I mass media, Ratzinger e Bergoglio: due pesi e due misure

In questi giorni così caldi per la Chiesa cattolica, e per tutti noi giornalisti che ci occupiamo di Vaticano e dintorni, mi è capitato spesso di riflettere sul diverso trattamento riservato dalla stampa a Benedetto XVI nel 2010, nel pieno della precedente crisi per gli abusi sessuali commessi da preti, e quello riservato oggi a Francesco.

Allora il “conservatore” Ratzinger, pur essendo il papa che contro gli abusi sessuali ha fatto più di ogni altro, fu messo letteralmente in croce e difeso da pochissimi. Oggi invece, poiché dubbi e perplessità riguardano il “progressista” Francesco, per la grande stampa il punto focale non è tanto la questione in sé, e cioè gli abusi e gli insabbiamenti di cui si sono resi responsabili alti esponenti della gerarchia della Chiesa cattolica, ma la “guerra” che “conservatori” e “tradizionalisti” avrebbero scatenato, per chissà quali loschi interessi, contro Francesco, mentre egli è impegnato a dare un volto nuovo, più aperto e dialogante, alla Chiesa.

Stavo appunto riflettendo su questo ribaltamento (e contando con il pallottoliere le volte in cui io stesso, nel mio piccolo, sono stato dipinto ultimamente come tradizionalista e conservatore da chi, evidentemente, preferisce le etichette alle argomentazioni) quando mi sono imbattuto in un interessante commento scritto da Ben Shapiro per Newsweek (lo si può leggere integralmente in inglese qui: https://www.newsweek.com/ben-shapiro-why-name-god-media-protecting-pope-francis-opinion-1098982).

È un articolo coraggioso, perché va in senso opposto rispetto alla narrativa dominante, imposta ogni giorno dai mass media più potenti, tutti schierati a favore del papa “liberal” e “progressista”, vittima di un complotto dei “conservatori”.

Giustamente Shapiro nota che la narrativa era ben diversa dall’attuale anche durante la fase finale del pontificato di Giovanni Paolo II. Era il 2003 quando il Boston Globe vinse il premio Pulitzer per aver rivelato una massiccia operazione di insabbiamento di abusi sessuali all’interno della Chiesa cattolica, a opera dall’arcidiocesi di Boston. Allora la motivazione del Pulitzer elogiò come “coraggiosa” l’inchiesta del giornale, un lavoro che riuscì a perforare il muro della segretezza, suscitando una salutare reazione locale, nazionale e internazionale. Da quella vicenda, inoltre, fu tratto il film premio Oscar Spotlight, che ebbe enorme successo. Ma oggi non si vede nulla di simile a quell’inchiesta.

Oggi davanti alle rivelazioni dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex ambasciatore vaticano negli Stati Uniti che ha diffuso un memoriale di undici pagine in cui si afferma che papa Francesco sapeva del cardinale abusatore McCarrick almeno fin dal giugno 2013, nel mirino della stampa non è finito il papa, non sono finiti i vescovi e cardinali che Viganò cita in abbondanza come protagonisti di coperture e insabbiamenti. No, in modo del tutto paradossale sotto accusa è stato messo Viganò. E quasi nessuno si occupa del fatto in sé, ovvero la denuncia che Viganò fece al papa nel 2013, mentre molti si scagliano contro l’ex nunzio chiedendosi per quali losche motivazioni abbia diffuso il memoriale.

Allo stesso modo, quasi nessuno si chiede perché il papa, interrogato sulla vicenda durante il volo di ritorno da Dublino, ha ritenuto di non rispondere, mentre molti si stanno impegnando a fondo per screditare Viganò.

Shapiro non esita a definire “incredibili” le parole di un cardinale, Blase Cupich di Chicago, secondo il quale Francesco fa bene a non rispondere perché ha un programma da portare a termine e deve andare avanti occupandosi di ben altre questioni, come l’ambiente e i migranti.  Eppure molti dimostrano di pensarla come Cupich.

Viene spontaneo chiedersi: perché in questo 2018 non abbiamo visto da parte della stampa una copertura mediatica dedicata a Francesco simile a quella che vedemmo alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II e durante il pontificato di Benedetto XVI?  Perché oggi non si vedono all’opera giornalisti come quelli del Boston Globe e, se qualcuno prova a indagare, viene subito ricoperto di insulti e screditato? Perché i principali media stanno facendo di tutto per dipingere Viganò come un conservatore scontento, rancoroso e arrabbiato, che utilizza la triste vicenda McCarrick come pretesto per regolare i conti con Francesco? Perché il New York Times, che otto anni fa era in prima linea nell’accusare Benedetto XVI, ora parla invece di “lotta per il potere in Vaticano”, ovviamente manovrata dai “conservatori”? E perché, possiamo aggiungere noi, grandi testate italiane qui fanno altrettanto?

Lo spostamento del focus è una delle grandi armi a disposizione della stampa, e in questi giorni la maggioranza dei mass media la sta usando in modo spudorato. Il gioco di magia consiste nel far sparire le domande sull’operato del papa, e sulle sue mancate risposte, per mettere al centro della scena il nefando attacco dei “conservatori” al papa progressista. Lo dimostra, ancora una volta, il New York Times quando tiene a sottolineare che Francesco fin dall’inizio del pontificato ha fatto infuriare i cattolici tradizionalisti per il suo lavoro a favore di una Chiesa più accogliente e meno rigida, una Chiesa dialogante, non più interprete di una “guerra culturale” su questioni come aborto o omosessualità.

Secondo il New York Times tutto nasce con la celebre frase di Francesco “Chi sono io per giudicare?”. Fu allora, sostiene, che i nemici del papa si arrabbiarono così tanto da giurare di fargliela pagare. Ecco il problema al centro delle analisi. E le sofferenze delle vittime degli abusi? E gli orrendi crimini di preti, vescovi e cardinali corrotti moralmente? E le coperture reciproche? E gli insabbiamenti vergognosi? Solo dettagli. Interessavano quando sul trono di Pietro c’era Ratzinger, ora non più.

Il gioco di magia è ampiamente praticato. Anche la Reuters, per esempio, sposta il focus sulla “guerra” tra opposte fazioni quando sottolinea che  i difensori di Francesco si stanno compattando intorno al papa perché temono che i conservatori vorranno aumentare l’intensità dello scontro. E il Daily Telegraph fa altrettanto quando scrive che “gli analisti del Vaticano dicono che l’attacco sembra essere parte di uno sforzo concertato dei conservatori per cacciare papa Francesco, che essi non amano per le sue opinioni relativamente liberali”.

Ma perché, si chiede Shapiro, la stampa, anziché concentrarsi sulle presunte motivazioni di chi lo contesta, non va in pressing sul papa perché risponda alle domande? Con Ratzinger lo avrebbe fatto.

La verità è che i “vergognosi tentativi dei media di coprire Francesco” (parole di Shapiro) dimostrano la loro partigianeria: finché il papa era il “conservatore” Ratzinger erano ben felici di denunciare la sporcizia che c’è nella Chiesa. Ora che il papa è il “liberal” Francesco il problema non è più la sozzura nella Chiesa, ma la “guerra” scatenata dai cattivi “tradizionalisti”.

Tutto ciò, scrive Shapiro, “è vile”. Ciò che emerge è che i tradizionalisti, veri o presunti che siano, vanno combattuti a ogni costo. Questo solo interessa.

Ma il pubblico non è così facilmente manipolabile. Infatti molti si sono resi conto che la copertura mediatica della vicenda Viganò non sta mettendo in discussione il comportamento dei cattolici cosiddetti conservatori.  Sta mettendo in discussione, in realtà, proprio i mass media, che “appaiono desiderosi di scoprire i reati solo quando servono i loro interessi politici, e desiderosi di subordinare gli interessi degli innocenti al loro programma politico”.

Aldo Maria Valli

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