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Poniamo che il vangelo della domenica sia «Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione» (Mt 5,25). Probabile che l’omelia standard di oggi verta sulla necessità di essere buoni, di andare d’accordo con gli altri, di fare pace con quelli con cui abbiamo dei contrasti, eccetera eccetera. Esattamente quello che ci aspettiamo di sentire e che perciò non ascoltiamo. Se a predicare ci fosse Agostino, potremmo invece scontrarci con questa folgorante spiegazione del vangelo:
«Ma chi è questo avversario? Non è il diavolo: mai la Scrittura ti esorterebbe a metterti d’accordo con il diavolo. È un altro l’avversario, che l’uomo stesso si rende avversario. Quello, se fosse l’avversario, non sarebbe con te per via; mentre invece proprio per questo è con te per via: per mettersi d’accordo con te. Sa infatti che se non ti metti d’accordo per via, ti porterà davanti al giudice, il giudice ti consegnerà alla guardia, la guardia ti porterà in carcere . Questi discorsi son tratti dal Vangelo; insieme con noi se lo ricordano sia quelli che l’hanno letto, sia quelli che l’hanno ascoltato. Chi è dunque l’avversario? La Parola di Dio. La Parola di Dio è il tuo avversario (Ergo quis est adversarius? Sermo Dei. Sermo Dei adversarius tuus est). Perché è avversario? Perché comanda cose contrarie a quelle che fai tu (Quare adversarius est? Quia contraria iubet, quae tu non facis).
Ti dice: Unico è il tuo Dio, adora l’unico Dio. Tu invece, abbandonato l’unico Dio, che è come il legittimo sposo della tua anima vuoi fornicare con molti demoni e, ciò che è più grave, non lo lasci e non lo ripudi apertamente come fanno gli apostati, ma rimanendo nella casa del tuo sposo, fai entrare gli adulteri. Cioè, come cristiano non abbandoni la Chiesa, ma consulti gli astrologi o gli aruspici o gli indovini o i maghi. Da anima adultera, non abbandoni la casa dello sposo, ma ti dai all’adulterio, pur rimanendo sposata con lui.
Ti si dice: Non prendere alla leggera il nome del Signore Dio tuo, perché tu non pensi che Cristo sia una creatura, per il fatto che per te ha assunto la creatura. E tu lo disprezzi: lui che è uguale al Padre e una sola cosa con il Padre.
Ti si dice di rispettare spiritualmente il sabato, non come i giudei che osservano il sabato senza far nulla materialmente. Vogliono infatti astenersi dal lavoro per darsi alle frivolezze e alle loro lussurie. Sarebbe molto meglio che il giudeo facesse qualcosa di utile nel suo campo anziché stare turbolento nel teatro, e sarebbe meglio che le loro donne nel giorno di sabato lavorassero la lana anziché danzare impudicamente tutto il giorno sotto i loro porticati. A te è detto di rispettare spiritualmente il sabato, nella speranza del riposo futuro che il Signore ti promette. Chiunque faccia quello che può, per [conseguire] quel riposo futuro, anche se sembra faticoso quello che fa, tuttavia se lo riferisce alla fede nel riposo promesso, non possiede ancora il sabato nella realtà, ma lo possiede nella speranza. Tu invece vuoi riposare per affaticarti, mentre dovresti lavorare per riposare (Tu autem ad hoc vis requiescere ut labores, cum ad hoc debeas laborare ut requiescas)». [Agostino, serm. 9,3]
Interrompiamo qui, perché ce n’è abbastanza: a domani il resto dei comandamenti. Mi permetto solo una chiosa: oggi forse Agostino dovrebbe spiegare ai suoi ascoltatori, resi ottusi dalla cappa di conformismo irenistico e buonistico imperante, che “avversario” e “nemico” non sono affatto la stessa cosa. E che, se avere dei nemici è brutto e doloroso (ma purtroppo quasi inevitabile: il cristiano non è nemico di nessuno, ma molti sono nemici suoi), avere degli avversari è salutare. La differenza tra nemico e avversario Agostino ce la spiega genialmente quando dice che l’avversario è con te sulla via, il nemico no: il diavolo non è mai nostro compagno di viaggio. Guai all’uomo che non ha avversari! L’avversario è colui che, col suo stesso esserci, ci pone un limite. È colui che dice no alla dittatura del nostro desiderio. È colui che col suo pensiero ci fa capire che il nostro è solo un pensiero, non il pensiero. Questa bellissima intuizione agostiniana della Scrittura come nostro avversario avremmo bisogno di brandirla anche oggi contro tante esegesi di comodo che, sotto diverse etichette (dalla scientificità alla pastoralità), mirano a togliere alla parola di Dio proprio il carattere di “parola contraria”, irriducibilmente avversa alle nostre misure.
Ma c’è anche tanto altro da imparare in questo brano: io l’ho messo in tavola, che ognuno si serva liberamente.
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