Il magazine americano Foreign Policy riferisce in un articolo intitolato “White House Officials Push for Widening War in Syria Over Pentagon Objections” che “un paio di alti funzionari della Casa Bianca stanno spingendo per ampliare la guerra in Siria, considerandola un’opportunità per confrontarsi con l’Iran e le sue forze proxy sul terreno”.
Questi due funzionari “molto attivi in questo senso sono Ezra Cohen-Watnick, il direttore per l’intelligence nel Consiglio di Sicurezza Nazionale, e Derek Harvey, alto consigliere per il Medio Oriente”.
Citando fonti ben informate all’interno della Casa Bianca, Foreign Policy dice che Ezra Cohen-Watnick e Derek Harvey “vogliono che gli Stati Uniti inizino un’offensiva nel sud della Siria” diretta contro i combattenti filo-iraniani.
Quindi “le azioni contro l’esercito siriano lanciate nelle scorse settimane sono da legare all’azione di questi falchi dell’amministrazione USA“. A quando pare le azioni americane sarebbero state ben più aggressive se non si fosse opposto nelle ultime settimane il Segretario alla Difesa James Mattis.
Questo orientamento preso dall’amministrazione USA hanno reso gli iraniani sempre più nervosi tant’è che un loro drone “ha attaccato le forze Usa di pattuglia con siriani alleati vicino a un avamposto americano di al-Tanf“. Il drone è stato poi prontamente abbattuto da un aereo dell’US Air Force.
I funzionari contattati da Foreign Policy hanno riferito che” nonostante la spinta per una posizione più aggressiva esercitata da alcuni funzionari della Casa Bianca, Mattis, i comandanti militari, e i top diplomatici statunitensi tutti, si oppongono l’apertura di un fronte più ampio contro l’Iran e contro le sue deleghe a sud-est della Siria”, vedendolo la cosa come “una mossa rischiosa che potrebbe trarre gli Stati Uniti in uno scontro pericoloso con l’Iran”.
Infatti, “un eventuale scontro potrebbe innescare ritorsioni contro le truppe statunitensi dispiegate in Iraq e in Siria, dove Teheran ha armato migliaia di miliziani sciiti e distribuito centinaia di ufficiali della Guardia Rivoluzionaria”.
Il gen. Mattis, il generale Joseph Dunford, il presidente del Joint Chiefs, e Brett McGurk, il diplomatico statunitense che sovrintende la coalizione di Stato anti-ISIS, sono tutti favorevoli a mantenere il focus sull’offensiva contro lo Stato Islamico sulle sue restanti roccaforti”.
La linea ufficiale del Pentagono è che “non ha alcuna intenzione di combattere le forze che sostengono il presidente siriano Bashar al-Assad, a meno che non sia provocato” (cioè loro sparano ma l’esercito siriano non deve rispondere).
Sebbene la linea ufficiale del Pentagono è che non esiste “non ha alcuna intenzione di combattere le forze che sostengono il presidente siriano Bashar al-Assad, a meno che non sia provocato”, la dichiarazione del Pentagono stride con quando avviene sul terreno: è di oggi l’abbattimento di un JET siriano Su-22 che operava legittimamente in Raqqa contro lo Stato Islamico. Sembra che sia stato abbattuto da forze appartenenti alla coalizione USA che hanno diffuso un comunicato che l’aereo siriano è stato abbattuto “perché attaccava forze alleate”.
Le circostanze sono da chiarire, ma la giustificazione è improbabile: la località dove è avvenuto l’abbattimento era Ja’din che era stata liberata dalle forze Tiger appena stamattina. Quindi il comunicato mente perché dice aver abbattuto jet siriano che attaccava SDF.
Comunque le forze USA sono intervenute in area zone di operazioni dell’esercito siriano contro ISIS e non in area ‘de-conflict’. Più probabilmente gli USA cercano di rallentare l’avanzata delle forze TIGER e prendono ogni parvenza di pretesto plausibile.
Subito dopo l’Iran ha lanciato missili balistici “terra – terra” missili a medio raggio su obiettivi takfiri in provincia di Deir Ezzor ( Reuters ) I missili “sono stati lanciati dalle basi del IRGC nelle province di Kermanshah e Kurdistan” (TASS).
Quindi la tensione sale e l’Iran lancia un avvertimento. La differenziazione tra il pensiero dei falchi e il Pentagono è infatti sul modus operandi e non sull’ostilità all’Iran che comunque è condivisa.
In questa posizioni conflittuali Foreign Policy presuppone che il responsabile per la Sicurezza Nazionale HR McMaster appoggi Mattis e la posizione del Dipartimento della Difesa ‘per il proprio background militare’. Di oggettivo c’è infatti che McMaster ha avuto precedenti scontri con Cohen-Watnick e Harvey, entrambi i quali lavorano per lui, ma a volte hanno cercato di aggirarlo.
McMaster cercò anche di rimuovere Cohen-Watnick dall’interno dello staff presidenziale ma Cohen-Watnick fece appello a due consiglieri chiave – Steve Bannon e Jared Kushner – che a loro volta chiesero a Trump di bloccare il movimento.
Ma non è stata solo questa la mossa: “Harvey ha cercato di sconfiggere il suo capo cercando di riciclare i cosiddetti reduci di Obama facendoli rientrare nel Consiglio di sicurezza nazionale, ancora una volta facendo appello al presidente e il suo capo stratega, Steve Bannon. Ma McMaster ha rifiutato queste nomine”.
Foreign Policy osserva che “mentre i funzionari sostengono a Washington la loro strategia e si contendono l’influenza nell’amministrazione, gli eventi sul terreno in Siria si stanno muovendo rapidamente, aumentando il potenziale di un conflitto involontario”.
Infatti: “I combattenti pro-Assad, un mix di milizie sciite, le truppe siriane, libanesi e miliziani Hezbollah insieme a consulenti iraniana Corpo delle Guardie rivoluzionarie, hanno continuato ad avventurarsi vicino alle forze Usa alla base di al-Tanf nonostante gli avvertimenti di tenersi distanti“..