttore FPFW. “Ma le sue attuali regole sono palesemente ingiuste nei confronti delle donne, e delle donne di genere trans, che vogliono giocare secondo regole che siano eque per tutti.”

Negli Stati Uniti, nel frattempo, la resistenza a questa follia sta mettendo radici. Sono sempre di più gli Stati che si oppongono all’idea di permettere alle donne transgender di partecipare alle competizioni sportive accanto alle donne [biologiche]. Alabama, Arkansas, Georgia, Idaho, Indiana, Iowa e Kentucky, per esempio, sono solo alcuni degli Stati che hanno approvato leggi che vietano rigorosamente la partecipazione dei maschi biologici negli sport femminili, a meno che non siano stati sottoposti ad un intervento chirurgico di rivalutazione completa e abbiano assunto i relativi ormoni.

La legge della Louisiana, per esempio, afferma che lo studente-atleta è idoneo a competere nel sesso riassegnato quando, tra le altre procedure, “siano stati completati i cambiamenti anatomici chirurgici, compresi i cambiamenti dei genitali esterni e la gonadectomia.” Richiede anche che “il riconoscimento legale della riassegnazione del sesso sia stato recepito da tutte le agenzie governative appropriate (patente di guida, registrazione sull’elenco elettorale, ecc.).”

Nel frattempo, negli stati ultra-liberali, come la California, il Connecticut e il Colorado, le scuole pubbliche hanno il divieto di discriminare sulla base dell’identità di genere e dell’espressione di genere. Ora, con l’ordine esecutivo di Biden sull’identità di genere e l’orientamento sessuale in vigore, le scuole sono anche legalmente obbligate a lasciare che le femmine transgender usino i bagni e gli spogliatoi che corrispondono alla loro identità di genere, invadendo così la privacy delle studentesse sia sul campo che negli spogliatoi.

​Chiaramente, ciò che deve succedere per garantire l’equità e la sicurezza sul terreno di gioco (e negli spogliatoi) è che sempre più atlete professioniste si esprimano su questa allarmante tendenza. Una di queste donne coraggiose è la stella del tennis americano di origine ceca, Martina Navratilova, che è nel gruppo di atlete che ha lanciato il Women’s Sports Policy Working Group, che opera secondo l’idea che “se gli sport non fossero segregati per sesso, le atlete sarebbero raramente viste in finale o sul podio della vittoria.”

La 18 volte vincitrice del Grande Slam si oppone ad una situazione in cui “uomini e donne trans, solo sulla base della loro auto-identità, sarebbero in grado di competere senza restrizioni … cosa che, chiaramente, non garantirebbe una condizione di equità.”

Purtroppo, sembra che il CIO, dando a Laurel Hubbard il diritto di competere accanto alle donne biologiche, abbia una visione e un approccio radicalmente diversi sulla questione e questa decisione ha tutto il potenziale per riportare lo sport femminile indietro di decenni, se non addirittura di renderlo del tutto superfluo.

Parlate ora, signore, o rinunciate per sempre al vostro legittimo posto sul podio olimpico.

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2021/06/23/first-transgender-woman-to-compete-at-olympic-games-signals-death-knell-female-sport/

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