L’appello delle suore siriane contro i media hanno avuto spazio mediatico per un giorno ma il giorno dopo è tutto come prima …

Alcuni giorni fa le monache del monastero trappista siriano hanno cercato di frenare la disinformazione operata dai media, o meglio hanno cercato di colmare un’assenza intervenendo in prima persona con una lettera aperta  che può essere riassunta con queste parole: “Chiamare le cose con il loro nome, è questo l’inizio della pace”.  Infatti, i più importanti mezzi di informazione sulla Siria da sette anni diffondono menzogne, rivelando un’assenza non solo informativa ma soprattutto di giudizio.

Purtroppo, da questa opera generalizzata, non si discostano i più grandi media cattolici ( TV 2000 ed Avvenire ed altri) che spesso si uniscono al coro dei media mainstream che forniscono concreto supporto alla legittimazione  ‘umanitaria’ della guerra.  In questo contesto, la loro principale responsabilità è ignorare volutamente che la guerra in corso è inserita in un progetto eversivo ai danni di un paese laico, colpevole solo di non essere allineato con le potenze occidentali ed con i loro alleati del Golfo.
Ovviamente le monace non sono intervenute per fare politica ma per la responsabilità che ogni uomo ha nei confronti della verità.  E’ solo per questa ragione che le suore trappiste sono intervenute: per colmare o almeno arginare un’assenza di giudizio prima che informativa. Perché l’amore alla verità non è altra cosa rispetto alla preghiera e alla propria vocazione.

Purtroppo sembrerebbe che la loro lettera per alcune testate giornalistiche – che l’hanno pubblicata – sia stata solo una parentesi. Dopodiché  la ‘normale’ narrativa ha ripreso  l’originario filone. Ebbene questo comportamento non è indolore ma alimenta la guerra, perché i nostri governi – che appartengono a stati di diritto – hanno bisogno di consenso.
E’ inutile dire che tutti gli operatori dell’informazione conoscono l’esistenza di queste dinamiche. E’ paradossale perciò che si chieda e si incoraggi l’opera dei religiosi siriani (a volte fino all’estrema conseguenza del martirio) tesa a lenire gli effetti diretti di queste irresponsabilità, pur alimentando una narrazione contraria.  C’è da chiedersi persino se si auspica che loro voci tacciano. Altrimenti se così non fosse , perché le loro testimonianze – quando esprimono un giudizio e non solo l’empatia per la sofferenza – sono solo riportate come ‘note’, da dimenticare , subordinandole alle ‘linee’ redazionali?

Ma oltre a questo tipo di metodica contraddizione c’è n’è un’altra che è diventata allo stesso modo consuetudine: per i media – ed in special modo, tengo a ribadire, quelli cattolici cioè quelli che mi stanno ‘più a cuore’ per la loro maggiore responsabilità a riguardo – non sembra essere rilevante quante risorse economiche i paesi ‘democratici’ destinano  per armare le proprie milizie in Siria e quante siano invece irrisorie le cifre che essi riservano al sostegno umanitario, diretto effetto del loro intervento e delle sanzioni.
Altri esempi efficaci di come i mass media operino con il sistema dei due pesi e due misure sono stati dati  dalla narrazione che loro ci hanno offerto nel caso delle battaglie ingaggiate (dalla coalizione a guida USA)  per la liberazione di Mosul e Raqqa. In questo caso, è molto eloquente l’assenza informativa sulla mancata ricostruzione di Raqqa e l’abbandono totale di ogni interesse mediatico per la città di Aleppo una volta liberata.
Le falsità che l’informazione che ci ha propinato ha raggiunto l’apice quando riportava la sofferenza degli aleppini, ma nello stesso tempo voleva tributare alla popolazione  il dono eterno dei jihadisti di Aleppo est  che l’affamava, l’assetava e la bombardava. Lo stracciarsi le vesti per la liberazione di Aleppo è finita con la liberazione e con il primo Natale festeggiato dai cristiani nelle chiese e nelle strade. Con esso è finito anche l’interesse per Aleppo che la gente sta ricostruendo con le proprie forze e con il solo aiuto del governo siriano, dei suoi alleati e delle opere religiose. Inutile dire che tutto questo va di pari passo all’oblio informativo (e soprattutto di giudizio) sulla presenza militare americana al nord della Siria che ha sottratto tutte le risorse petrolifere al paese.

Ed ancora: la narrazione dei media ci trasmette l’idea che le forze armate siriane – cercando di riconquistare il paese – stiano facendo una cosa illegale, mentre giudicano plausibile, come normale, che la comunità internazionale non aiuti in alcun modo gli sforzi per la liberazione della capitale dalle bande jihadiste. Ma non solo: i media supportano ogni notizia fornita dalle Ong, palesemente messe su dai nemici della Siria innanzitutto con funzione di agenzie di PR che come agenzie umanitarie.  Ma l’aggressiva opera disinformativa  non si limita solo a questo, essa giudica  normale che l’esercito siriano sia regolarmente attaccato da Israele, USA o dai propri delegati in terra siriana. Perciò non meraviglia che in questa indecente partecipazione attiva alla guerra, le suore trappiste e i religiosi – che ripetutamente indicano il problema – siano regolarmente ignorati; le loro testimonianze di prima mano, relegate ad atto formale, atti dovuti (a cui però non è concesso di scalfire la narrativa originaria).

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