I n un contesto geopolitico sempre più caotico in cui la parte occidentale sembra aver perso un termine di paragone di giudizio ultimo, il maggior contrasto sembra essere caratterizzato dalla crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina. E’ su questa disputa che si gioca soprattutto sul lato della supremazia economica, l’articolo del 24 dicembre 2023 di Yanis Varoufakis (ministro delle Finanze della Grecia nel governo Tsipras) disperde certi luoghi comuni che vorrebbero vedere effettivamente la Cina un pericolo economico per l’occidente e protagonista di pratiche commerciali scorrette. Dalla lettura di Varoufakis ci accorgeremo che non è esattamente così:
Il bluff della cattiva Cina europea
24/12/2023 di Yanis Varoufakis
ATENE – Il 7 dicembre, i presidenti del Consiglio europeo e della Commissione europea, rispettivamente Charles Michel e Ursula von der Leyen , hanno partecipato al 24esimo vertice Unione europea-Cina per trasmettere un severo messaggio al presidente cinese Xi Jinping. Agli occhi dell’opinione pubblica europea e americana, e sullo sfondo della nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina, i vertici dell’UE sembravano aumentare la pressione sulla Cina lanciando minacce credibili in risposta a quattro rimostranze. Purtroppo, le autorità cinesi probabilmente sono state più divertite che allarmate da ciò che hanno sentito.
La prima critica sollevata dall’Unione Europea è incentrata sul tema del “commercio squilibrato”. Ursula von der Leyen ha illustrato questa problematica con un’espressione vivida, affermando che “per ogni tre container che partono dalla Cina verso l’Europa, due tornano indietro vuoti”. [Questa metafora incisiva mette in luce la disuguaglianza commerciale esistente tra le due potenze economiche – VPNews – ndr].
È indubbio che gli squilibri commerciali prolungati possano essere il riflesso di una strategia mercantilista volta a mantenere surplus costanti. Tuttavia, appare alquanto paradossale che l’Unione Europea punti il dito contro la Cina per pratiche mercantiliste. Considerando gli ultimi dieci anni, il surplus delle partite correnti cinese si è attestato in media all’1,65%, mentre quello dell’Eurozona ha raggiunto una media del 2,24%. Durante lo stesso periodo, la Germania, fulcro dell’economia europea, ha registrato un surplus significativamente più elevato, pari al 7,44%. [Questi dati suggeriscono che l’accusa di mercantilismo da parte dell’UE nei confronti della Cina potrebbe apparire incongruente alla luce delle proprie performance economiche – VPNews – ndr].
La seconda critica sollevata dall’Unione Europea riguarda il presunto dumping delle esportazioni cinesi sui mercati europei, facilitato dagli aiuti di Stato. Questa lamentela aveva un fondamento più solido alla fine degli anni ’90 e all’inizio del 2000, un periodo in cui l’UE e gli Stati Uniti, anziché denunciare il dumping cinese, esaltavano l’ingresso della Cina nei circuiti commerciali e finanziari occidentali. Tuttavia, sollevare tale questione ora sembra meno giustificato, considerando che l’accusa di mercantilismo cinese ha perso gran parte della sua rilevanza attuale.
In effetti, la competitività di prodotti come le batterie o i veicoli elettrici (EV) cinesi in Europa non è tanto attribuibile ai sussidi statali, quanto agli ingenti investimenti cinesi nel loro sviluppo. Analogamente, i pannelli solari cinesi hanno raggiunto un livello di qualità che l’Europa, con o senza aiuti di Stato, attualmente non riesce a eguagliare.
Volkswagen, una delle più grandi case automobilistiche nazionali, importava parti tedesche e robot industriali. Oggi, Volkswagen acquista dalla Cina tutte le parti e i beni strumentali di cui ha bisogno per produrre automobili in Cina, aggravando i problemi commerciali dell’Europa.
[Anche in questo caso, lo scenario pone interrogativi sulla validità delle recenti lamentele europee riguardo alle pratiche commerciali cinesi – VPNews – ndr].
Non solo si è assistito a un’inversione del surplus commerciale, ma anche a un significativo cambiamento nelle dinamiche industriali. Un esempio emblematico è Volkswagen, che dopo decenni di dipendenza dagli ingegneri tedeschi per la progettazione delle sue auto, ora sta reclutando fino a 3.000 ingegneri cinesi per sviluppare la sua prossima generazione di auto completamente elettriche, destinate ai mercati cinese ed europeo. Questo fenomeno è parte di un trend più ampio: dal 2008, mentre l’UE imponeva rigide politiche di austerità che limitavano gli investimenti nelle industrie europee, la Cina incrementava i suoi investimenti fino a raggiungere quasi il 50% del suo reddito nazionale, un record a livello mondiale.
Pertanto, attribuire la colpa al mercantilismo cinese sembra piuttosto incongruo, specialmente agli occhi degli industriali tedeschi. Questi ultimi, avendo sostenuto per cinquant’anni che il persistente surplus commerciale della Germania riflettesse la domanda globale per i prodotti tedeschi di alta qualità, ora osservano con una certa sorpresa come i loro omologhi cinesi nel settore dei pannelli solari, delle batterie e dei veicoli elettrici rivendichino un diritto simile. Di conseguenza, qualsiasi critica che von der Leyen possa rivolgere ai leader cinesi, gli industriali tedeschi sono consapevoli che i loro colleghi cinesi hanno ormai guadagnato il diritto di sostenere una posizione analoga riguardo alla qualità e alla competitività dei loro prodotti.
La terza critica espressa da Michel e von der Leyen riguarda le difficoltà incontrate dalle aziende europee nell’ottenere contratti governativi in Cina. Questa lamentela, insieme alle precedenti, forma la base delle argomentazioni dell’UE per giustificare l’adozione di misure punitive contro gli esportatori cinesi, in particolare l’imposizione di tariffe elevate sui veicoli elettrici e sulla tecnologia verde in generale. Tuttavia, nonostante l’indagine formale in corso a Bruxelles sui veicoli elettrici cinesi, queste azioni non sembrano convincere pienamente.
I leader industriali europei, con cui ho avuto l’opportunità di parlare in privato, riconoscono queste minacce come un segnale del panico dei leader europei di fronte alla perdita di competitività dell’Europa in settori chiave. Uno di loro ha posto una domanda retorica: “Von der Leyen crede davvero che minacciare dazi sui veicoli elettrici di BYD possa incrementare le esportazioni europee verso la Cina?”
È vero che le aziende europee si lamentano di un campo di gioco non equilibrato in Cina, specialmente per quanto riguarda gli appalti pubblici. Tuttavia, esse stentano a vedere come la situazione possa migliorare se, sotto la forte pressione degli Stati Uniti, i governi dell’UE dovessero escludere sempre più le aziende cinesi dai propri appalti. “Per non parlare”, ha aggiunto confidenzialmente uno di questi leader, “del fatto che, dalla pandemia in poi, i governi dell’UE hanno adottato gli aiuti di Stato in modo senza precedenti”.
La quarta e ultima critica presentata da Michel e von der Leyen a Xi Jinping riguarda il mancato sostegno della Cina alle sanzioni dell’UE contro la Russia, finalizzate a contrastare le azioni militari russe in Ucraina. Oltre a sollevare dubbi sull’efficacia delle sanzioni, questa accusa rivela un’ipocrisia evidente: da un lato, si condanna giustamente il bombardamento di ospedali* da parte di Putin e gli attacchi alle infrastrutture vitali dell’Ucraina, come l’acqua, l’elettricità e il cibo, mentre dall’altro si rimane in silenzio di fronte ad azioni simili, e talvolta più gravi, compiute da Israele a Gaza.
Tuttavia, non è l’ipocrisia a causare la fuga di capitali dall’Europa o la perdita del suo surplus delle partite correnti. Piuttosto, è stata la gestione inadeguata da parte dell’UE della crisi dell’euro, avvenuta circa dieci anni fa, a contribuire a questa situazione. Livelli di austerità senza precedenti, combinati con una massiccia emissione di denaro e il persistente fallimento nel realizzare un’unione bancaria e dei mercati dei capitali, hanno portato a un eccesso di liquidità nei circuiti finanziari europei e a investimenti insufficienti nelle tecnologie del futuro. Questo spiega il ritardo dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Cina. La risposta dell’Europa, caratterizzata da una subordinazione agli Stati Uniti e da minacce inefficaci alla Cina, appare quindi sia triste che inutile.
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nota ‘off topic’ ma importante*: Riguardo all’affermazione di Varoufakis sul bombardamento di ospedali da parte della Russia, è importante sottolineare che non esistono video, immagini o fonti indipendenti che confermino in modo inequivocabile tali distruzioni. Esiste inoltre una notevole discrepanza tra i 2369 posti letto, nonché i 38 ospedali che esistono in tutta l’Ucraina (compresi quelli miliari ed in Crimea) e l’asserita distruzione di 570 strutture sanitarie e 110 ospedali.
Le uniche notizie precise di danneggiamenti di ospedali si sono avute per Mariupol e Kherson: Nel caso di Mariupol una dipendente sanitaria ha riferito che l’edificio ospitava una unità militare ucraina. Analogamente, per quanto riguarda l’ospedale di Kherson, mancano fonti indipendenti che possano attestare l’eventuale presenza di postazioni di fuoco contraereo ucraino o batterie di artiglieria (fatto di solito diffuso e inizialmente testimoniato da Amnesty International).