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Mentre guardavamo a Bruxelles, Trump trionfava in Georgia. E a Ryad scattava il ribaltone pro-Putin

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Immagino che tutti voi abbiate fatto in tempo, prima di andare a dormire ieri sera, ad apprendere la notizia dell’attacco alla stazione centrale di Bruxelles, il cui esito – fortunatamente – è stato analogo a quello di Parigi: è morto solo l’attentatore. Anzi, è stato ucciso. Nei primi, concitati momenti del fatto, si sapevano soltanto due cose: l’uomo in questione avrebbe indossato una cintura esplosiva e l’area circostante la stazione era in lockdown totale, quasi una città fantasma. Poi è apparsa questa,

una foto destinata a diventare iconica: un ragazzo guarda terrorizzato quella che sembra una pira umana. Terrore in Rete, tweets che si susseguono, condivisioni. Il Medio Oriente e le sue pratiche di morte sono sbarcati nella capitale d’Europa, proprio al cuore. Poi uno guarda meglio e, soprattutto, segue il flusso degli eventi attraverso polizia e media belgi e vede che, tanto per cambiare, qualcosa non torna. Primo, una cintura esplosiva non fa una fiammata tipo fuoco d’artificio di quel genere, semplicemente esplode, distruggendo tutto attorno a sé per un raggio di interesse che varia dalla carica innescata: lì la scena è assolutamente linda e intonsa, l’unica cosa che sembra vedersi è la figura di un uomo avvolto dalle fiamme: sembra la riedizione del finale di “Angeli e demoni”, con Ewan McGregor che si immola dentro San Pietro.

Bene, quella che segue è la cronaca degli eventi come riportata stamattina dal sito di “Repubblica”. Eccola, letterale: “…Un uomo di circa 30, 35 anni ha provocato una deflagrazione all’interno della stazione centrale. Subito individuato e abbattuto dalle forze dell’ordine. Con sé, nella hall della Gare centrale, aveva esplosivo che ha fatto saltare ai piedi di una scalinata interna ma non è chiaro se fosse in una cintura o nascosto dentro un trolley. Non c’è stato nessun ferito tra i civili. La detonazione sarebbe avvenuta quando l’uomo ha capito di essere stato individuato dai militari che poi gli hanno sparato. L’esplosione (ma alcuni testimoni parlano di due deflagrazioni) ha provocato panico, scene di terrore e molto fumo. Secondo alcune fonti, l’uomo prima di innescare l’esplosione avrebbe inneggiato ad Allah. Secondo altri testimoni avrebbe anche urlato: “I jihadisti esistono ancora”. Il sistema radio televisivo del Belgio (Rtbf) ha anche parlato di una o due persone in fuga, ma non ci sono mai state conferme ufficiali”.

Poi, tanto per capire il contesto in cui il tutto si stava svolgendo, a due giorni da Vertice europeo che sarà ospitato proprio a Bruxelles, ecco il resto: “La Procura federale procede per terrorismo. Fino a tarda sera, intorno alla mezzanotte e mezza, la polizia belga ha avvertito che all’interno della stazione si sarebbero potute verificare esplosioni controllate, come se gli uomini della sicurezza fossero alla ricerca di altri dispositivi. Forse anche sullo stesso corpo dell’uomo a terra che per ore è rimasto dentro la stazione per timore che un eventuale spostamento potesse provocare altre deflagrazioni. E poco prima della mezzanotte, secondo quanto riferisce la rete Vtm, gli artificieri avrebbero fatto brillare la sospetta cintura esplosiva. Poche parole anche dal portavoce della Procura federale, Eric Van der Sijpt: “Il responsabile è stato neutralizzato dai militari, non ci sono stati feriti civili. Procediamo per terrorismo. Non possiamo confermare se sia ancora vivo o morto, nè dove l’uomo sia”. Ma intanto Bruxelles si è paralizzata, bloccati treni, bus e metro, centro storico presidiato e spettrale”. E queste foto lo confermano, in maniera inquietante.






Dunque, di cosa stiamo parlando? A livello investigativo e di allarme terrorismo, del nulla o poco più. Persino la procura farfuglia versioni poco credibili e al limite del discordante ma abbiamo due certezze: l’area è stata messa in sicurezza in tempo reale, blindata. Di fatto, in stato d’assedio. O d’emergenza, se preferite e volete una trasposizione chiara di cosa significhi in concreto ciò che Emmanuel Macron oggi pomeriggio chiedere all’Assemblea Nazionale, quando chiederà la proroga appunto dello stato di emergenza fino al 1 novembre. Chi ha intercettato l’uomo? E poi, come è morto? Gli hanno sparato o è deceduto per la fiammata che vediamo in fotografia? E’ lui il morto? Quando la procura dichiara alla stampa che “non possiamo confermare se sia ancora vivo o morto, nè dove l’uomo sia”, c’è poco da stare tranquilli.

Seconda certezza, il messaggio è passato chiaro attraverso due immagini: la cintura esplosiva, la quale al 99% non è mai nemmeno esistita e l’angoscia dello stato d’assedio, della paura permanente che si sostanzia nel silenzio di strade deserte e presidiate da militari armati di tutto punto. Ansia, strisciante più nell’anima che nel corpo, tale da far dire al primo ministro che verranno prese misure di sicurezza aggiuntive. Come in Francia. Come in Gran Bretagna. Lo stato d’animo preferito dal Deep State. Già, perché non dimenticate che Bruxelles non è solo la sede delle istituzioni europee ma anche della NATO, che nella capitale belga ha inaugurato da poco una splendida nuova sede. Operativa.

Insomma, abbiamo un allarme sostanziato dal nulla. O da una versione fumosa del nulla, riempita qua e là da teoremi o stracci di fattualità, giusti per essere rilanciati dai media. Mi ricorda qualcosa, mi ricorda il film “Sesso e potere” del 1997. Date un’occhiata anche voi.

E cosa si sarebbe dovuto silenziare, tra Parigi e Bruxelles? Cosa doveva essere coperto dal frastuono dell’allarme terrorismo? Magari quanto sta accadendo in Siria, dove l’altolà di Vladimir Putin verso gli USA ha funzionato più di quanto sembri. Certo, in quello che pareva un atto di sfida, ieri un F-16 della coalizione ha abbattuto un drone iraniano armato ma, in contemporanea, l’Australia abbandonava del tutto le azioni militari per timore di “incidenti” con i jet russi, i quali sopra al Baltico arrivavano praticamente allo scontro frontale con gli americani, avvicinandosi a 5 metri l’uno dall’altro. Insomma, a Mosca questa volta non scherzano. E l’hanno detto chiaro e tondo: l’America non solo sta violando la sovranità siriana senza alcun diritto o mandato internazionale ma sta anche apertamente boicottando la lotta al terrorismo, supportando di fatto con le sue azioni l’Isis.

Brutto messaggio che potrebbe passare in tv, non vi pare? E poi c’è la fotografia di copertina, ovvero il fatto che – nel silenzio tombale dei media, i quali però ci hanno stracciato i coglioni per settimane con le presidenziali USA dello scorso novembre – nella special election tenutasi ieri in Georgia, i Repubblicani hanno stravinto, facendo eleggere Karen Hendel a danno del candidato Democratico, T. Jonathan Ossoff. E che questo voto fosse di straordinaria importanza, lo dicono le cifre relative all’investimento che il partito Democratico ha posto in essere nella campagna elettorale rispetto ai Repubblicani:



di fatto, la Georgia aveva valore nazionale, era un test sulla fiducia dell’America in Trump. E i Repubblicani hanno fatto meglio che in novembre. Non solo, a conferma di quanto il partito di Hillary Clinton e Barack Obama avesse scommesso su questa tornata non ci sono solo i 22 milioni spesi contro i 3 della candidata repubblicana ma anche il fatto che dei 23 milioni raccolti in totale da Ossoff, quelli giunti dalla California erano 9 volte superiori a quelli della Georgia stessa. Era voto vero e con valenza nazionale. E Trump ha stravinto.

Meglio non farle sapere in giro queste cose, che dite? Come è meglio non fare sapere questo,


ovvero che, guardando la lista dei donatori del McCain Institute, think tank del senatore neo-con e falco atlantista, si scopre che c’è molto in comune con quelli della Clinton Foundation, incluso George Soros, l’Arabia Saudita e la OCP, un’azienda marocchina a controllo statale che opera nel campo dei fosfati nel Sahara dell’Ovest e, incidentalmente, donatrice munifica anche della Clinton Global Initiative. Qualcuno, a Washington, ha deciso che – stante l’aria che tira – il potente senatore non è più inattaccabile?

E di cambiamenti ne sono accaduti altri due, belli grossi, ieri. Mentre infatti i media rilanciavano gli allarmi di Parigi e Bruxelles, sempre a Washington i deputati repubblicani alla Camera dei Rappresentanti hanno mosso un’eccezione di costituzionalità alla legge che imponeva nuove sanzioni contro la Russia, passata la settimana scorsa al Senato con un bulgaro e bipartisan 98 a 2, di fatto bloccandone l’iter con un cavillo procedurale. Un qualcosa che, guarda caso, ha fatto saltare immediatamente i nervi ai Democratici, soprattutto al potente senatore dello Stato di New York e clintoniano di ferro, Chuck Schumer.

Ecco le sue parole, contenute in un duro comunicato: “I Repubblicani alla Camera stanno considerando di usare una scusa procedurale per nascondere quanto in realtà stanno facendo sottobanco: ovvero, coprire un presidente che è stato troppo morbido con la Russia. Il Senato ha fatto passare quella legge con un forte voto bipartisan, mandando un messaggio potente e chiaro al presidente Trump riguardo al fatto che non deve ammorbidire il regime sanzionatorio verso Mosca”. Messaggio che qualcuno ha deciso di rigettare, a quanto pare. Non c’entrerà, forse, il fatto che cominciano a circolare dossier relativi a una vendita di uranio proprio ai russi che coinvolgerebbe in prima persona Hillary Clinton e l’attuale procuratore speciale per il Russiagate, quel Robert Mueller all’epoca dei fatti capo dell’FBI?

Poi, restando in tema di cambiamenti, ecco il più importante. Con mossa assolutamente a sorpresa, il Re saudita Salman ha nominato principe della corona suo figlio 31enne, Mohammed bin Salman, rimuovendo da quel ruolo il potentissimo nipote, Mohammed bin-Nayef, 57enne zar dell’anti-terrorismo e dei servizi segreti sauditi, nonché alleato di ferro del Deep State a Washington. Essendo già a capo di difesa, economia e politiche petrolifere, di fatto con la nomina di stamattina bin Salman vede consolidato il suo potere pressoché assoluto: di fatto, la lotta intestina alla famiglia saudita è iniziata, tanto che i media USA parlano già di un “Game of Thrones” a Ryad, dai dubbi esiti finali.

Una cosa è certa: lo scorso 30 maggio, lo stesso Mohammed bin Salman si è incontrato con Vladimir Putin, con il quale ha discusso di vari argomenti e, quasi per magia, la retorica bellica di Ryad verso il Qatar si è placata. Che il vecchio alleato di Washington sia sulla strada turca del ravvedimento e dell’avvicinamento a Mosca? Il ribaltone di potere accaduto in Arabia è senza precedenti, anche per le modaltà con cui è avvenuto. Qualcosa è accaduto, questo è chiaro. Ma i media non possono dirvelo, meglio terrorizzarvi un po’ col kamikaze in stile “Angeli e demoni”. Occhio, qualcosa si sta muovendo. Ed è pesantemente contro il Deep State. Quindi, aspettiamoci a breve delle contromosse. Di quelle davvero, davvero pesanti. Perché stanno perdendo la partita. E perché l’avanzata siriana e russa verso Raqqa e i suoi inconfessabili segreti sta proseguendo. Non sarà mica questa la reale motivazione di tutti questi attentati e di tutti questi sommovimenti politico-diplomatici?


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Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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