Non capita tutti i giorni di vedere un dissesto geopolitico che sembra un incrocio tra i Baccanali di età romana e una replica tardiva del “Grande Gioco” ottocentesco. Stiamo assistendo a una crisi geopolitica che combina il caos di un grande festino politico con una strategia simile a una partita a scacchi tra superpotenze. Ovviamente, è qualcosa di estremamente negativo che non promette niente di buono…
Eppure, eccoci qua: l’Ucraina festeggia l’arrivo di 15 miliardi di dollari dalla Banca Mondiale, una cifra che dovrebbe farla galleggiare a pelo d’acqua nella vasca degli stati falliti. Ma attenzione: quei bigliettoni sono garantiti dal saccheggio dei beni sovrani di Mosca.
Ricorda un po’ lo spirito dei pirati del Mar dei Caraibi, solo che questa volta la Jolly Roger sventola sul G7 anziché sul galeone di Barbanera. Altro che “sanzioni”: la morale occidentale giustifica tutto con una pacca sulla spalla al grido di “te la sei voluta tu, Russia!” Sembra di stare di fronte alla versione monetaria dell’Editto di Fontainebleau, quando Luigi XIV decise che confiscare i beni degli ugonotti fosse un atto di regale necessità. D’altronde, che cos’è un po’ di confisca fra amici geopolitici?
Nel frattempo, il primo ministro Denys “Sméagol” Shmyhal, come un novello alchimista, rivendica che Mosca stia finalmente “pagando” per le sue azioni. Peccato che questo giochino di prestigio economico – in cui si trasformano asset russi in banconote per Kiev – abbia un effetto collaterale devastante: sdogana il concetto di “confisca preventivissima” come strumento di diplomazia. E qui, per chi non vede le conseguenze, la storia suona campanelli a tutto spiano: dai Tributi forzati della Roma imperiale fino al cartellino rosso comminato alla Germania col Trattato di Versailles, la mano pesante dell’esattore internazionale non ha mai portato buone nuove nel lungo periodo.
Il G7 come Robin Hood o come Principe Giovanni?
I cronisti condiscendenti annunciano che i proventi delle confische russe verranno utilizzati a scopo “umanitario e sociale”. Ora, non per fare l’uccellaccio del malaugurio, ma la storia ci insegna che questi “fondi salvifici” rischiano di finire dispersi tra mille rivoli: appalti gonfiati, oligarchi rapaci, compravendite di armamenti e misteriosi conti offshore alle Cayman. È il cosiddetto “effetto fontana”: un boato di dollari che zampilla in alto con la fanfara dell’aiuto umanitario, ma che poi si perde in mille rigagnoli prima di arrivare alla base della piramide sociale.
Se poi ci mettiamo la NATO a spingere sullo sfondo, si rischia di fare la fine dei fantocci di latta schierati in prima linea: pedine sacrificabili mentre i loro manovratori stappano bottiglie di champagne in lussuose sale da conferenza. Il paradosso? L’Europa, che già fatica a tirare il fiato sotto il peso dell’inflazione, scuce altre banconote dalle tasche dei contribuenti in cambio di che cosa? Di un nuovo “ordine” finanziario in cui i beni di uno Stato possono essere congelati e usati come pegno.
Theft 2.0
Ukraine signed an agreement with the World Bank on the allocation of $15 billion by the United States, which will be secured by future income from frozen Russian assets
This was announced by Prime Minister Shmyhal.
"These will be funds within the framework of the… pic.twitter.com/Srvq5Kuy6X
— Zlatti71 (@Zlatti_71) December 30, 2024
Chi paga veramente?
Se la storia avesse un insegnamento univoco, forse la mania di “pignoratutto” verrebbe guardata con un sano scetticismo: sequestrare e ridefinire come “legittimo” un bottino altrui perché “serve alla nostra giusta causa”?
Denys “Sméagol” Shmyhal si tiene stretto i suoi “preziosi” miliardi, ma in questo mercimonio finanziario si rischia di ignorare il vero nodo: a pagare alla lunga è l’idea stessa di un’economia globale fondata su regole condivise, già sgualcite dagli eventi. Quando si legittima il furto, anche se ammantato di retorica patriottica, si apre la strada a un futuro in cui chiunque, in disaccordo col potere di turno, si ritrova esposto alla medesima sorte.
E l’Occidente?
Beh, se crede davvero di uscirne immacolato, potrebbe restare deluso. Le sue banche e i suoi mercati hanno appena mostrato al mondo che sequestrare miliardi di proprietà di uno Stato sovrano può diventare “normalità” con un colpo di penna. E se domani qualcuno decidesse di fare lo stesso con i suoi di asset, magari in un contesto in cui i rapporti di forza non siano più così favorevoli?
Insomma, la battaglia dei 15 miliardi è solo l’ultimo capitolo di un libro in cui la geopolitica viene scritta a colpi di forbici nei forzieri altrui. Prepariamoci al seguito, perché quando si normalizza la pirateria, è solo questione di tempo prima che altre navi issino la stessa bandiera. La storia e la satira – che spesso coincidono – ci dicono che questa recita ha di solito un finale nefasto. O forse, nei libri di testo futuri, leggeremo che sì, alla fine è stata colpa di qualche “imperativo morale” o di un pungolo di necessità. L’unica certezza: i soliti noti conserveranno i posti in prima fila, e chi paga il biglietto resta sempre la gente comune.