“Ha rinunciato a tutte le responsabilità che definiscono il papato, e quindi ha rinunciato al papato”. “Non c’è dubbio che Francesco è il Papa legittimo”

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Di tanto in tanto riaffiorano discussioni sulla validità della rinuncia al soglio pontificio del papa emerito Benedetto XVI e, di conseguenza, sulla legittimità del papa in carica, Francesco. Sono discussioni che contribuiscono a creare confusione. E di confusione in giro ce n’è già tanta. Sarebbe dunque il caso che si ponesse fine.

Pubblico questo interessantissimo articolo di Diane Montagna, nella convinzione che possa aiutare a fugare ancora i dubbi eventualmente presenti.

Ecco l’articolo nella traduzione pubblicata sul blog di Sabino Paciolla.

L’arcivescovo Georg Gänswein ha riaffermato la validità delle dimissioni di Benedetto, insistendo sul fatto che ha dato le dimissioni dall’ufficio petrino.

“C’è un solo Papa legittimamente eletto e in carica [gewählten und amtierenden], e cioè Francesco”, ha detto il segretario privato di lunga data di Benedetto XVI, aggiungendo semplicemente: “Amen”.

La sua affermazione definitiva, comunicata a LifeSiteNews l’11 febbraio 2019 – sesto anniversario della rinuncia di papa Benedetto XVI – arriva in un momento in cui un numero crescente di vescovi, canonisti, teologi e fedeli laici ne mette in discussione la validità giuridica.

Sia il clero che i laici sono preoccupati che le osservazioni di Benedetto sul “per sempre” del papato – e quelle dell’arcivescovo Gänswein su unministero petrino esteso” – indicano che Benedetto ha inteso dividere il papato, come se intendesse dimettersi solo dal ministerium (ministero attivo) del papato e non dal munus (ufficio) stesso. Se così fosse, procede il ragionamento, le sue dimissioni non sarebbero valide, perché Cristo voleva che ci fosse un solo successore di Pietro, un solo Vicario di Cristo sulla terra.

Presentando queste preoccupazioni all’arcivescovo Gänswein, gli abbiamo chiesto: “Papa Benedetto XVI aveva intenzione di dimettersi dal munus petrino così come viene definito nel diritto canonico (canone 332, §2), o solo per le azioni pubbliche che riguardano quel munus?”

Ho già chiarito più volte il ‘malinteso’“, ha risposto. “Non ha alcun senso, anzi, no, ancora di più, è controproducente insistere su questo ‘malinteso’ e citarmi più e più volte. Questo è assurdo e porta all’autolesionismo [Selbstzerfleischung]. Ho detto chiaramente che c’è un solo Papa, un solo Papa legittimamente eletto e in carica, e questo è Francesco. Amen”.

LifeSite ha approfondito le argomentazioni e le affermazioni relative a questo aspetto del dibattito sulla validità delle dimissioni di Benedetto. Ci siamo poi seduti con i cardinali Burke e Brandmüller per ascoltare le loro opinioni.

Mettere in discussione la validità giuridica delle dimissioni di Benedetto

La preoccupazione per la validità giuridica delle dimissioni di Benedetto ha messo all’opera molti teologi ed è aumentata negli ultimi mesi e anni.

Lo scorso ottobre, monsignor Nicola Bux, stimato teologo ed ex consulente della Congregazione per la dottrina della fede durante il pontificato di Benedetto XVI, ha chiesto un approfondimento su queste dimissioni.

In una efficace intervista con il vaticanista italiano Aldo Maria Valli sulla crisi dottrinale e morale nella Chiesa, mons. Bux, ora consulente teologico della Congregazione delle cause dei santi, ha detto che sarebbe stato “più facile” esaminare la questione della “validità giuridica delle dimissioni di papa Benedetto XVI” piuttosto che affrontare di petto le “difficoltà pratiche, teologiche e giuridiche alla questione di giudicare un papa eretico”.

L’idea di una sorta di papato collegiale mi sembra decisamente contraria al dettato evangelico”, ha detto. “Gesù non ha detto, infatti, ‘tibi dabo claves…..’ rivolgendosi a Pietro e Andrea, ma solo a Pietro!

Il riferimento di mons. Bux a un papato “collegiale” era un’allusione a una preoccupazione per lo sfondo delle dimissioni di Benedetto che da tempo circola negli ambienti curiali e teologici.

Lo scrupolo è stato innescato da un discorso pronunciato dall’arcivescovo Gänswein il 20 maggio 2016, durante il lancio di un libro presso la Pontificia Università Gregoriana. Di lui (cioè di Benedetto XVI,ndr) ha detto il segretario personale di Benedetto:

Ha lasciato il trono papale eppure, con il passo compiuto l’11 febbraio 2013, non ha affatto abbandonato questo ministero. Invece, ha completato l’ufficio personale con una dimensione collegiale e sinodale, come un ministero quasi condiviso (als einen quasi gemeinsamen Dienst)”.

L’arcivescovo Gänswein ha continuato:

Dall’elezione del suo successore Francesco, il 13 marzo 2013, non ci sono quindi due papi, ma di fatto un ministero ampliato – con un membro attivo e un membro contemplativo. Per questo motivo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Ecco perché il nome giusto con cui rivolgersi a lui anche oggi è “Vostra Santità”.  […]

Non ha abbandonato l’ufficio di Pietro – cosa che sarebbe stata del tutto impossibile per lui dopo la sua irrevocabile accettazione dell’ufficio nell’aprile 2005″, ha detto.


Il discorso dell’arcivescovo Gänswein sul “papato ampliato” ha suscitato profonda preoccupazione, ed è apparso gettare nuova luce sulle osservazioni di papa Benedetto XVI durante la sua ultima udienza generale di mercoledì 27 febbraio 2013, un giorno prima di lasciare il Vaticano in elicottero per Castel Gandolfo.

Riflettendo sulla sua accettazione del papato il 19 aprile 2005, papa Benedetto XVI ha detto:  

La gravità della decisione [di dimettersi] è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata”.

Continua papa Benedetto XVI:

Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”.

Poi, circa quattro anni dopo, riflettendo sulla sua abdicazione in un libro-intervista con Peter Seewald dal titolo Last Testament, ha detto Benedetto XVI: “Il mio passo non è stato quello di prendere il volo, ma è stato proprio un altro modo per rimanere fedele al mio ministero”.

La natura del dubbio


La preoccupazione a cui monsignor Bux alludeva nella sua intervista del 13 ottobre nasce dal fatto che il papato è per legge divina monarchica e non può essere detenuto da più di una persona alla volta.

Un errore popolare tra i protestanti e i teologi cattolici liberali dopo il Vaticano II sosteneva che non c’era un papato monarchico nel primo o all’inizio del II secolo, ma che l’episcopato monarchico fu introdotto qualche tempo dopo Sant’Ignazio di Antiochia (108 d.C.) e prima di Sant’Ireneo di Lione (circa il 180 d.C.).

I cattolici moderatamente liberali che si attengono all’errore di cui sopra ma sentono ancora il bisogno di sostenere l’origine divina del papato cercano di affermare che il suo carattere monarchico è stato e potrebbe essere cambiato da aristocratico a monarchico e viceversa. Cioè, immaginano che un concilio di presbiteri abbia governato la Chiesa romana piuttosto che un vescovo dopo la morte di San Pietro fino a quando, nel secondo secolo, questo concilio fu sostituito da un vescovo di Roma, o Papa. Poiché questo è accaduto in passato (immaginano), non vedono alcun motivo perché non possa accadere in futuro e che due o tre o una dozzina o più collettivamente possano esercitare il primato papale.

Si sostiene che in alcuni scritti degli anni ’70 Joseph Ratzinger, almeno, ha preso in considerazione queste idee senza respingerle chiaramente.  

Quando si dimise dal pontificato, Benedetto XVI parlò (nel testo latino) del peso del munus papale e del rinunciare al ministerium papale. Dato che nella sua ultima udienza del mercoledì Benedetto XVI parlò in qualche modo di essere il Papa “sempre” e “per sempre”, e l’arcivescovo Georg Gänswein ha parlato della nuova situazione che si è venuta a creare dopo l’abdicazione, secondo cui ora non ci sono “due papi, ma di fatto un ministero ampliato – con un membro attivo e un membro contemplativo”, suggerisce che papa Benedetto ha tentato dimissioni parziali sulla base di una falsa comprensione del proprio ufficio e quindi, forse, si è dimesso invalidamente.

Benedetto XVI, dopo le sue dimissioni, ha accresciuto questi dubbi mantenendo il nome e l’abito papale e la forma con cui rivolgerglisi.

Alcuni hanno dedotto da ciò che Benedetto XVI abbia distinto tra un munus papale di origine divina e un ministerium papale di origine umana che può essere diviso o biforcato e altrimenti alterato dall’autorità ecclesiastica – e intendeva, nella sua abdicazione, conservare il munus condividendolo con il suo successore al quale sarebbe passata la maggior parte o tutto il ministerium.

Ciò non è possibile, poiché la natura monarchica del papato è di diritto divino. Ma se questa è stata la base dell’abdicazione di Benedetto XVI, allora ha agito per errore sostanziale, e così Benedetto XVI rimane il Papa. Secondo il can. 188 del Codice di diritto canonico: “La rinuncia fatta per timore grave, ingiustamente incusso, per dolo o per errore sostanziale oppure con simonia, e nulla per il diritto stesso“. Cioè, Benedetto XVI ha tentato di dimettersi da un aspetto del papato che si supponeva falsamente separabile dall’ufficio stesso e non ha inteso dimettersi dall’ufficio in quanto tale (ma ha chiesto ai cardinali di dargli un collega dell’ufficio) e quindi le sue dimissioni non sarebbero valide.

Questo, proseguendo nel ragionamento, spiegherebbe i molti errori insegnati da Papa Francesco. Non essendo in realtà il Papa (si dice), non godrebbe delle grazie di stato di un Papa.

Dubitare dei dubbi

Mentre la tesi ha suscitato interesse in molti ambienti, anche i teologi che trovano gli argomenti degni di considerazione sono spesso poco convinti.

Un teologo che ha parlato con LifeSiteNews a condizione di rimanere anonimo ha affermato che i sostenitori di questa opinione devono dimostrare che papa Benedetto ha inteso il munus e il ministerium come riferimenti a due realtà diverse. “Se si pensa che ministerium significhi solo atti di insegnamento e di governo, allora sembrerebbe davvero diverso dal munus, che normalmente designa un ufficio, cioè una sorta di stato”, ha detto.

Ma ‘ministerium’ non deve significare atti”, ha spiegato. “Il primo significato che gli viene dato nel dizionario latino (Lewis e Short) è ‘ufficio’. Direi che il suo significato di base è ‘un ufficio in virtù del quale si devono compiere atti per aiutare gli altri’”.

Il teologo ha inoltre osservato che “munus” non significa solo uno stato. “Secondo il dizionario latino, può anche riferirsi all’adempimento di un dovere”, ha detto. “È stato usato in questo senso da Cicerone e non c’è scrittore di prosa latina più autorevole di lui”.

Ha detto che la differenza principale tra le parole sembra essere semplicemente che ‘munus‘ connota più “il peso che l’ufficio mette su colui che lo porta“, e ‘ministerium’ connota più “il riferimento ad altre persone che l’ufficio stabilisce“. “Ma questo non impedisce loro di riferirsi ad un solo e medesimo ufficio o stato”, ha aggiunto.

Perché allora papa Benedetto ha detto munus all’inizio della sua dichiarazione latina e ministerium alla fine, se li ha intesi come riferimento alla stessa realtà? Il teologo ha suggerito due possibilità.

Una è semplicemente che chi vuole scrivere una prosa elegante spesso evita le frequenti ripetizioni della stessa parola”, ha detto. “Un altro è che la parola ‘ministerium’ ha forse un suono più umile, perché si riferisce più direttamente al papato nel suo rapporto con gli altri, e non come ad un incarico dato a qualcuno. Così, avendo iniziato a usare la parola ufficiale ‘munus’, Benedetto è passato alla parola che suona più umile”.

Il teologo ha poi osservato che, mentre Benedetto era a conoscenza degli scritti teologici degli anni ’70 che proponevano di dividere il munus petrino, non è “a conoscenza di nessun scritto in cui Joseph Ratzinger avalla questa tesi”.

Ha detto che la mancanza di chiarezza sulla posizione di Ratzinger è aggravata dal fatto che i traduttori hanno tradotto male Ratzinger e lo hanno presentato come un sostenitore di idee eterodosse, mentre in realtà egli riportava il pensiero di qualcun altro piuttosto che esprimere il suo.

Il teologo ha riconosciuto che è possibile che papa Benedetto pensasse che ci potesse essere una vera distinzione tra munus e ministerium, ma di non essere sicuro. In quel caso, ha detto, l’abdicazione di Benedetto sarebbe invalida solo se avesse in mente il pensiero:  “Voglio dimettermi dal ministerium solo se è di fatto distinto dal munus”.

Ma ha detto che sarebbe stato altrettanto possibile che, non essendo sicuro che ci fosse una distinzione, Benedetto avrebbe potuto avere in mente il pensiero: “Voglio dimettermi dal ministerium, che sia distinto o meno dal munus”. In quel caso, il teologo ha detto di ritenere che le dimissioni sarebbero state valide.

In ogni caso”, ha detto, “non credo che ci siano prove convincenti che Benedetto pensava che ci fosse una vera distinzione tra le due cose”.

Di nuovo”, il teologo ha continuato, “poiché secondo il canone 15, §2, non si può presumere l’errore nella legge, la presunzione deve essere che egli abbia validamente rinunciato al papato”.

Ha detto che le persone che insistono con la tesi che le dimissioni di Benedetto non sono valide “sembrano quindi in una posizione simile a quella di un coniuge cattolico che è personalmente convinto che il suo matrimonio in Chiesa non sia valido”.

Per quanto la persona sia convinta di questo, non è libera di risposarsi finché un tribunale ecclesiastico non abbia dichiarato che non c’è mai stato un matrimonio”, ha detto. “Quindi, anche se qualcuno è convinto che Benedetto XVI è ancora Papa, dovrebbe aspettare il giudizio della Chiesa prima di agire in base a questa convinzione, ad esempio, un sacerdote in quella posizione dovrebbe continuare a menzionare Francesco nel canone della Messa”.

Per quanto riguarda l’argomento secondo cui Papa Francesco non può essere Papa perché chiaramente non ha grazie dello stato, il teologo ha detto che si dimentica che “la grazia viene normalmente offerta in modo tale da poter essere rifiutata”.

Si potrebbe anche dire che un uomo che picchia sua moglie ovviamente non può essere validamente sposato con lei”, ha detto.

Altri teologi considerano l’uso da parte di Benedetto del titolo di “Papa emerito” come un punto a favore delle dimissioni.

Il canone 185 del Codice di diritto canonico (sulla perdita dell’ufficio ecclesiastico) dice: “A colui, che perde l’ufficio per raggiunti limiti d’età o per rinuncia accettata, può essere conferito il titolo di emerito“.

Come ha spiegato un teologo, ogni vescovo che va in pensione diventa vescovo emerito. È il vescovo emerito dell’ultima diocesi di cui ha presieduto. Creando il titolo di “papa emerito” (si dice), Benedetto sta dicendo “quello che fa ogni vescovo, lo faccio anch’io”.

LifeSite ha anche chiesto al noto storico cattolico Roberto de Mattei riguardo le sue riflessioni su argomenti che invocano l’”errore sostanziale”. Seguendo la linea di pensiero del primo teologo, il professor de Mattei ha osservato che: “La Chiesa è una società visibile, e il diritto canonico non valuta le intenzioni, ma riguarda il comportamento esterno dei battezzati. Il Canone 124, §2 del Codice afferma che: ‘L’atto giuridico posto nel debito modo riguardo ai suoi elementi esterni si presume valido’”.

Benedetto XVI aveva intenzione di dimettersi solo parzialmente, rinunciando al ministerium, ma conservando il munus per sé stesso? È possibile“, ha detto, “ma nessuna prova, almeno fino ad oggi, lo rende evidente”.

Siamo nel regno delle intenzioni“, ha aggiunto. “Il Canone 1526, § 1 afferma: ‘Onus probandi incumbit ei qui asserit’ (“L’incombenza di fornire le prove tocca a chi asserisce”). Provare significa dimostrare la certezza di un fatto o la verità della dichiarazione. Inoltre, il papato è di per sé indivisibile”.

Portando l’argomentazione di Mons. Bux a favore dell’esame della validità giuridica dell’abdicazione a tutto tondo, ha detto de Mattei: “Se fosse provato che Benedetto XVI aveva l’intenzione di dividerla, di modificare la costituzione della Chiesa voluta da Nostro Signore, sarebbe caduto in eresia, con tutti i problemi che ne sarebbero derivati. La situazione attuale della Chiesa non è già abbastanza grave senza complicarla ulteriormente?”

Certezza dal cardinale Brandmüller

Nei commenti a LifeSite, il cardinale Walter Brandmüller, già presidente del Pontificio Comitato per le scienze storiche, ha insistito: “Le dimissioni erano valide e l’elezione era valida”.

Abbastanza“, ha aggiunto.

Brandmüller, stimato storico della Chiesa, è stato uno dei quattro cardinali che hanno firmato cinque dubia con i quali hanno chiesto chiarimenti a Papa Francesco sugli insegnamenti morali contenuti nell’esortazione apostolica del Papa del 2016, Amoris Laetitia.  

Nella nostra conversazione con il cardinale tedesco, egli ha citato due dettami giuridici romani che egli ha detto essere importanti da tenere a mente: de internis non iudicat praetor (un giudice non giudica le cose interne) e quod non est in actis, non est in mundo (ciò che non è negli atti [del processo], non esiste).

Nel giudicare la validità di qualsiasi atto giuridico, il cardinale Brandmüller ha detto che dobbiamo considerare “fatti e documenti” e “non ciò che le persone in questione potrebbero stare a pensare“.

Bisogna sempre tenere presente che la legge parla di fatti verificabili, non di pensieri”, ha detto.

Che tipo di errore sostanziale potrebbe invalidare una dimissione papale? abbiamo chiesto al cardinale Brandmüller.

“Se un Papa decidesse di dimettersi perché pensa che le truppe islamiche stiano invadendo il Vaticano, le dimissioni non sarebbero valide se le truppe islamiche non avessero di fatto invaso”, ha detto in una versione moderna del piano di contingenza del Venerabile Papa Pio XII di dimettersi nel 1944 per evitare di essere arrestato dai nazisti.

Il cardinale Brandmüller è stato un critico delle dimissioni di Benedetto, così come della sua decisione di mantenere la tonaca bianca e il suo nome papale

Nel 2016, scrisse un articolo in cui chiedeva una legge per definire lo status dell’ex-papa e concludeva che le dimissioni del Papa “sono possibili, ed è stato fatto, ma si spera che non si ripeta mai più“. (Una versione estesa dell’articolo è apparsa sul periodico The Jurist.

Poi, in un’intervista del 2017 critica le dimissioni di Benedetto, il cardinale tedesco ha detto a Frankfurter Allgemeine Zeitung che il titolo di “Papa emerito” non è mai esistito “in tutta la storia della Chiesa” e che le dimissioni di Benedetto “ci hanno colpito obliquamente, e non solo noi”.

Poco dopo, il quotidiano tedesco Bild pubblicò due lettere del Papa emerito al cardinale Brandmüller, in cui il Papa emerito difendeva la sua decisione di dimettersi ma rivelava anche la sua consapevolezza del dolore che aveva causato.

Nella prima lettera, datata 9 novembre 2017, Benedetto scrive: “Con ‘Papa emerito’, ho cercato di creare una situazione in cui io sono assolutamente inaccessibile ai media e in cui è del tutto chiaro che c’è un solo Papa. Se conosci un modo migliore e credi di poter giudicare quello che ho scelto, dimmelo”.

Nonostante la sua critica all’abdicazione di Benedetto, alla creazione del titolo di “papa emerito“, e alla custodia della tonaca bianca e del nome papale, il cardinale Brandmüller mantiene senza riserve la validità delle dimissioni.

Non c’è dubbio che Francesco è il Papa legittimo”, ha detto.

Interviene il cardinale Burke

LifeSite ha anche incontrato il cardinale statunitense Raymond Burke, già prefetto della Segnatura Apostolica della Santa Sede (l’equivalente vaticano della Corte Suprema), per discutere le sue opinioni sulla validità giuridica delle dimissioni di Papa Benedetto XVI alla luce delle preoccupazioni di cui sopra e delle osservazioni del cardinale Brandmüller.

Dopo aver considerato i vari aspetti della questione, compresi i relativi canoni, il testo latino delle dimissioni di Benedetto e la sua ultima udienza generale, ha detto il cardinale Burke: “Credo che sarebbe difficile dire che non sono valide“.

A proposito della declaratio latina di Benedetto, il cardinale Burke ha detto che “sembra chiaro che egli usa intercambiabilmente ‘munus’ e ‘ministerium’. Non sembra che faccia una distinzione tra i due”.

Per quanto riguarda l’ultima udienza generale di Benedetto del mercoledì, ha detto che mentre la trova “preoccupante“, non ritiene che i commenti di Benedetto “sempre e per sempre” costituiscano un errore sostanziale (secondo il can. 188 e il can. 126) riguardo alla sua abdicazione “perché è chiaro dalla dichiarazione che egli rinuncia al munus“.

Possiamo dire che ci sono nozioni sbagliate”, ha detto, “ma non credo che si possa dire che equivalgano a una non rinuncia all’ufficio petrino”.

È qui che entra in gioco il motto ‘de internis non iudicat praetor’“, ha spiegato, facendo eco al cardinale Brandmüller. “La Chiesa si destabilizzerebbe completamente se non potessimo dipendere da certi atti giuridici che producono effetti”.

Qualunque cosa egli abbia teoricamente pensato del papato, la realtà è ciò che si esprime nella disciplina della Chiesa. Ha ritirato la sua volontà di essere il Vicario di Cristo sulla terra, e quindi ha cessato di essere il Vicario di Cristo sulla terra”, ha spiegato l’ex capo della più alta corte vaticana.

Ha rinunciato a tutte le responsabilità che definiscono il papato (cfr. Pastor Aeternus) e quindi ha rinunciato al papato“.  

Il cardinale Burke definisce l’idea che il papato potesse essere biforcato o ampliato “fantasia”. “L’ufficio deve inerire una persona fisica”, ha detto.

Il munus e il ministerium sono inseparabili”, ha spiegato anche lui. “Il munus è una grazia che viene conferita, e solo in virtù di questa grazia si può svolgere il ministero”.  Quindi, “se uno non ha più quella grazia perché ha ritirato la sua volontà di essere Vicario di Cristo sulla terra, allora non può esercitare il ministero petrino”.

Il Cardinale ha poi osservato che “il papato non è un sacramento nel senso che c’è un carattere indelebile”.

Se tu dicessi di non poter più svolgere il ministero sacerdotale, potresti ancora essere un sacerdote che offre la sua vita in modo sacerdotale. Con la consacrazione episcopale, c’è anche un segno indelebile impresso sull’anima per mezzo del quale un uomo diventa il vero pastore del gregge, esercitando il sacerdozio nella sua pienezza”.

La cerimonia di inaugurazione del ministero petrino è un rito simbolico, ma non conferisce nulla di nuovo alla persona”, ha spiegato. E così “con il papato, quando si rinuncia all’ufficio, si cessa semplicemente di essere Papa”.

Il cardinale Burke è convinto che l’uso dei titoli papali e dell’abito papale dopo che un Papa si è dimesso è giuridicamente e teologicamente problematico e non aiuta i fedeli a comprendere il vero senso di ciò che è accaduto – cosa che egli ha sollevato nelle Congregazioni generali poco prima dell’ultimo conclave.  “Una volta rinunciato alla volontà di essere il vicario di Cristo sulla terra, allora si ritorna a ciò che si era prima”, ha detto.

Ma per quanto riguarda l’abdicazione stessa, ha detto Sua Eminenza: “Mi sembra chiaro che Benedetto era stanco e che intendeva dimettersi dall’ufficio petrino”.

Fonte: LifeSiteNews

 

L’articolo “Ha rinunciato a tutte le responsabilità che definiscono il papato, e quindi ha rinunciato al papato”. “Non c’è dubbio che Francesco è il Papa legittimo” proviene da Il blog di Sabino Paciolla.

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