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Una lunga e itinerante intervista a Enzo Bianchi appare sul Corriere della Sera a firma Elvira Serra: la giornalista è andata direttamente a Bose dove il monaco laico ha fondato e dirigeva fino allo scorso gennaio la Comunità di preghiera con monaci di entrambi i sessi. Provengono da Chiese cristiane diverse e per questo motivo il suo fondatore Bianchi è da sempre considerato un outsider non sempre “ortodosso” in alcune posizioni sulla Chiesa Universale Cattolica; una intervista che ripercorre l’intera vita di Enzo Bianchi, uno dei più grandi estimatori di Papa Francesco ma anche amico di Ratzinger e critico di Papa Wojtyla. Insomma, un personaggio che per prima cosa va considerato per quello che è: non è un prete, non è un vescovo e neanche un Cardinale – anche se alcune voci lo davano come probabile “nominato” da Bergoglio per il prossimo conclave, ecco qui il retroscena di qualche mese fa – ma un uomo “innamorato” di Cristo che in più occasioni si è esposto su varie tematiche centrali della fede cristiana (anche se troppo spesso, forse, considerato un autentico esponente della Chiesa Cattolica, senza esserlo).
“GESÙ È IMPOSSIBILE AMARLO”, ECCO PERCHÈ..
Buona parte dell’intervista si concentra sul ruolo della donna nella Comunità di Bose e nella stessa Chiesa, con l’intervistatrice che spinge molto su questo tasto partendo dallo “scandalo” di due fidanzate nel passato dell’ex priore di Bose: «Sui vent’anni ho avuto due ragazze con cui c’è stato un rapporto di giovani innamorati. Si sono sposate, ci vediamo ancora quando vengono a trovarmi a Bose». In realtà è un elemento normalissimo, come tanti altri preti hanno vissuto nel corso della loro gioventù: come amava ripetere Giovanni Paolo II, essere preti significa essere innamorati della vita, e chi ha vissuto l’amore in gioventù per una donna non è affatto da condannare, anzi è un fattore di positiva attestazione della vitalità personale e affettiva, pronta a donare la propria vita per Cristo come unica vera fonte di amore. Proprio su questo concetto però ci soffermiamo, seguendo un altro passaggio minoritario nell’intervista ma interessante per i risvolti religiosi e umani: «il mio passo prefetto del Vangelo è quello di Giovanni 21. Gesù chiede a Pietro: “Simone, mi ami più di tutte le tue cose?”. Attenzione, traducono “mi ami più di tutti gli altri”, ma sarebbe vergognoso se Gesù mettesse in concorrenza Pietro con gli altri discepoli. Qui ci sono due verbi, agapao, ti amo, e fileo, ti voglio bene. Pietro risponde sempre ti voglio bene, lo stesso farò io quando mi sarà chiesto conto». Insomma, per il priore di Bose non si può realmente amare Gesù: «noi non conosciamo l’amore fino in fondo, a Gesù possiamo dire solo: cerco di volerti bene. Pietro sapeva di avere rinnegato Gesù tre volte, e io come posso dire di non averlo mai rinnegato?». Secondo Bianchi l’uomo spesso dimentica e tradisce la richiesta di Cristo, fa peccato di “omissione” e lui stesso dice di averlo fatto nella sua vita da laico monaco: «Sono quelli che mi bruciano di più la lingua quando annuncio il Vangelo, perché dico agli altri quello che nella vita non sempre sono riuscito a fare».
LE CRITICHE A GIOVANNI PAOLO II
Il dubbio e la discussione è quanto di più descrittiva per l’opera di Enzo Bianchi: un dubbio sulla sua fede nella Chiesa, il dubbio nel suo rapporto con Dio, il dubbio come fattore di indagine e di scoperta. Per il priore di Bose, non sempre ortodosso nel suo seguire la Chiesa – tant’è che spesso viene accusato di “tenere” insieme più anime diverse del cristianesimo, predicando per Chiese e confessioni diverse – l’amore di Dio è elemento essenziale: «La fede è faticosa, è una lotta, come dice San Paolo, non è una pace. Nella fede si vivono tanti dubbi, poi l’amore per il Signore Gesù Cristo vince sul dubbio e si va avanti così. Ma si ricordi che il monaco è un esperto di ateismo. Il monaco sa che ogni uomo ha l’inferno dentro di sé, ha delle regioni non evangelizzate, degli abissi che deve esplorare. Gli atei sentono una vicinanza e una simpatia per i monaci per la ricerca solitaria profonda in cui a volte nell’oscurità si incontra la nientità, che è niente di niente: sa che vertigini può dare?». Questo dubbio però non ha tolto un profondo rapporto con gli ultimi sei pontefici vissuti e che lo stesso Bianchi ha incontrato nella sua lunga “militanza” nel Canavese: «Pio XII è stato il papa dell’ammirazione di un ragazzo: a 9 anni sono stato da lui e gli ho portato una damigianina di vino del Monferrato, ero stato premiato per la conoscenza del Vangelo con altri bambini di ogni regione». Parole dolci “al miele” per Giovanni XXIII – «Grazie a lui e al Concilio esiste Bose» – Paolo VI («L’ho amato per la finezza spirituale, la cultura, la capacità di sentire la modernità e anche la sua sofferenza») e Benedetto XVI, «Ratzinger Per me un grande teologo e un caro amico che conosco dal 1976. Mi ha nominato esperto a due sinodi: è stato un gesto di elezione e fiducia verso di me di cui gli sarò sempre grato». Non lesina invece critiche al Santo Padre Giovanni Paolo II, considerato da sempre per Bianchi uno dei maggiori “freni” del Concilio Vaticano II, per il priore di Bose una pietra miliare nella storia della Chiesa. «Da un lato lo amavo per le aperture all’umanità e alle religioni, dall’altro mi sembra che qualche volta avesse una interpretazione restrittiva del Concilio Vaticano II». Oggi è felicemente “schierato” per l’opera di Francesco che reputa abbia portato nella Chiesa una primavera, un’apertura, «un clima di libertà e un’attenzione ai poveri di cui mi rallegro».
FONTE : ILSUSSIDIARIO.NET
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