Chi non crede in Dio, crede a tutto
di Giulio Boscagli Resegoneonline
Come una molla a lungo repressa e improvvisamente rilasciata, le paure e le tensioni che il virus di Wuhan ha generato in tutto il mondo isolando cittadini e attività, improvvisamente sono esplose in occasione dell’uccisione da parte della polizia di George Floyd a Minneapolis negli Stati Uniti.
A partire da quella città, prima in America e poi rapidamente in tutto il modo grazie alla civiltà dei social, manifestazioni nate per condannare questa violenza sono diventate rapidamente manifestazioni contro il razzismo e, infine, contro la stessa storia dei Paesi occidentali.
Abbiamo visto abbattere, decapitare e imbrattare monumenti eretti nelle città in ricordo di personaggi famosi senza alcun rispetto della storia ma con una chiara dimostrazione di mancanza di intelligenza e cultura da parte dei novelli iconoclasti.
Forse che tagliando la testa alla statua di Cristoforo Colombo o imbrattando quelle di Lincoln, Churchill, De Gaulle o Montanelli si può cambiare la storia, modificare il corso di eventi ormai passati?
Ma c’è qualcosa di più profondo della semplice ignoranza che arma questi vandalismi. Lo ha spiegato il cardinale Ratzinger fin dalla sua magistrale lezione al Senato della Repubblica nel 2004, parlando dell’Europa: «C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere».
Sono passati sedici anni da quel discorso e siamo oggi tutti più consapevoli che la sopravvivenza dell’Europa (intesa ovviamente come Unione Europea) è fortemente in questione: non innanzitutto per i cosiddetti sovranismi o populismi, ma soprattutto perché essa non sa più chi è, quale è la sua storia, la sua identità.
Sono i poeti a ricordarcela, come il premio Nobel Milosz in un passaggio della sua poesia “Fanciullo d’Europa”: «Tieni da conto i talenti acquisti, fanciullo d’Europa. Erede delle cattedrali gotiche, delle chiese barocche . E delle sinagoghe dove risuonava il pianto d’un popolo oltraggiato, Discendente di Cartesio e Spinoza, erede della parola “onore”, Figlio postumo di Leonida, Rispetta i talenti acquisiti nell’ora dell’orrore. Hai una mente allenata, immediata nel distinguere I lati buoni e cattivi di ogni cosa. Hai una mente scettica ed elegante, fonte di piaceri Quali neppure immaginano i popoli primitivi».
Il miglior commento a questi versi lo troviamo nelle parole di Benedetto XVI al Parlamento di Berlino: «A questo punto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturale dell’Europa. Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire.
Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma.
Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico».
In questo tempo in cui l’ignoranza e la violenza riempiono le strade, in cui la scelta tra il bene e il male sembra essere una decisione ideologica o politica, noi, come attempati “fanciulli d’Europa” siamo chiamati a imbracciare le armi della verità, a testimoniare a favore di una ragione come “apertura alla realtà, capacità di afferrarla e affermarla nella totalità dei suoi fattori” ( Luigi Giussani).
Solo così possiamo guardare ai fatti del passato con realismo, condannando il male compiuto ma anche esaltando il tanto bene realizzato; possiamo legittimamente protestare per l’uccisone di Floyd se protestiamo anche per le centinaia di cristiani nigeriani massacrati ogni giorno; scandalizzarci legittimamente per la sposa bambina del famoso giornalista se sappiamo fare altrettanto per tutte le bambine cristiane che oggi, in Pakistan e altrove subiscono la violenza del matrimonio e della forzata conversione.
Questo strabismo nel racconto e nella valutazione che riempie oggi la grande informazione e avvelena il giudizio del popolo è causa non secondaria della decadenza occidentale.
Per uscirne serve una grande riforma che non può che essere innanzitutto spirituale. Ce lo ricorda un religioso musulmano, il gran Muftì di Bosnia che nel 2009 così diceva al giornalista de “Ilsole24Ore”: «L’Occidente deve passare per una rivoluzione spirituale. L’attuale collasso economico non è una questione di crisi finanziaria: è una crisi morale.
Credo che l’Occidente sia colpevole di sette grandi peccati: benessere senza lavoro, educazione senza morale, affari senza etica, piacere senza coscienza, politica senza principi, scienza senza responsabilità, società senza famiglia, e ne aggiungerei un altro: fede senza sacrificio. Ora, qual è la soluzione? Sostituire i “senza” con altrettanti “con”».
Sembrano quasi i punti di un programma politico ma prima ancora culturale su cui meriterebbe di impegnare energie, soprattutto attenzione da parte di cristiani che non accettano di restare chiusi nei recinti che la cultura dominante sempre di più pare riservare loro.
Alla società contemporanea smarrita rilanciamo la proposta che il cardinale Ratzinger fece a Subiaco pochi mesi prima di essere eletto papa: «il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo.
Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita ‘veluti si Deus daretur’, come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».
È una battaglia culturale non facile, l’avversario, la cultura dominante, è forte e attrezzato; serve una testimonianza coraggiosa unita a quell’ironia che fa scrivere a Chesterton: «Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate» per concludere, con lo scrittore «chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto». E delle conseguenze di questa credulità abbiamo oggi fin troppi esempi.
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fonte: http://www.resegoneonline.it/articoli/editoriale-chi-non-crede-in-dio-crede-a-tutto-20200618/?fbclid=IwAR1XECKJLTdTHGzvaY15NGMv9Ic7D2aSPto5ExM0yPbMiDPl3pAWg21P6MY
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