Der Spiegel: La linea dura del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu crea sempre più problemi a Joe Biden in patria. Nella politica internazionale, a volte anche i piccoli gesti hanno un grande impatto. Se c’era una cosa su cui Israele poteva contare negli ultimi anni, erano gli Stati Uniti.
Ogni volta che uno Stato introduceva una risoluzione nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che era esplicitamente critica nei confronti del governo israeliano, gli Stati Uniti ponevano il veto per ribaltarla.
• Cambiamento nelle relazioni USA-Israele: la recente decisione di Biden di non porre il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite segna un cambiamento significativo rispetto al tradizionale incrollabile sostegno degli Stati Uniti a Israele. Il fatto che Washington abbia ora accettato per la prima volta una dichiarazione che chiede un cessate il fuoco non specificato è almeno un avvertimento al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di non mettere a dura prova la pazienza americana.
• Implicazioni politiche interne: Biden deve affrontare la pressione dell’ala progressista del Partito Democratico, che è critica nei confronti di Israele. Con le imminenti elezioni, dovrà bilanciare le proprie opinioni con un più ampio sostegno degli Stati Uniti a Israele.
• Calo del sostegno tra gli arabo-americani: l’indice di gradimento di Biden è crollato tra gli arabo-americani, un gruppo demografico chiave negli stati indecisi, danneggiando le sue prospettive elettorali.
• Pressioni nazionali e internazionali: la situazione in Medio Oriente rappresenta una sfida per Biden, che deve gestire le crisi internazionali senza mettere in ombra i suoi successi nazionali.
Il comportamento di Biden con Netanyahu riflette quindi la complessa interazione tra diplomazia internazionale e considerazioni di politica interna, soprattutto nel contesto delle imminenti elezioni presidenziali americane.
Questo è quanto riferisce Der Spiegel. Tuttavia la mia impressione è che non si farà nulla e che tutto sia a favore di telecamere, con un occhio ai sondaggi di gradimento che devono essere opportunamente indirizzati.
Come riporta Pepe Escobar, gli USA hanno bisogno di questa guerra a Gaza per una serie di ragioni e neanche i leader arabi osano contravvenire al diktat USA e rischiare una guerra reginale di vasta portata:
“I leader arabi sono stati costretti a intraprendere qualche tipo di azione, oltre a sospendere alcuni ambasciatori in Israele, e a convocare un vertice speciale dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC) per discutere della guerra israeliana in corso contro i bambini palestinesi.
Rappresentanti di 57 paesi musulmani si sono riuniti a Riad l’11 novembre per sferrare un colpo serio e concreto contro i praticanti e i facilitatori del genocidio. Ma alla fine non è stato offerto nulla, nemmeno a titolo di consolazione.
La dichiarazione finale dell’OIC sarà custodita per sempre nel Palazzo d’Oro della Vigliaccheria. Punti salienti dello spettacolo retorico: ci opponiamo all’“autodifesa” di Israele; condanniamo l’attacco a Gaza; chiediamo (a chi?) di non vendere armi a Israele; chiediamo al canguro della CPI di “indagare” sui crimini di guerra; chiediamo una risoluzione dell’ONU che condanni Israele”.
Se i leader arabi soppesano ciò che è conveniente e cosa no, da parte loro gli USA sono apparsi titubanti solo per la preoccupazione della reazione araba Ma ora visto che è inesistente , hanno l’occasione di consolidare il loro potere in Medioriente.
Fonti:
t.me/SakerLatinoAmerica/1227