Habib Malik: «Primavera araba, il pericolo sono gli estremisti»

fonte Terrasanta.net di Manuela Borraccino | 10 maggio 2011

(Roma) – È reale il pericolo «che i movimenti salafiti o estremisti possano conquistare la ribalta e in qualche modo dirottare il processo che è stato messo in moto» con le proteste di piazza in Nord Africa e in Medio Oriente. È questo, avverte Habib C. Malik, politologo della American Lebanese University di Beirut, «il grande timore delle minoranze e dei moderati nel mondo arabo» mentre ci si interroga sulle conseguenze dell’uccisione di Osama bin Laden.

Professore, lei ha parlato di «una guerra civile in corso nel mondo arabo». Le minoranze come stanno vivendo questi rivolgimenti?
Questa definizione che potrà apparire inusuale si riferisce a quella che a mio avviso è una sorta di guerra civile in corso tra le popolazioni e i regimi al potere. Prima di tutto dobbiamo tenere presente che a parte i musulmani sunniti tutti gli altri sono minoranze nella regione. Ed il timore più diffuso deriva dalla debole tradizione di protezione delle minoranze nel contesto islamico: se la maggioranza raggiunge il potere può facilmente prevalere il fanatismo. Perciò ognuno guarda al giorno dopo. La principale domanda è: che cosa verrà nella regione dopo questi regimi repressivi, dittatoriali, cleptocratici?

Quali sono gli scenari possibili?
Tre sono quelli che spaventano di più. Il primo vede le correnti dell’islam radicale impossessarsi delle rivolte. La buona notizia è che questo in Egitto e in Tunisia non è ancora accaduto: ad esempio in Egitto i Fratelli musulmani – l’organizzazione più strutturata, con molti anni di esperienza sul campo e servizi sociali per il popolo – non ha assunto la leadership del cambiamento. Ma è reale il rischio che si instauri una dinamica del tipo «un uomo, un voto, una volta»: in altre parole che questi movimenti arrivino al potere nei vari Paesi usando le elezioni per installarsi ai vertici e poi fermare il processo democratico. La seconda ipotesi considera il caos a tempo indeterminato: in Libia, Yemen e Siria, dove il popolo è stato represso con così tanta violenza, il cambiamento potrebbe essere drammatico e portare al fallimento dello Stato, con conseguenze pericolose per le minoranze. La terza ipotesi è che questi regimi si reinventino sotto altre spoglie, per così dire, o usino la violenza a oltranza per soffocare le rivolte. Penso che oggi questo sia più difficile: negli anni Ottanta del secolo scorso, durante la strage di 20 mila persone ordinata ad Hama da Hafez Al Assad, non c’erano né telefonini con telecamere né Twitter e Youtube. Oggi una repressione così brutale non verrebbe tollerata. Ma è un pericolo reale che, qualora si riuscisse a rovesciare il regime, i gruppi estremisti escano dalle retrovie, conquistino la ribalta e dirottino il processo di cambiamento che è stato messo in moto.

In Siria la repressione appare particolarmente dura. Quali possono essere gli esiti della rivolta?
Il regime siriano sembra essere robusto e se l’alternativa risiede negli esuli che si sono stabiliti a Washington o a Londra e che si presentano come l’opposizione siriana, Bashar Al Assad può dormire sonni tranquilli… perché non sono molto efficaci. Perciò un eventuale cambiamento potrebbe essere sanguinoso e richiedere molto tempo proprio perché la dissidenza interna è stata smantellata negli ultimi trent’anni. E c’è sempre il pericolo che in città come Deraa, al confine con la Giordania, ci sia un movimento islamista dietro le quinte. Questo è quanto il regime dice e il pretesto che usa per la repressione, ma non sono così sicuro che sia lontano dalla verità. Se questi militanti o gruppi salafiti dovessero conquistare il potere sul terreno, tutte queste figure dell’opposizione all’estero verrebbero emarginate.

(continua su fonte Terrasanta.net )