Un post di Zero Hedge spiega come talvolta siano gli stessi “esperti informatici” che si dicono impegnati a monitorare le presunte interferenze russe nelle elezioni Usa, a simulare tali operazioni sui social media. In questo caso la notizia è trapelata da un articolo del New York Times, che ha divulgato i dettagli di una nota interna di uno di questi gruppi, diventato celebre sui media statunitensi: New Knowledge, politicamente affine al Partito Democratico americano. Formalmente si sarebbe trattato di una sorta di “esperimento segreto” (così lo ha definito il New York Times), ma di fatto l’operazione è stata compiuta realmente, contribuendo a diffondere l’allarmismo, sempre esasperato dai media, delle interferenze degli “hacker russi” nella democrazia occidentale.
di Zero Hedge, 01/01/2019 (da Mac Slavo, SHTFplan.com)
Gli “esperti” di cybersicurezza negli Stati Uniti affermano da tempo che durante le elezioni del 2016 c’è stato l’intervento dei “bot russi” [“bot” sta per “internet robot”, e indica un software che svolge automaticamente operazioni su internet, ad esempio postare contenuti sui sociali media, NdT].
Ma ora scopriamo che gli stessi autori del report stilato dal Senato, intitolato “Interferenze russe nelle elezioni” hanno guidato l’operazione, che dunque è una “false flag” [ovvero un’attività sotto “falsa bandiera”, nel senso che viene fatta apparire come compiuta da terzi, NdT].
Una settimana prima di Natale la Commissione Intelligence del Senato ha rilasciato un report che accusava la Russia di far abbassare i voti per i Democratici prendendo di mira gli afro-americani sui sociali media. I suoi autori, dell’organizzazione “New Knowledge”, sono presto diventati celebri. Descritti dal New York Times come un gruppo di “specialisti di tecnologia con un’inclinazione verso il Partito Democratico”, New Knowledge ha legami sia con l’esercito statunitense sia con le agenzie di intelligence.
L’amministratore delegato e co-fondatore di New Knowledge, Jonathan Morgan, aveva precedentemente lavorato per DARPA (Defence Advanced Research Project Agency), un’avanzata agenzia di ricerca militare degli Stati Uniti, nota per le sue orribili idee sul controllo dell’umanità. Il collega di Morgan, Ryan Fox, è un veterano della NSA (National Security Agency), che ha lavorato anche come analista informatico per il Joint Special Operations Command (JSOC). Le loro competenze esclusive hanno attratto l’occhio di grandi investitori, i quali avrebbero finanziato la compagnia per 11 milioni di dollari solo nel 2018, secondo quanto riportato da RT.
Morgan e Fox hanno fatto fortuna con lo scandalo del “Russiagate”, esploso dopo che Hillary Clinton ha accusato Mosca di avere determinato la vittoria presidenziale di Donald Trump nel 2016. Morgan, per esempio, è uno degli sviluppatori di Hamilton 68 Dashboard, uno strumento online che avrebbe la pretesa di controllare e portare alla luce le narrazioni portate avanti dal Cremlino via Twitter. Altra cosa da menzionare, questo strumento è finanziato anche dalla German Marshall Fund’s Alliance for Securing Democracy – un insieme di Democratici e neoconservatori finanziati in parte dalla NATO e dalla USAID (United States Agency for International Development).
Vale la pena di notare che i 600 account Twitter “legati alla Russia” che sarebbero stati monitorati da Hamilton 68 non sono stati rivelati al pubblico, rendendo impossibile verificare queste affermazioni. Tale inconveniente non ha comunque impedito che Hamilton 68 diventasse una fonte privilegiata per i giornalisti affamati di isteria. Il 19 dicembre, però, un articolo del New York Times ha rivelato che Morgan e i suoi collaboratori hanno creato essi stessi un finto esercito di bot russi, così come svariati gruppi finti su Facebook, al fine di screditare il candidato repubblicano Roy Moore nelle elezioni 2017 per il Senato in Alabama.
Lavorando per conto del Partito Democratico, Morgan e il suo gruppo hanno creato un numero stimabile in 1.000 account Twitter falsi con nomi russi, programmandoli perché seguissero Moore. Hanno inoltre lavorato su diverse pagine Facebook, tramite le quali postavano sotto le sembianze di conservatori dell’Alabama che incoraggiavano gli altri elettori a sostenere altri candidati non in lista. In una nota interna, New Knowledge vantava di avere “orchestrato una complessa operazione di ‘false flag’ che ha diffuso l’idea che la campagna di Moore fosse stata amplificata, sui social media, dai bot russi”.–RT
Il presunto scandalo è stato portato avanti dai media statunitensi e finora è riuscito a ingannare milioni di persone, se non di più. La storia dei bot ha fatto clamore sui social media ed è stata ulteriormente amplificata da Mother Jones, che ha basato il suo racconto sulla “opinione esperta” elaborata dalla dubbia creatura di Morgan, Hamilton 68.
Le cose si sono fatte ancora più strane quando si è scoperto che Scott Shane, l’autore del pezzo del Times, sapeva dell’interferenza da mesi perché aveva parlato a un evento i cui organizzatori si vantavano di questo.
Shane è stato uno dei relatori al meeting di settembre, organizzato da American Engagement Technologies (AET), un gruppo gestito da Mikey Dickerson, il quale spiegava come questo gruppo avesse speso 100.000 dollari per la campagna di New Knowledge orientata a soffocare il voto repubblicano, “fare arrabbiare” i Democratici per aumentarne la partecipazione al voto, ed eseguire un’operazione con “false flag” per colpire Moore. Lo ha definito “progetto Birmingham” –RT
C’è stata davvero un’interferenza dei “bot russi” nella democrazia americana. Però questi bot non erano controllati da Mosca o da San Pietroburgo, bensì dagli uffici dei Democratici, da due anni in prima linea per creare e amplificare l’isteria sul “Russiagate”, in quello che è un caso da manuale di proiezione psicologica, lavaggio del cervello e campagna di propaganda in stile nazista.