di Sabino Paciolla
Due giorni fa tantissimi sono rimasti a bocca aperta, basiti, senza parole, al vedere la cattedrale Notre Dame di Parigi invasa dal fuoco come fosse una grande torcia. L’immagine della guglia che brucia e poi si spezza e crolla mi ha fatto ricordare il crollo delle Torri gemelle di New York. Allora una immane tragedia, ora un grande sbigottimento.
Certo, questo disastro alcuni lo avranno visto come una “perdita per la civiltà”, altri come una perdita di un capolavoro dell’arte, altri come la distruzione di un segno visibile della fede, altri, infine, come uno degli incendi che di tanto in tanto capitano in qualche posto….e basta.
La sera siamo andati a letto quasi in lutto. Il giorno dopo, però, d’improvviso, la notizia della rinascita. I miliardari francesi in meno di 24 ore hanno messo insieme almeno 500 milioni di euro per contribuire alla ricostruzione di questa cattedrale. Ci siamo sentiti sollevati. È sembrata fatta. Quello che era un gioiello irrimediabilmente distrutto, presto o tardi, ritornerà a mostrare tutto il suo splendore, tutta la sua bellezza.
Ma, appunto, un gioiello o una cattedrale?
Mi ha colpito una intervista all’architetto Fuksas. Il quale, intervistato per un suo parere, ha detto:
“L’immagine della guglia che era alta circa 90 metri che bruciando cadeva è una cosa che mi ha fatto pensare che una parte del mondo stava scomparendo. La storia importante è sapere che il gotico è la ricostruzione di un mondo. Dopo Roma, dopo la caduta dell’impero romano basato sul concetto di città, il gotico è stato il primo tentativo di ricostruire la città mercantile, la città commerciale, i rapporti. E l’importanza della città era in parte data dalle dimensioni di queste enormi cattedrali che sul modello di Saint Denis, in 200 anni, si sono diffuse in tutta la Francia. È il momento in cui rinasce la cultura della città, ci sono i commerci il mercato e l’Europa non è più luogo da difendersi ma anche dell’incontro. Un mondo in cambiamento che Notre Dame rappresenta perfettamente”.
Dunque per Fuksas “Il gotico è stato il primo tentativo di ricostruire la città mercantile, la città commerciale, i rapporti”. Ora, certamente, il gotico, come qualsiasi altro stile architettonico, è espressione della sua sua epoca. Ma questo giudizio di Fuksas, che è paradigmatico di un modo di vedere oggi molto comune, fraintende completamente il significato di una cattedrale, ignora completamente le ragioni profonde della sua costruzione, non comprende il respiro religioso che è alla base della sua genesi. In poche parole, misconosce il senso profondo della nostra civiltà occidentale. Una civiltà che è stata impregnata da un senso religioso e da una fede che hanno plasmato ogni sua pietra, ogni sua via, ogni sua piazza, ogni suo monumento, ogni sua chiesa ed ogni sua cattedrale. Compresa quella di Notre Dame de Paris.
Ecco, con l’ottica di Fuksas tutto quello che saremo capaci di fare sarà la semplice ricostruzione di un monumento del passato andato in fumo, di una cattedrale che appartiene ad una civiltà, quella cristiana, anch’essa andata “in fumo”, cioè morente. Una civiltà che in fondo in fondo non ci appartiene più perché non ci dice più nulla, e per questo ci appare sempre più estranea.
Ma la cifra di una civiltà non è data dalla capacità di raccogliere 500 mln di euro in 24 ore da ricchi miliardari (ben vengano!) per ricostruire un tesoro distrutto, ma dalla capacità di riconoscere che il vero tesoro è quella fede che nei secoli ha costruito quelle cattedrali. Quella fede che convertì quella prostituta milanese di nome Marta de Codevachi, divenuta ricca con il suo “mestiere”, e che donò tutti i suoi averi per la costruzione del Duomo di Milano. Quella stessa fede che muoveva anche una vecchietta poverissima, Caterina di Abbiateguazzone, che offriva quello che poteva, ovvero la pulizia delle pietre del cantiere del Duomo di Milano. La quale, una mattina, donò all’obolo della cattedrale l’unica pelliccetta che possedeva. E quando i canonici se ne accorsero ne furono commossi e le restituirono il denaro con gli interessi, perché potesse compiere il sospirato pellegrinaggio a Roma che desiderava fare da tanti anni.
Per questo, il significato più vero di quello che è accaduto è rappresentato dalle tante persone che dinanzi alla cattedrale in fiamme si sono inginocchiate per pregare, cantando il Regina Coeli.
Una disposizione, quella dell’inginocchiarsi, che è diventata sempre più rara, persino nelle chiese durante la celebrazione della messa. Essa è invece la più umana, la più nobile per l’uomo perché con essa egli riconosce di essere stato creato per amore.
È la preghiera che ha costruito le grandi e splendide cattedrali, è l’inginocchiarsi che ha generato una civiltà.
Non a caso, Benedetto XVI, da grande padre e uomo di fede, qualche giorno fa ci ha detto: “Un mondo senza Dio può essere solo un mondo senza significato”, e “Una società senza Dio – una società che non lo conosce e lo tratta come inesistente – è una società che perde la sua misura.”
“In realtà, la morte di Dio in una società significa anche la fine della libertà, perché ciò che muore è lo scopo che fornisce la direzione. E perché scompare la bussola che ci indica la giusta direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. La società occidentale è una società in cui Dio è assente nella sfera pubblica e non ha più nulla da offrire. Ed è per questo che è una società in cui la misura dell’umanità è sempre più perduta. In momenti particolari diventa improvvisamente evidente che ciò che è male e distrugge l’uomo è diventato ovvio.”
“Un compito fondamentale, che deve risultare dagli sconvolgimenti morali del nostro tempo, è che noi stessi ricominciamo a vivere di nuovo per mezzo di Dio e verso di Lui. Soprattutto, noi stessi dobbiamo imparare di nuovo a riconoscere Dio come fondamento della nostra vita, invece di lasciarlo da parte come una frase in qualche modo inefficace”.
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