Garibaldi: "abbiamo provocato una guerra fratricida!"

Ai vari Benigni bene informati, forti dei potenti mezzi di chi se lo può permettere,  facciamo rispondere i protagonisti riportando i documenti originali, salvati dal rogo (molti documenti come parte di quelli della repressione alla rivolta post-unitaria durante la Legge PICA furono bruciati a Roma) . Ma i sostenitori della gloriosa retorica risorgimentale  contesteranno anche questo. Non capisco perchè le Fosse Ardeatine sono ricordate in un modo diverso che Castelgandolfo?  Ancora vige la menzogna dei vincitori, ed il motivo ideologico perchè buono si pretende debba prevalere sulla verità storica.  Ma l’Unità non ha bisogno della menzogna, la menzogna conduce al contrario dell’Unità. Con la menzogna non ci sarà mai riconciliazione con lo Stato e la propria storia, è inammissibile che si sostenga le tesi unitarie sabaude, neanche quelle di Garibaldi o di Mazzini, ma di Cavour! E se  anche Garibaldi provò disgusto, allora qualcuno dovrebbe riflettere…
Quella piemontese fù un’operazione offensiva e spregiudicata. Ben presto gli Stati Italiani annessi a forza , dovettero pagarne le conseguenze ,  i metodi furono quelli degli invasori: umiliare gli sconfitti e trarre maggior profitto possibile dalle terre occupate.
Il progetto ambizioso dell’Unità italiana  affonda le sue radici non nel cuore di pochi sinceri patrioti ma in una cospirazione illuminata  che fù fortemente appoggiata dall’Inghilterra .

GARIBALDI ALLA CAMERA (18 aprile 1861):

Presidente [Urbano Rattazzi] : — La parola è al deputato Garibaldi. {Movimento generale di attenzione)

Garibaldi: — Mi permetterò prima di tutto di fare una breve osservazione al discorso dell’onorevole Ricasoli, e di ringraziarlo per avere messo in campo una questione per me gitale, trattandosi di difendere i miei compagni d’arme: io ne a ringrazio di cuore. Affermerò con lui che l’Italia è fatta; ne ho la coscienza, perché ho fede nel nostro forte esercito e A’ più conto sull’entusiasmo e sulla generosa volontà di una n zione che già tante ha dato prove di valore, ancor senza esse esercito disciplinato e regolare. Sì, ripeto col deputato Ricasoli l’Italia è fatta; ad onta degli ostacoli che intrighi individuali vogliono frapporvi, l’Italia è fatta.

Debbo dire ancora una parola relativa al discorso dell’ono­revole Ricasoli, ed è sul « dualismo ».

Sebbene non si sia espresso, mi permetta la camera di dirlo francamente, io credo che colui che è designato di capitanare una delle parti del dualismo, allegato dall’onorevole Ricasoli sono io. (Movimento) E giacché disgraziatamente sono stato portato ad una questione personale, dirò ancora che io sono compiutamente convinto, nel più profondo dell’animo mio che io non ho mai dato motivo a questo dualismo.

Mi sono state fatte proposte di riconciliazione, è vero; però queste proposte di riconciliazione sono state fatte con parole; ma l’Italia sa che io sono uomo di fatti, ed i fatti sono sempre stati diametralmente opposti alla parola di riconcilia­zione. Io dico adunque: tutte le volte che quel dualismo ha potuto nuocere alla gran causa del mio paese, io ho piegato, e piegherò sempre. (Applausi nella camera e dalle tribune) Però, come un uomo qualunque, lascio alla coscienza di questi rappresentanti dell’Italia il dire se io posso porgere la mano a chi mi ha fatto straniero in Italia. (Rumorosi applausi della galleria)

Presidente: — Avverto le tribune che è vietato qualsiasi segno d’approvazione e di disapprovazione, e se non si mantiene l’ordine, sarò costretto di farle sgombrare. (Bravo! Bene!)

Garibaldi: — Ciò dico quanto al dualismo. In conse­guenza di questo però non sono d’accordo coll’onorevole Rica­soli che l’Italia sia dimezzata. L’Italia non è dimezzata, è in­tera; perché Garibaldi e i suoi amici saranno sempre con coloro che propugnano la causa d’Italia e ne combattono i nemici in qualunque circostanza. (Bravo! Bene!)

Risponderò ora alcune parole al signor ministro della guerra. Egli mi obbligò, e ne sono addolorato, a scendere nel camp0 della individualità. Il ministro della guerra disse, e la camera avrà ciò osservato, che per patriottismo andò nell’Italia cen­trale a sedare l’anarchia.

Fanti [ministro per la guerra]: — Non ho detto tal cosa.

Presidente: — Non mi pare che abbia detto questo.

Voci: — No! No! No!

Altre voci: — Sì! Sì!

Garibaldi: — Questo è un fatto; io non rispondo che alle parole del ministro della guerra.

Presidente: — Perdoni l’onorevole Garibaldi, non ha ben udito …

Garibaldi: — Me ne appello a quelli che reggevano il governo, se v’era dell’anarchia nell’Italia centrale.

Presidente: — Non sono state dette precisamente queste parole dal signor ministro. Del resto il suo discorso è scritto e si può verificare. Ha detto, credo, che si temeva l’anarchia.

Garibaldi: — Non c’era nessunissimo pericolo di anarchia.

Io chiedo permesso alla camera di annunciarle che vera­mente con dolore io sono sceso a personalità, ma doveva ri­spondere a qualche cosa che attaccava il mio decoro, la mia dignità di uomo, la mia dignità di comandante delle forze del­l’Italia centrale, che si trovavano in quell’epoca a Modena.

Adesso, se mi permettono, io dirò alcune parole sul prin­cipale oggetto che mi portò oggi alla presenza della camera, che è l’esercito meridionale.

Dovendo parlare dell’armata meridionale, io dovrei anzi tutto narrare dei fatti ben gloriosi; i prodigi a essa operati furono offuscati solamente quando la fredda e nemica mano di questo ministero faceva sentire i suoi effetti malefici. (Rumori e agitazione) Quando per l’amore della concordia, l’orrore di una guerra fratricida, provocata da questo stesso ministero … (Vivissimi richiami dal banco dei ministri — Violenta interru­zione nella camera)

Molte voci a destra e al centro: — All’ordine! All’ordine!

Presidente: — Prego l’onorevole generale Garibaldi… [1 rumori coprono la voce)

Di Cavour C. [presidente del Consiglio]: — (Con im­peto) Non è permesso d’insultarci a questo modo! Noi prote­stiamo! Noi non abbiamo mai avuto queste intenzioni. (Ap­plausi dai banchi dei deputati e dalle tribune) Signor presi­dente, faccia rispettare il governo ed i rappresentanti della na­zione! Si chiami all’ordine! (Interruzioni e rumori)

Presidente: — Domando silenzio. Al presidente solo spetta il mantenere l’ordine e regolare la discussione. Nessuno k disturbi con richiami!

Crispi: — Domando la parola per l’ordine della discussione.

Garibaldi: — Credeva di aver ottenuto, in trent’anni di servizi resi alla mia patria, il diritto di dire la verità davanti ai rappresentanti del popolo.

Presidente: — Prego l’onorevole generale Garibaldi di esprimere la sua opinione in termini da non offendere alcun membro di questa camera e le persone dei ministri.

Di Cavour C. [presidente del Consiglio]: — Ha detto che abbiamo provocato una guerra fratricida! Questo è ben altro che l’espressione di un’opinione! {Interruzioni e voci di­verse da tutti i banchi)

Garibaldi: — Sì, una guerra fratricida! (Tumulto vàis­simo nella camera e nelle tribune)

Molte voci: — All’ordine! All’ordine! È un insulto repli­cato! È un insulto alla nazione! È una provocazione scritta! Voci a sinistra: — No! No! Si lasci libertà della parola! (Molti deputati abbandonano i loro stalli — Rumori da tutte le parti della camera — II presidente si copre il capo — Gran numero di deputati è sceso nell’emiciclo, dove si disputa vivamente)

(La seduta rimane sospesa per un quarto d’ora — Cessata la più dolorosa agitazione, la seduta è ripresa alle ore 4 in pro­fondo silenzio)

Presidente: — Sono costretto, con dispiacere, di disap­provare altamente le parole testé sfuggite all’onorevole generale Garibaldi, colle quali egli faceva censura ingiusta e non par­lamentare al ministero, d’aver voluto promuovere una guerra fratricida. Io prego l’onorevole generale Garibaldi a volersi aste-nere da siffatte censure nel suo discorso, perché mi costringe­rebbe, quando proseguisse in questo modo, a togliergli la parola. Ora intanto gli accordo nuovamente la facoltà di parlare per proseguire.

Garibaldi: — (Movimento di attenzione) Dunque non parlerò dell’azione ministeriale nell’Italia meridionale.

Il nostro re guerriero e galantuomo dichiarò più volte be­nemerito della patria quell’esercito meridionale. La camera, spero, non mi lascierà solo ad affermare che esso fece il su0 dovere. (Segni di assenso)

Molte voci: — È vero! ,

Garibaldi: — La storia imparziale dirà il resto. Ma domando: che cosa ne ha fatto di quelle schiere il ministro della guerra? Egli poteva fonderle coll’esercito nazionale, come aveva fatto con quello dell’Italia centrale. Se nella mente sua stava che l’armata meridionale fosse men degna della centrale, po­teva farne un corpo separato dell’esercito nazionale. Se poi l’armata meridionale non si voleva viva sotto nessuna forma, doveva scioglierla, ma non umiliarla.

(…) Dirò solamente che se si voleva conservare l’armata meridionale, si poteva dare a ciascuno uno, due, tre mesi di permesso, e non solleticarli con sei mesi di soldo perché se ne andassero ... (Applausi, e una voce forte dalle gallerie: — È vero! È vero! — Vivi richiami dalla camera)

Presidente: — (Con forza) Invito di nuovo le tribune al silenzio …

Voci dal centro e dalla destra: — Le faccia sgombrare! Le faccia sgombrare!

Presidente: — Al più lieve segno di approvazione o disap­provazione che parta dalle tribune, io le farò inesorabilmente sgombrare!

Nuove voci: — Le faccia sgombrare subito! Lo scandalo è

ripetuto!

Presidente: — Prego i signori deputati di far silenzio: al solo presidente spetta di mantenere l’ordine nella camera.

La parola è al signor Bixio.

Bixio: — (Movimento d’attenzione) Io sorgo in nome della concordia e dell’Italia. (Bravo! Bravo!) Quelli che mi cono­scono sanno che io appartengo sopra ad ogni cosa al mio paese. (Segni di approvazione)

Io sono fra coloro che credono alla santità dei pensieri, che hanno guidato il generale Garibaldi in Italia (Bravo!), ma appartengo anche a quelli che hanno fede nel patriottismo del signor conte di Cavour. (Applausi) Domando adunque che nel nome santo di Dio si faccia un’Italia al di sopra dei partiti. (Applausi vivissimi e prolungati nella camera e dalle tribune)

Io ritorno da Parigi, ove certamente ho veduto amici di tutti i paesi e del nostro; uomini che venivano dalla Polonia, dalla Germania, dall’Ungheria, e tutti, credetelo, o signori, tutti sono attristati che i due uomini, i quali, a parer mio, rap­presentano in Italia il patriottismo più elevato, siano talvolta tra loro in discordia. (Movimenti) Io lo dico al generale Garibaldi (Bene!), e lo dico al conte di Cavour (Bene!); il gene-teorico, asseriva di non essere entusiasta del tipo di centralizza francese che alla fine venne imposto. Tuttavia, nella generale situazione di emergenza, occorreva una soluzione rapida, semplice, uniforme, e vi erano persone influenti, nelle sue coalizioni, favorevoli allo Stato forte e centralizzato. Cavour si oppose, ad ogni tipo di federazione, pronto tuttavia a fare concessioni direzione della decentralizzazione, posizione che continuò a sfatare sul piano elettorale là dove esistevano dei forti sentimenti autonomisti.

II suo gabinetto giunse fino a proporre di creare un nuovo sistema che raggruppasse le province esistenti in regioni dotate dì certe funzioni amministrative e consultive. Questo progetto, però fu steso senza troppa convinzione dal ministro degli interni Farini. Lo schema non era nell’insieme molto chiaro, senza dubbio a causa delle differenti opinioni esistenti all’interno del governo. Al­cuni dei colleghi di Cavour erano preoccupati soprattutto di elimi­nare le differenze regionali, o, per lo meno, le vecchie frontiere regionali. Altri, ad esempio fra i siciliani e i toscani, si oppone­vano al regionalismo perché esso avrebbe potuto significare il predominio di Palermo sulla loro città natale di Messina, o di Firenze su Livorno.

La legge, presentata infine al parlamento da Minghetti senza molto entusiasmo, non venne approvata, e il sistema piemontese vigente venne imposto con alcune modifiche al resto d’Italia, come già era successo in Lombardia, causando numerosi malcontenti, spe­cialmente nelle ex capitali. Le cause del fallimento della legge Minghetti, e le conseguenze che ne derivarono sarebbero state am­piamente dibattute negli anni successivi. Cavour, se fosse vissuto, avrebbe senza dubbio saputo imporsi, riuscendo in qualche modo a concedere più ampia espressione alle forze e alle tradizioni locali.


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