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Il corrente genocidio di fatto nella Repubblica dello Yemen, in una guerra la cui fase più intensa è iniziata nel 2015, è stato fino a poco tempo fa ignorato dai media occidentali. Ciò che è stato ignorato è anche il casus belli fondamentale per la guerra saudita sostenuta dagli Stati Uniti, apparentemente contro gli Houthi sciiti da parte dei wahhabiti sunniti dell’Arabia Saudita. Come praticamente in ogni guerra e destabilizzazione, da quando gli inglesi hanno scoperto per la prima volta oltre un secolo fa giacimenti abbondanti di petrolio in tutto il Golfo Persico, la guerra dello Yemen riguarda il petrolio, più precisamente il controllo del petrolio, tantissimo petrolio.
Lo Yemen è la striscia di terra, e strategica chiave geopolitica, situata sul punto critico di connessione del Mar Rosso che, attraverso il Canale di Suez, collega il Mediterraneo e l’Oceano Indiano. Vi si trova Bab el-Mandeb, una delle più strategiche strozzature del mondo per la navigazione, uno stretto passaggio di soli 18 miglia di distanza, da Gibuti al Corno d’Africa, il che lo rende uno dei punti critici di transito del petrolio elencati dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti. Secondo quest’ultimo, circa 4,7 milioni di barili di petrolio passano attraverso Bab el-Mandeb in entrambe le direzioni ogni giorno, incluso il petrolio destinato alla Cina.
Nel marzo 2015 una nuova guerra civile si è accesa nello Yemen nel gruppo conosciuto popolarmente come Houthi, nome derivato da Hussein Badreddin al-Houthi della setta Zaidi dell’Islam. L’area Zaidi, tradizionalmente un gruppo moderato che favorisce l’uguaglianza delle donne, è qualcosa come un anatema per i wahabiti sauditi. Lo Zaidi ha governato lo Yemen per più di 1.000 anni fino al 1962.
Il movimento Houthi aveva costretto la cacciata del presidente yemenita Ali Abdullah Saleh alla fine del 2011 con le accuse di diffusa corruzione. A lui succedette Abdrabbuh Mansur Hadi, vice presidente di Saleh. A quel tempo sia Saleh che Hadi erano presidenti controllati dai sauditi.
Le cose iniziarono a cambiare quando Hadi rifiutò di dimettersi dopo la scadenza del suo mandato. La sua decisione di tagliare i sussidi sui prezzi del carburante e di rifiutare le riforme concordate ha portato, all’inizio del 2015, al suo arresto da parte delle forze del movimento Houthi. È riuscito più tardi a fuggire in Arabia Saudita, il 25 marzo 2015, e quello stesso giorno il Ministro della Difesa saudita Mohammed bin Salman ordinò l’inizio della guerra e dei bombardamenti che sono ancora in corso contro lo Yemen e gli Houthi.
Entro la fine del 2015, il principe bin Salman e la sua coalizione nell’operazione chiamata stranamente Operazione Tempesta Decisiva (che ci ricorda Desert Storm) aveva inflitto molte atrocità sulla popolazione civile dello Yemen. Dopo sei mesi di implacabili bombardamenti guidati dai sauditi, le Nazioni Unite dichiararono lo Yemen un’emergenza di “Livello Tre”, il livello più alto. I bombardamenti hanno distrutto le infrastrutture critiche civili e le strutture sanitarie, e i sauditi hanno attivato un embargo sul cibo, acqua e l’assistenza medica a circa 20 milioni di yemeniti, in violazione del diritto internazionale. Circa 2.500.000 civili yemeniti sono stati sfollati. Carestia e colera dilagano. In breve, si tratta di un genocidio.
Le guerre di Cheney per il petrolio
Le radici della guerra in corso nello Yemen con la coalizione a guida saudita degli Stati del Golfo possono essere fatte risalire all’amministrazione Bush-Cheney all’indomani dell’11 Settembre 2001 e alla dichiarazione della cosiddetta Guerra al Terrore.
L’invasione dell’Iraq del 2003 riguardava il petrolio. Diversi funzionari statunitensi, incluso Paul Wolfowitz, lo hanno ammesso a suo tempo. “Dobbiamo andare dove è il petrolio. Non c’è da pensarci tanto [volatilità politica]”, disse Cheney ad un incontro tra petrolieri del Texas nel 1998, quando era ancora amministratore delegato di Halliburton, la più grande compagnia di servizi petroliferi [in inglese] del mondo. Come vicepresidente di Bush Jr, Cheney, secondo tutte le indicazioni, ha architettato le campagne militari statunitensi del Segretario alla Difesa Don Rumsfeld per “eliminare sette paesi in cinque anni”, come notò il generale Wesley Clark, molti anni dopo [in inglese]. Tutti questi sette paesi sono strategici per il controllo degli enormi flussi di petrolio del Medio Oriente verso la Cina, l’UE e l’economia mondiale.
Nel 2004, quando la “Guerra al Terrore” di Cheney-Bush è arrivata in Yemen per sostenere l’allora presidente Saleh, la dominazione saudita dello Yemen era indiscussa. Le forze statunitensi e britanniche hanno appoggiato Saleh contro una rivolta della minoranza Houthi che iniziò dopo che Saleh aveva cercato di far arrestare Hussein Badreddin al-Houthi, il leader religioso Zaidi.
Entro il 2015 la guerra per procura degli Stati Uniti è cambiata, e il Pentagono e l’amministrazione Obama hanno sommessamente appoggiato il catastrofico attacco saudita su larga scala nello Yemen.
Quali sono gli interessi americani o sauditi nello Yemen? Il controllo del petrolio è la risposta sintetica, ma forse non nel senso consueto.
Nel novembre 2005 la Repubblica dello Yemen aveva espropriato i propri bacini petroliferi – il blocco Marib Al-Jawf – dalla US Hunt Oil Company e dalla ExxonMobil. Fu un irritante ma non decisivo punto di svolta. Fu nel 2014 quando la ribellione di Houthi contro il presidente, quell’Hadi sostenuto dai sauditi, fu vittoriosa che la guerra cominciò ad assumere una nuova forma. A marzo 2015 il Comitato Supremo Rivoluzionario guidato da Houthi dichiarò una mobilitazione generale per rovesciare Hadi, dopo aver conquistato Sana’a e il governo yemenita e procedendo verso Aden.
Potenziale non scoperto
Ci sono due aspetti strategici di chi ha il controllo dello Yemen, specialmente nelle aree ora sotto il controllo degli Houthi. Uno è il controllo geostrategico citato dei flussi di petrolio che passa da Bab el-Mandeb nel Corno d’Africa. Il secondo è il controllo della ricchezza petrolifera in gran parte non sfruttata nello Yemen stesso.
Nel 2002 un rapporto pubblico del US Geological Survey (USGS) ha concluso che “Quando il potenziale non scoperto viene aggiunto alle riserve conosciute, la dotazione di petrolio totale per il MadbiAmran/Qishn TPS (Total Petroleum System) sale a 9,8 BBOE”, che allora classificava lo Yemen al 51 ° per potenziale di risorse petrolifere, esclusive degli Stati Uniti [in inglese].
Ora, 10 miliardi di barili di greggio potrebbero non sembrare enormi rispetto alla pretesa saudita di detenere riserve provate di 266 miliardi di barili. Qui, tuttavia, un rapporto della CIA del 1988 diventa interessante. Nel rapporto, Le risorse petrolifere dello Yemen meridionale: la chimera della ricchezza, pesantemente redatto e declassificato, vi è una nota criptica sulle potenziali riserve petrolifere nel grande confine conteso tra Yemen e Arabia Saudita. La CIA indica le riserve di petrolio e gas lungo quella che, durante la Guerra Fredda, era la contesa zona neutrale del confine tra lo Yemen settentrionale e lo Yemen meridionale [in inglese].
La Hunt Oil Company del Texas che è stata insediata nel campo Alif dal 1982 e nel 1984 ha scoperto il petrolio. L’Alif Field si trova nel nord dello Yemen controllato dagli Houthi, vicino al confine ancora indefinito tra Arabia Saudita e Yemen. L’autore ha avuto l’occasione, quasi due decenni fa durante un’intervista con qualcuno associato al governo degli Stati Uniti, di discutere sulle nozioni di picco del petrolio e sulla geopolitica petrolifera. A quel punto, quella persona affermò volontariamente che le terre deserte lungo il confine indefinito tra Arabia Saudita e Yemen, secondo indagini aeree e geofisiche statunitensi non pubblicate, possedevano un potenziale di riserve petrolifere che probabilmente superava quello stesso dell’Arabia Saudita.
Non è possibile confermare indipendentemente questa affermazione. Ciò che è chiaro è che lo spazio circondato dal Golfo Persico e dal Mar Rosso, tra cui Yemen e Somalia, è una delle aree tettoniche più attive del nostro pianeta, un prerequisito per la scoperta di idrocarburi. La presenza di enormi riserve di petrolio e gas nello Yemen spiegherebbe molto sul perché il Pentagono abbia sostenuto attivamente lo sforzo brutale saudita per riprendere il controllo dello Yemen dagli Houthi.
Questo ha poco a che fare con qualsiasi conflitto fra sciiti e sunniti wahabiti. Piuttosto ha a che fare con il controllo strategico dell’energia mondiale. Finché Sana’a aveva il controllo di un delegato saudita, che fosse Saleh o che fosse Hadi, la cosa era di una priorità secondaria per Washington. Il petrolio era “sicuro”, anche se il governo dello Yemen aveva espropriato le proprietà petrolifere della compagnia statunitense. Una volta che una determinata forza indipendente di Houthi Zaidi ebbe il controllo dello Yemen o di una parte importante di esso, la minaccia divenne abbastanza seria da dare il via libera al nuovo Ministro della Difesa saudita, il principe Mohammed bin Salman, per iniziare alla guerra. Lo Yemen controllato dagli Houthi potrebbe essere un potenziale cliente delle compagnie petrolifere russe o cinesi per aprire una seria esplorazione dei potenziali. Ciò, unito anche al fatto che gli Houthi avevano rapporti amichevoli con l’Iran, ha chiaramente fatto scattare la luce rossa all’amministrazione Obama.
Salman, non sorprendentemente, ha affermato che fosse una guerra di “imperialisti” guidati dall’Iran contro le forze dei sunniti guidati dai sauditi “amanti della libertà”. La Cina ha ora la sua prima base militare oltre lo Yemen, a Gibuti, vicino a quella degli Stati Uniti, il cui campo Lemonnier è la più grande base militare permanente americana in Africa. Anche l’ex occupante coloniale, la Francia, è lì. C’è molto più in gioco in Yemen di quanto ci sia stato detto.
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Articolo di William Engdahl pubblicato su New Eastern Outlook il 20 novembre 2018
Traduzione in italiano di Pappagone per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
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