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Un articolo del Financial Times fa cadere un altro caposaldo della propaganda “eurista” e chiarisce quale sia la parte più vulnerabile nella Brexit dal punto di vista finanziario: l’Unione Europea. Oggi, con una sicumera che rasenta l’arroganza, i funzionari UE fanno mostra di indifferenza, ma la verità è che Londra rimane l’insostituibile capitale finanziaria d’Europa, con collegamenti verso i mercati mondiali. Le banche europee continueranno dunque ad avere la necessità di operare con le proprie sedi a Londra. Una linea dura contro il Regno Unito durante le trattative andrebbe dunque a tutto svantaggio della stessa UE, che non saprebbe oggi sostituire il ruolo che ha la capitale britannica.
di Reza Moghadam, 20 luglio 2017
Il fatto che i funzionari UE ignorino gli avvertimenti sul probabile colpo al mercato dei capitali che arriverà dalla Brexit, potrebbe essere semplicemente una questione di fiducia. Dopotutto ultimamente le ragioni di ottimismo non sono mancate: una maggiore ripresa dell’economia, la sconfitta degli euroscettici nelle ultime elezioni e la speranza di riforme più incisive portate avanti da Francia e Germania, oltre a posizioni più unitarie su alcuni punti fondamentali, tra cui la Brexit.
Ma la tranquillità dell’Europa sulle prospettive del mercato dei capitali riflette qualcosa di più che un semplice ottimismo. È fondata su due assunzioni di base. La prima è che le banche di investimento globali della City di Londra, non avendo un “passaporto” normativo per fornire servizi ai clienti UE da Londra dopo la Brexit, possano agevolmente svolgere la loro attività nel continente, con poche differenze nella gamma e nel prezzo dei servizi forniti. La seconda è che, laddove ci fossero delle differenze, queste possano essere colmate dalle banche europee. Entrambe queste assunzioni sono erronee.
Si consideri per prima cosa lo spostamento delle maggiori banche di investimento della City, soprattutto quelle statunitensi e britanniche, verso il continente europeo. Se devono rispondere direttamente alle autorità di vigilanza europee, devono fondare delle società controllate nella UE. Ma una società sussidiaria, come soggetto distinto sotto il profilo giuridico, è costosa, raddoppiando non solamente i costi fissi di gestione e dei sistemi di informazione, ma anche i costi in conto capitale.
Una sussidiaria necessita di un maggior capitale, perché sul piccolo mercato del continente non può diversificare il rischio con la stessa efficacia che a Londra. La società principale ha bisogno di maggior capitale perché i prestiti da Londra verso la società controllata sono considerati esposizioni verso l’estero. Risultato: minore redditività e remunerazione del capitale, e di conseguenza pressioni per ridimensionare i servizi o alzare i prezzi.
Si considerino poi le banche europee. Non potrebbero, queste, intervenire facilmente al posto delle banche londinesi? No. Le branche di investment banking delle banche europee hanno sede a Londra, da dove hanno accesso ad un mercato globale di volume maggiore a costi minori. In quanto succursali sono soggette alla vigilanza delle autorità europee e capitalizzate nel bilancio consolidato, senza dover duplicare i costi fissi e senza la necessità di capitale richiesto per le società sussidiarie.
Non è ancora chiaro se le banche europee potranno continuare a operare come succursali a Londra anche dopo la Brexit – il Regno Unito ha lasciato questo quesito aperto per le trattative. Ciò che è chiaro è che se il Regno Unito dovesse fare come l’Unione Europea, e pretendere che le banche dell’altra parte accedano ai suoi mercati solamente in qualità di società sussidiarie [anziché come succursali], allora anche le banche europee soffrirebbero di un rialzo dei costi.
Alcuni di questi problemi di costi si ridurrebbero certamente con una crescita e maturazione dei mercati continentali. Ma il giorno in cui ciò potrà avvenire è ancora abbastanza lontano: l’ecosistema necessario di banchieri, traders, avvocati e tecnologia ancora non esiste in Europa. Per adesso l’unica città in gioco è Londra. Se non viene fatto appositamente qualcosa, per l’Europa si prospetta una crisi da carenza di accesso ai capitali.
Un modo di procedere sarebbe che sia UE che Regno Unito permettano all’altra parte di operare con delle succursali nella propria giurisdizione – anziché costringerlasi a fondare delle società sussidiarie. Per quanto la distinzione tra succursali e sussidiarie possa sembrare puramente tecnica, resta il fatto che il capitale e i costi di gestione di una succursale sono contabilizzati a livello della società principale, il che riduce sostanzialmente i costi ed evita spaccature nei mercati dei capitali.
Due cambiamenti nel quadro normativo sarebbero di aiuto. Primo, se le autorità di vigilanza della UE e del Regno Unito non sono pronte, dopo la Brexit, a lasciare la supervisione delle succursali all’altra parte, può essere necessario un accordo di collaborazione. Secondo, la UE dovrà armonizzare le normative nazionali che regolamentano le succursali delle banche non-europee.
Queste proposte non significano voler passare dalla porta di servizio. Ad esempio, alla succursale di Francoforte di una banca con sede in UK non sarebbe consentito di svolgere la sua attività anche a Parigi. Ma queste proposte potrebbero alleggerire il colpo inferto da una “hard Brexit”.
Una contrazione del mercato dei capitali a seguito della fine del “passaporto bancario” con Londra non sarebbe la fine del mondo per il sistema bancocentrico dell’Unione Europea, ma assesterebbe un brutto colpo allo sviluppo del mercato dei capitali sul continente, con tutto ciò che ne consegue in termini di crescita economica e stabilità. Sarebbe meglio per tutti se alle succursali delle banche fosse permesso di aprire sedi da entrambi i lati del Canale della Manica.
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