L’hanno pagata i contribuenti italiani la mostra Caesar Photos: Inside Syrian Authorities Prisons esposta dal 10 marzo al Palazzo delle Nazioni Unite di New York. Una mostra farlocca, “attestata” dal Report – finanziato dal Qatar – Into the credibility of certain evidence with regard to Torture and Execution of Persons Incarcerated by the current Syrian regime, che pretende di documentare le torture e le uccisioni di oppositori siriani effettuate dalla polizia di Assad. Un report basato su foto inattendibili, scattate, in un contesto e per finalità improbabili, da “Caesar” un sedicente – e anonimo – “funzionario della polizia siriana”. Una bufala già dettagliatamente analizzata, un anno fa, da Sibialiria e che qui riassumiamo.
Intanto, chi è “Caesar”? Il Report così lo presenta: <<… è un disertore dalla Siria. Prima della sua defezione, era in servizio presso la Polizia militare come fotografo. In tale ruolo (…) con lo scoppio della guerra civile, al pari dei suoi colleghi, doveva fotografare i cadaveri dei prigionieri, portati dai loro luoghi di detenzione in un ospedale militare. (…) Nel corso del suo lavoro ha nascosto decine di migliaia di immagini di cadaveri fotografati dai suoi colleghi e da se stesso. Altre immagini simili sono state contrabbandate da altre persone. In tutto, circa 55.000 immagini; (mediamente) quattro o cinque fotografie scattate di ciascun corpo per circa 11.000 detenuti uccisi.>>
Ma perché mai la Polizia militare di Assad avrebbe dovuto trasportare in un ospedale militare i prigionieri, ammazzarli, fotografarli e realizzare così questa macabra collezione? <<La ragione per fotografare persone giustiziate era duplice: in primo luogo per permettere un certificato di morte da prodursi senza che le famiglie necessitassero di vedere il corpo, evitando così alle autorità di dover dare un resoconto veritiero della loro morte; in secondo luogo per documentare che gli ordini da eseguire erano stati effettuati.>> Ma per quale assurdo motivo le autorità avrebbero dovuto esibire un certificato di morte (“per problemi cardiaci e attacchi respiratori”) alle famiglie degli 11.000 oppositori che sarebbero scomparsi nelle carceri siriane? Per spingerle ad avere indietro il corpo del loro caro e constatare così i segni delle torture? E poi, quale regime conserverebbe una documentazione così dettagliata sui propri crimini? Da sempre, dai lager nazisti a Pinochet, gli oppositori scompaiono e basta. Desaparecidos, appunto. Altro che certificato di morte alle famiglie o immensi archivi fotografici a disposizione di qualche sadico satrapo di regime o di qualche inaffidabile dipendente della Polizia militare.
Ma soffermiamoci brevemente sulle foto (argomento approfondito qui). Essendo state scattate dal “regime di Assad” per realizzare il macabro Database dei prigionieri uccisi, sarebbe stato logico trovare, nella “cinquina” di foto che documenterebbe la tortura e la morte di ogni vittima, almeno una raffigurante la faccia del malcapitato.
Così non è. Anzi nelle foto il viso è celato. <<Per motivi di sicurezza e privacy facce o altre caratteristiche potenzialmente identificativi nelle foto sono state rimosse.>> Motivi di sicurezza e di privacy? Per persone la cui identificazione avrebbe significato, un inequivocabile atto di accusa per i carnefici? Per delle famiglie che certamente avrebbero diritto di conoscere la sorte toccata ai loro cari? Per i condannati stessi, che in questa rivelazione avrebbero potuto esternare la loro ultima testimonianza? Niente. “Motivi di sicurezza e di privacy”. E così nulla si può dire sulla identità delle persone “martoriate e uccise dal regime di Assad”.
E se quei corpi fossero invece di persone di persone cadute in mano ai “ribelli siriani”? Quali prove ci sono che le foto mostrano prigionieri del regime di Assad? La parola di “Caesar”? Tutto qui? Allora, si dia a Caesar quello che è di Caesar. Tanto a pagare sono i contribuenti italiani.
La Redazione di Sibialiria
Fonte: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2917#sthash.KM4l8QHd.dpuf
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