Stefano Fontana
Direttore dell’Osservatorio
L’11 luglio 2019 si terrà a Roma il Seminario di lavoro dal titolo “Diritto o condanna a morire per vite inutili?” organizzato da un ampio numero di Associazioni cattoliche. Si prevede anche la partecipazione di parlamentari di vari gruppi e in particolare dell’on. Giancarlo Giorgetti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
L’importante iniziativa è motivata dal nuovo quadro aperto dalla Ordinanza 217/80 della Corte Costituzionale, la quale, pronunciandosi su una eccezione di incostituzionalità a proposito dell’art. 580 cp, ha chiesto alle Camere di legiferare entro il 24 settembre 2019, data in cui la stessa Corte tornerà sul tema, al fine di garantire alcuni diritti soggettivi costituzionali in casi limitati di aiuto al suicidio.
Data l’importanza dell’argomento e la gravità della situazione, il 19 giugno 2019, un gruppo di laici cattolici ha inviato una Nota al Presidente della CEI, cardinale Gualtiero Bassetti, e al Segretario Mons. Stefano Russo, nella quale, tra le molte altre osservazioni, si proponeva: a) di accogliere la richiesta della Consulta limitatamente ad una revisione delle pene previste dall’art. 580 cp, tenuto conto delle mutate situazioni determinate dagli sviluppi medici e tecnologici, e con particolare riguardo ai “conviventi” che si troverebbero in condizioni particolari, differenziando in modo più articolato le situazioni; b) sviluppare il settore delle cure palliative e della terapia del dolore, dal momento che la stessa legge 38/2010, che di ciò si occupa, risulta ancora scarsamente finanziata. I firmatari chiedevano anche un pronunciamento dei Vescovi in materia.
Il Segretario della CEI ha risposto comunicando che la Presidenza aveva già in obiettivo un pronunciamento sul tema e che questo verrà fatto “nel rispetto di tutti”.
Il nostro Osservatorio, interessato a queste problematiche che chiamano direttamente in causa la Dottrina sociale della Chiesa, intende dare, in spirito di collaborazione e non di polemica, il proprio contributo di riflessione e di orientamento.
A nostro parere la proposta contenuta nella suddetta Nota ai Vescovi italiani di modificare le pene previste dall’articolo 580 cp e che, presumibilmente verrà discussa anche nel Seminario dell’11 luglio prossimo, non è la strada giusta da percorrere. Secondo noi bisogna invece impegnarsi per la conferma di tale articolo e su questo impegnare una battaglia culturale a difesa della vita come valore assolutamente intangibile. Elenchiamo qui una serie di motivazioni a sostegno di questa nostra tesi.
- Una riduzione significativa della pena, nel riconoscimento della difficile situazione del convivente che si decidesse a collaborare al suicidio del paziente, metterebbe in crisi le finalità retributive, di recupero e dissuasive della legge e comporterebbe una sopravvalutazione delle situazioni e delle circostanze rispetto all’atto materiale dell’aiuto al suicidio, finendo per tutelare più il colpevole che la vittima e distogliendo l’attenzione su un aspetto, certamente importante ma accidentale, rispetto alla forma specifica – morale e giuridica – dell’aiuto al suicidio.
- Il rischio contenuto in questa linea di intervento è di trasformare le attenuanti in eccezioni. Se le attenuanti vengono trasformate in eccezioni, la situazione espressiva delle attenuanti dà origine ad una nuova norma, diversa dalla precedente. La trasformazione delle attenuanti in eccezioni risponde ad un tipo di teologia morale che esclude nell’agire umano il male assoluto da evitare e sanzionare sempre, e ritiene che le varie situazioni dell’agente esprimano diverse gradualità, più o meno adeguate, di bene, delle quali bisognerebbe tenere conto prima della norma generale. Questa impostazione non è condivisibile, perché darebbe luogo ad un’etica della situazione e ad una diritto dipendente dalla situazione esistenziale piuttosto che dalla legge naturale.
- Le circostanze non possono, in genere, cambiare la natura specifica della legge, essendo esse a carattere accidentale e non sostanziale, ed essendo la forma specifica della legge determinata principalmente dal suo contenuto materiale ordinato al fine e non dalle intenzioni dell’agente o dalle circostanze in cui egli si trova ad agire. La considerazione delle circostanze in ordine ad una riduzione della pena potrebbe condurre a superare la soglia oltre la quale l’inaccettabile diventa – di diritto o di fatto – accettabile, permettendo alle circostanze di cambiare la forma della legge.
- La revisione dell’art. 580, così come proposta, non è immediatamente configurabile come scelta del “male minore” per evitare anticipatamente una legge più permissiva, dato che conferma la natura di reato dell’aiuto al suicidio. Tuttavia, se condotta in modo da diminuire, nel dettato della legge e nel pubblico sentire, l’avvertimento del male intrinseco caratterizzante l’aiuto al suicidio, nell’intenzione di evitare un suo uso maggiormente deplorevole, si configura come scelta del male minore, il che è moralmente inaccettabile. Poiché tale rischio, nella strada che stiamo esaminando, non è da escludersi, la strada non è da percorrersi.
- Oltre che moralmente inaccettabile, la scelta del male minore è anche politicamente perdente, come dimostrato da tutta la storia recente dell’impegno cattolico su questo fronte. Si ricordino, a questo proposito, gli esiti politici e giuridici della legge 40/2004 sulla fecondazione artificiale, oppure la cosiddetta legge Cirinnà sulle unioni civili, fino alla legge 219/17 sulle cosiddette Dichiarazioni anticipate di trattamento. Come allora, anche in questo caso si sollecita un intervento parlamentare al quale i deputati cattolici non dovrebbero mancare altrimenti si correrebbe il realistico pericolo di una legge molto più aperta alla ratio Ma perché questa volta l’esito dovrebbe essere diverso dal passato? Non è più realistico fare opposizione, non solo a questa legge ma, approfittando del contesto, anche ad altre?
- La dottrina morale cattolica, inglobando in sé anche la legge morale naturale, ha sempre sostenuto l’esistenza di atti intrinsecamente cattivi (intrinsece mala). Ad essi sono soprattutto dedicati alcuni documenti magisteriali di grande ed imperituro valore. L’assistenza al suicidio rientra certamente in questa categoria di atti umani. É vero che la norma giuridica non coincide con la norma morale, ambedue però godono della forma della legge che impone una coerenza tra le due. Va tenuto presente che l’attenuazione delle pene previste dall’articolo 580 cp toglierebbe – rispetto almeno al sentire comune, dato il valore pedagogico della legge – all’atto materiale oggetto della norma la caratteristica di intrinsece malum.
Il punto principale a sostegno di una partecipazione dei parlamentari cattolici e, tramite essi, del cosiddetto mondo cattolico, alla revisione dell’articolo 580 nel senso di una articolazione e riduzione delle pene da esso previste, è che altrimenti si avrebbe una legge sul suicidio assistito a maglie larghe. Su questa previsione osserviamo che:
- Una legge sul suicidio assistito a maglie larghe si avrà ugualmente, non nonostante ma proprio perché i parlamentari cattolici si impegneranno a ridurre le pene, illudendosi di ottenere in cambio un nuovo art. 580 moderato e non radicale. Sulla loro disponibilità alla modifica e la loro attenzione ai “casi di confine”, altri inseriranno modifiche ben più sostanziali. Nel dibattito parlamentare, quanto oggi viene indicato come il male maggiore da evitare, domani diventerà il male minore da scegliere per evitarne uno di ancora maggiore.
- Come molti hanno osservato, l’Ordinanza della Corte Costituzionale è contraddittoria in se stessa in quanto da un lato riconosce il fondamento giuridico del divieto posto all’aiuto al suicidio ma dall’altro ne chiede una applicazione limitata per ottemperare ad altri diritti soggettivi contemplati dalla Costituzione e oggi non coperti dalla normativa vigente, rinviando così alla stessa Costituzione il fondamento della contraddittorietà. La linea dei cattolici dovrebbe essere di non accettare una contraddizione, ancorché costituzionale, ma farla emergere e combatterne le conseguenze che, per il principio di coerenza, non possono essere che contraddittorie.
- Altri hanno osservato che il comportamento della Corte in questo caso è stato inusuale. Compito dei cattolici dovrebbe essere di porre in luce tale incongruenza di prassi e non di adeguarvisi. Sarebbe questa una buona occasione per ricordare all’opinione pubblica altri precedenti interventi della Corte costituzionale contrari al diritto naturale.
- Il dibattito in aula potrà condurre anche ad una legge più permissiva circa il suicidio assistito, ma se i parlamentari cattolici non indeboliranno la loro proposta, accettando di modificare l’articolo 580 magari fino ai limiti della depenalizzazione in taluni casi, gli esiti della battaglia saranno meno scontati e, in ogni caso, il male non si farà con il loro consenso o con la loro debolezza. Essi potranno dire “non in mio nome” e l’intero mondo cattolico potrà dire “non in mio nome”. Se, invece, essi indeboliranno la forza della loro proposta e parteciperanno alla revisione dell’attuale normativa in materia in ossequio alle richieste della Corte, saranno annoverati tra i “padri” della nuova legge, che tutti chiameranno quindi “cattolica”, come è già successo in passato. Ciò aumenterà di molto il danno, perché contribuirà a confondere le coscienze degli stessi fedeli cattolici sulla dottrina morarle cattolica.
Stefano Fontana
a nome dell’Osservatorio
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