I Padri della chiesa e il sensus fidei. (3)

Continuiamo la lettura del documento della Commissione teologica internazionale intitolato «Il sensus fidei nella vita della chiesa» (2014).

«23. I Padri e i teologi dei primi secoli ritenevano che la fede della Chiesa tutta intera fosse un punto di riferimento sicuro per discernere il contenuto della Tradizione apostolica. Il loro convincimento riguardo alla solidità e anche all’infallibilità del discernimento della Chiesa nel suo insieme in materia di fede e di morale si esprimeva in un contesto di controversie. Essi rifiutarono le novità pericolose introdotte dagli eretici ponendole a confronto con ciò che si riteneva e si faceva in tutte le Chiese.[cfr.Y.M.J. Congar, Jalons pour une Théologie du Laïcat, Cerf, Paris 1953, 450-453 e 465-467]. Per Tertulliano (c. 160-c. 225), il fatto che tutte le Chiese hanno sostanzialmente la medesima fede attesta la presenza di Cristo e la guida dello Spirito Santo. Errano quanti abbandonano la fede della Chiesa intera [De præscriptione hæreticorum, 21.28]. Per Agostino (354-430) tutta la Chiesa, «dai vescovi agli ultimi fedeli», rende testimonianza alla verità.[De prædestinatione sanctorum XIV,27]. Il generale consenso dei cristiani assume il ruolo di norma sicura per determinare la fede apostolica: «Securus judicat orbis terrarum (il giudizio del mondo intero è sicuro)».[Contra epistolam Parmeniani, III,24]. Giovanni Cassiano (c. 360-435) riteneva che il consenso universale dei fedeli costituisse un argomento sufficiente per confutare gli eretici,[De incarnatione Christi I,6] e Vincenzo di Lérins (morto verso il 445) propose come normativa la fede osservata ovunque, sempre e da tutti (quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est).[Commonitorium II,5.]

24. Per risolvere le controversie fra i fedeli i padri della Chiesa fecero appello non soltanto al credere comune, ma anche alla tradizione costante della prassi. Girolamo (c. 345-420), ad esempio, giustificava la venerazione delle reliquie mettendo in evidenza la prassi dei vescovi e dei fedeli, [Adversus Vigilantium, 5] ed Epifanio (c. 315-403), per difendere la perpetua verginità di Maria, domandava se qualcuno avesse mai avuto l’audacia di pronunciare il suo nome senza aggiungervi «la Vergine».[Panarion hæreticorum, 78,6].

25. Il periodo patristico attesta principalmente la testimonianza resa dal popolo di Dio nel suo insieme, qualcosa che possiede un certo carattere oggettivo. Il popolo credente considerato come un tutto non può errare in materia di fede, si sosteneva, poiché ha ricevuto un’unzione da Cristo, lo Spirito Santo che gli era stato promesso e che gli fornisce le doti per discernere la verità. Alcuni padri della Chiesa hanno anche riflettuto sulla capacità soggettiva dei cristiani, animati dalla fede e nei quali abita lo Spirito Santo, di conservare la vera dottrina nella Chiesa e di rigettare l’errore. Agostino, ad esempio, metteva in evidenza questo punto quando affermava che Cristo, «il Maestro interiore», rende capaci anche i laici, come i loro pastori, non soltanto di ricevere la verità della rivelazione, ma anche di approvarla e di trasmetterla.[In Iohannis Evangelium tractatus XX,3; Ennaratio in Psalmum 120,7]

26. Nei primi cinque secoli la fede della Chiesa nel suo insieme si rivelò decisiva per la fissazione del canone delle Scritture e per la definizione delle principali dottrine che riguardavano ad esempio la divinità di Cristo, la verginità perpetua e la maternità divina di Maria e la venerazione e l’invocazione dei santi. In alcuni casi, come ha notato il beato John Henry Newman (1801-1890), la fede dei laici in particolare ha ricoperto un ruolo cruciale. L’esempio più impressionante fu nel IV secolo la celebre controversia con gli ariani, che furono condannati al concilio di Nicea (325), ove fu definita la divinità di Gesà Cristo. Tuttavia, da quel concilio fino a quello di Costantinopoli (381), fra i vescovi continuò a esservi incertezza. Durante questo periodo, «la tradizione divina affidata alla Chiesa infallibile fu proclamata e conservata molto più dai fedeli che dall’episcopato». «Vi fu una temporanea sospensione delle funzioni dell’Ecclesia docens. Il corpo episcopale fallì nel confessare la fede. Parlavano in modo diverso, l’uno contro l’altro; dopo Nicea, per quasi sessant’anni non vi fu alcuna testimonianza ferma, invariabile, coerente».[cfr.J.H. Newman, On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine, introduzione di John Coulson, Geoffrey Chapman, London 1961, 75-101; qui 75 e 77].»

La Commissione teologica si esprime in modo molto ovattato quando dice che tra Nicea (325) e Costantinopoli (381) «tra i vescovi continuò ad esservi incertezza». Magari nei prossimi giorni dirò qualcosa di più su quel cruciale momento della storia della chiesa. Per ora, invito a riflettere attentamente sul giudizio di Newman, che il documento vaticano sostanzialmente fa suo. «Il corpo episcopale fallì nel confessare la fede. Parlavano in modo diverso, l’uno contro l’altro; dopo Nicea, per quasi sessant’anni non vi fu alcuna testimonianza ferma, invariabile, coerente».

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