Francia. Rapporto sull’infiltrazione islamica nei servizi pubblici. 27 giugno 2019

 

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Cinquantatré ispezioni, sessanta ore di registrazioni, sette mesi di indagini hanno prodotto il rapporto sull’infiltrazione islamica nei servizi pubblici e che sta destabilizzando la Francia. Sono due i parlamentari,  Éric Diard – del partito repubblicano – e  Éric Poulliat –  della République En Marche del presidente Emmanuel Macron! – che lo hanno firmato.

Un lavoro lungo e faticoso che sullo sfondo ha tenuto dal principio una sola osservazione: l’islam in Francia si è radicalizzato in maniera troppo pericolosa. Le prime informazioni erano state pubblicate, una settimana fa circa, su Le Point e raccontavano che, al 29 maggio, 21.039 persone sono state registrate nei file per la prevenzione della radicalizzazione a carattere terroristico. Di queste, 10.092 sono considerate come “profili attivi”. E tra questi vi sono più di 1500 “individui che esercitano o hanno esercitato una o più professioni qualificate come ‘sensibili’ per via della natura dell’attività svolta (trasporti via terra, attività di sicurezza privata o accoglienza del pubblico)”.

Oggi del rapporto abbiamo a disposizione ampi stralci che evidenziano, per esempio, come “la politica di prevenzione e individuazione della radicalizzazione sia molto poco aggiornata all’interno del servizio sanitario pubblico”. Si propone quindi di “fornire posti a tempo pieno dedicati ad individuare chi si occupa della radicalizzazione in quegli ambienti” e non solo. I deputati credono sia necessario effettuare indagini non solo per l’assunzione di operatori sanitari, ma in ogni settore pubblico. E soprattutto notano ormai l’urgenza di creare in ogni ufficio un comitato per la sicurezza.

Diard e Poulliat hanno riscontrato “infiltrazioni” islamiste, nella loro Francia, un po’ ovunque. Perché, confermano, “la radicalizzazione islamica ha un’incredibile varietà di forme”. E’ per questo che i francesi oggi fanno i conti con i terminal dei bus e interi quartieri vietati alle donne, con le preghiere collettive negli spogliatoi di qualsiasi sport e di ogni categoria. La Francia ha imparato a prendere dimestichezza con gli allenamenti che non prevedano la contemporaneità di donne e uomini.

Con il rifiuto di alcun gesto di riverenza nei confronti dell’avversario, perché “ci si inchina solo davanti ad Allah”, con il hijab ovunque, anche sul capo di bambine di nove anni. Con la pretesa che tutte le federazioni sportive approvino il codice di abbigliamento islamico; con gli ufficiali di polizia salafiti; con i club aperti a soli uomini. Con i sessi separati a scuola e le preghiere al lavoro. Oltre alle discriminazioni contro i colleghi non musulmani.

I deputati chiedono, allora, una certa urgenza nel prendere coscienza dell’emergenza. Anche perché se c’è un ambito dove la radicalizzazione islamica pare fuori controllo, questo è il servizio carcerario. Da marzo, sono stati registrati ben due attentati terroristici (a Condé-sur-Sarthe e Le Havre) e, secondo Éric Diard (LR), sono numerosissimi i casi di supervisori delle prigioni sospettati di radicalizzazione e noti persino ai servizi di intelligence. Ma quella delle carceri francesi è ormai una dimensione che offre una ricchissima letteratura fatta di continue aggressioni agli ufficiali da parte dei detenuti musulmani e di biblioteche riempite da volumi islamici su cui si fa studiare chi è dietro le sbarre.

Nel 2015 un rapporto ufficiale sulle carceri del senatore francese Jean-René Lecerf citava uno studio secondo il quale, in quattro dei più grandi penitenziari francesi, oltre il 50 per cento dei detenuti è musulmano. Intervistato da Le Figaro, Diard ha chiesto espressamente di “setacciare tutte le professioni pubbliche, perché l’islam è ovunque”. Dopo il voto del 2016 che ha approvato la cosiddetta “Legge Savary”  – che mira a rafforzare la prevenzione e la lotta contro le inciviltà, gli attacchi alla sicurezza e contro gli attentati terroristici grazie ad una sorta di agenti in borghese -, è emerso non solo come la radicalizzazione islamica imperversi, ma quanti settori continuano a rimanere fuori da ogni tipo di inventario. Diard, sempre dalle pagine de Le Figaro, chiede che vengano “schermate” tutte le professioni che si occupano di servizio pubblico oltre a preservare la riservatezza del lavoro della polizia e dei servizi di intelligence. Perché, come aveva già detto a marzo, “siamo due passi indietro rispetto al problema della radicalizzazione islamica”.

(Fonte: La nuova Bussola Quotidiana)

 

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