Elon Musk: Quale gruppo armato ha vinto la guerra in Siria?… Quello sostenuto dalla CIA o quello sostenuto dal Pentagono?…

Facciamo chiarezza: i presunti soldati nordcoreani in Russia probabilmente non esistono, e questa narrativa è stata con ogni probabilità un espediente utile per consentire a Biden di autorizzare l’invio di missili a lungo raggio contro la Russia. Successivamente, il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol avrebbe cercato di aggravare ulteriormente la situazione con la proclamazione della legge marziale, una decisione che avrebbe potuto avere esiti disastrosi, soprattutto perché avrebbe intensificato le già delicate tensioni tra le due Coree, portandole sull’orlo di un confronto militare diretto.

Tutto ha avuto origine dalla dichiarazione di legge marziale da parte di Yoon Suk Yeol, una mossa che molti interpretano come un tentativo disperato di distogliere l’attenzione pubblica dalla crescente pressione dell’opposizione su di lui, per sue irregolarità. Una petizione per il suo impeachment, infatti, aveva raccolto oltre 800.000 firme in pochi giorni. La giustificazione addotta da Yoon per questa misura estrema, basata sulla falsa accusa che truppe nordcoreane stessero combattendo nella regione russa di Kursk, ha provocato un’ondata di indignazione e reazioni accese sia all’interno che all’esterno del Paese.

Martedì, dopo che il Parlamento sudcoreano ha smascherato questa menzogna definendola “delirante”, il presidente Yoon ha proclamato alla nazione:Questa dichiarazione di legge marziale di emergenza è nata dalla mia disperazione, come ultima parte responsabile degli affari di Stato. Sono profondamente dispiaciuto e chiedo sinceramente scusa ai cittadini, che devono essere rimasti profondamente scioccati. Non ci sarà assolutamente un secondo tentativo. Affiderò al mio partito metodi per stabilizzare la situazione politica, incluso il resto del mio mandato. Mi scuso con i cittadini per le preoccupazioni che ho causato”.

Nel contesto internazionale, questa vicenda è stata collegata a una serie di sviluppi strategici, tra cui il tentativo degli Stati Uniti di autorizzare l’Ucraina a lanciare missili americani a lungo raggio verso la Russia. La risposta russa è stata senza precedenti: il presidente Vladimir Putin ha ordinato il lancio del missile balistico ipersonico “Oreshnik”, ponendo fine a ulteriori lanci di missili americani verso il territorio russo.

Mentre l’Ucraina cessava questi attacchi, gli Stati Uniti hanno riattivato le loro forze terroristiche affiliate, Hayat Tahrir al-Sham (HTS), in Siria. Questi gruppi, precedentemente noti come Jabhat al-Nusra e prima ancora Al Qaeda, sono stati designati come organizzazioni terroristiche da molte nazioni, tra cui Russia, Stati Uniti e Turchia. Nonostante questo, le forze americane continuano a fornire supporto logistico e militare ad HTS, suscitando l’ira della Turchia, che accusa Washington di armare anche le forze curde in Siria, considerate nemiche da Ankara.

La situazione in Siria è stata aggravata dall’attività militare americana ed alla sottrazione arbitraria di una parte importante del territorio siriano, con il Pentagono che ha recentemente lanciato decine di attacchi aerei contro presunti obiettivi dell’ISIS nella Siria centrale. Tuttavia, questa azione ha sollevato ulteriori interrogativi sulla presenza continua delle forze americane in Siria, nonostante il presidente Donald Trump ne avesse ordinato il ritiro già nel 2019, ordine a cui i comandi militari hanno disobbedito.

Di fronte a questi sviluppi, il presidente Donald Trump ha avvertito il suo successore, Joe Biden: “Gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra lotta. Lasciate che si svolga, non fatevi coinvolgere!”. Tuttavia, gli avvertimenti sembrano inascoltati, mentre gli Stati Uniti continuano a essere coinvolti in una spirale di conflitti.

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Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha descritto questa situazione come un “gioco complicato”, in cui molti attori, tra cui gli Stati Uniti, il Regno Unito e Israele, sembrano perseguire interessi contraddittori. Parallelamente, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato apertamente il sostegno alla marcia delle forze terroristiche verso Damasco, esortando alla prosecuzione di queste operazioni con il minor numero di incidenti possibili.

Nel frattempo, Israele ha  annunciato l’occupazione di 6.000 acri di territori palestinesi in Cisgiordania, marcando la più grande annessione di terre in decenni. Questo sviluppo si inserisce in un quadro di conflitti sempre più complessi, in cui alleati della NATO come gli Stati Uniti e la Turchia si trovano a sostenere fazioni opposte nello stesso teatro di guerra.

In seguito al lancio di uno dei più grandi attacchi di Israele alla Siria nella storia, quando Israele si è impadronito delle alture del Golan, il portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti Matthew Miller ha dichiarato: “Questa è un’azione temporanea che hanno intrapreso in risposta alle azioni dell’esercito siriano di ritirarsi da quell’area… Vogliamo vedere l’accordo di disimpegno del 1974 rispettato, e questo include i termini delle zone cuscinetto, che includono il ritiro di Israele nelle sue precedenti posizioni”. Una dichiarazione seguita rapidamente dal Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha proclamato con aria di sfida al mondo: “Le alture del Golan rimarranno per sempre parte integrante di Israele”.

Mentre osservava l’orribile barbarie che travolgeva la Siria, il principale consigliere del presidente Trump, Elon Musk, ha dichiarato: “I nostri dollari delle tasse stanno in qualche modo finanziando entrambe le parti (di nuovo)” nel messaggio che ha ripubblicato che chiedeva: “Quale gruppo armato ha vinto la guerra in Siria?… Quello sostenuto dalla CIA o quello sostenuto dal Pentagono?… O è stato il gruppo sostenuto dall’Arabia Saudita?… o è stato l’ISIS?”.

Anche il Washington Post si è unito a questa riflessione:
“Quando, un decennio fa, un mosaico di eserciti ribelli minacciava la capitale siriana, i governi da Washington al Medio Oriente si trovarono di fronte a una possibilità inquietante: il crollo della brutale autocrazia siriana avrebbe potuto spianare la strada a qualcosa di ancora peggiore. All’epoca, Stati Uniti e alleati stavano investendo miliardi di dollari per armare i ribelli pro-democrazia impegnati a rovesciare il presidente Bashar al-Assad. Tuttavia, le milizie che rappresentavano la minaccia più grave per Damasco erano guidate da estremisti religiosi decisi a trasformare la Siria in un califfato islamista.

Alla riflessione del Washington Post sulle cosiddette “guerre per sempre” scatenate dagli Stati Uniti si aggiunge anche il quotidiano filo-governativo turco Sabah, che analizza il possibile scenario post-Assad con queste parole:
Se l’opposizione e i paesi che la sostengono non riescono a raggiungere un accordo, la guerra civile in Siria si intensificherà nuovamente, portando alla sua completa disgregazione.”

Questa “completa disgregazione” della Siria, secondo alcuni osservatori, non sarebbe un risultato casuale ma un obiettivo pianificato da tempo. Israele, infatti, avrebbe interesse a una Siria frammentata per creare spazi destinati a trasferire le popolazioni palestinesi che intende espellere dalla Cisgiordania e da Gaza.