martedì 14 agosto 2018
Autore:Saro, LuisellaCuratore: Don Gabriele Mangiarotti Fonte:CulturaCattolica.it
«Questo è quel mondo? questi
I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
Onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell’umane genti?»
(G. Leopardi, A Silvia)
Mi accosto in punta di piedi, alla tragedia che ha colpito il cuore di Genova. Tanti, nei media e nei social, in queste ore hanno parlato, e anche straparlato. Non è nostro compito fare la cronaca – ahimé nota – né porci domande da politici o da ingegneri civili.
Resto un passo indietro, e mentre prego per i morti e i feriti, per la loro storia bruscamente interrotta, mentre da mamma penso alle madri coinvolte nel disastro, a quelle che hanno perso la vita o un figlio, o lo assistono in ospedale o mendicano buone notizie, nel turbinio di domande che affollano la mente (… perché proprio loro? perché morire così?…) penso che il 14 agosto è il giorno prima del 15: ferragosto che è festa per tutti, il centro delle vacanze, il giorno delle scampagnate e dei fuochi di artificio. Chissà l’attesa, i programmi di chi era in coda sul ponte Morandi, di chi ora piange chi non c’è più o è in pena per un proprio caro ricoverato…
E penso a Silvia cantata da Leopardi, morta prematuramente; penso alla rabbia del poeta, che è la rabbia di tutti. «O natura, o natura, / Perché non rendi poi / Quel che prometti allor? perché di tanto / Inganni i figli tuoi?»
I desideri, le speranze, i progetti per il ferragosto e per la vita, inghiottiti in pochi secondi in quel baratro di 90 metri.
Ma provate a chiudere gli occhi. Immaginatevi in coda sotto la pioggia, magari la radio accesa, musica nelle orecchie, quattro chiacchiere con chi vi sta accanto, una telefonata in viva voce, un appuntamento fissato, un lavoro da finire, una meta da raggiungere, familiari o amici da vedere… voi siete lì a brontolare per la coda, per il maltempo, per il ritardo, e d’un tratto un sobbalzo come alle giostre e vi sentite precipitare nel vuoto…
«… abisso orrido, immenso, / Ov’ei precipitando, il tutto obblia».
E’ in quel baratro, in quel buco nero dove sono stati risucchiati camion auto persone, è lì che sono destinate a diventare detriti le nostre speranze?
La vita un’autostrada, ad un tratto non senti più la terra sotto i piedi e in un istante CLICK, l’interruttore si spegne e si chiude il sipario?
«Questo è quel mondo? Questi / I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi / Onde cotanto ragionammo insieme? / Questa la sorte dell’umane genti?»
E’ davvero tutto qui?
Il 14 è il giorno prima del 15 e il 15 agosto, per noi cattolici, è la festa di Maria Assunta in Cielo.
Da mamma, mentre penso alle mamme morte, alle mamme ferite nel corpo e nel cuore, alle mamme di chi non c’è più, alle mamme che, come possono, consolano altre mamme, mi torna alla mente un servizio visto per caso e anche un po’ distrattamente qualche giorno fa in tivù. In altre faccende affaccendata (per le mamme è quasi sempre così!) – era ora di pranzo, mi pare – ho sentito narrare della “Madonna ferita di Nagasaki”. Quel terribile 9 agosto del 1945, quando la bomba atomica Fat man, il grassone, colpì la città giapponese, 40mila persone morirono all’istante e circa altrettante nei mesi seguenti. L’onda d’urto ridusse in macerie la cattedrale di Urakami: frantumò le vetrate, fece crollare le pareti, incendiò l’altare, fuse le campane. Ma fra i detriti, nei giorni seguenti, venne ritrovata quasi intatta la testa di una statua in legno raffigurante la Vergine.
Guardatelo, questo volto.
Gli occhi della Madonna sono scavati e una crepa carbonizzata sembra una lacrima che ne riga il volto.
No, non è, la nostra vita, in bilico su un ponte interrotto. Non siamo destinati al baratro.
No, non siamo soli.
Penso a questa nostra Mamma del Cielo ai piedi della croce, accanto al Figlio agonizzante.
La penso a Nagasaki: nell’istante in cui quel lampo accecante ha bruciato donne e uomini, adulti vecchi e bambini, Lei c’era, ferita come loro, ferita per sempre.
La penso nei secoli e ora, accanto a chi soffre; piange, e le si stringe il cuore, eppure non scappa, resta lì.
La penso mentre dona maternamente conforto a chi forza non ha più; a chi urla la propria rabbia, le proprie domande, il proprio dolore.
La penso, al termine del suo percorso terreno, assunta in Cielo, in anima e corpo.
Io non lo so perché il 14 agosto è crollato quel ponte maledetto, non so perché, nel 2018, si può ancora morire così. So che, nel dolore, non siamo mai soli e so che niente di noi andrà perduto.