Il lancio del Falcon Heavy il 6 febbraio del 2018 è stato uno spettacolo da tutti i punti di vista. Il più potente lanciatore in esercizio ha portato oltre l’orbita di Marte un pupazzo-astronauta alla guida di un auto rossa fiammante in un evento molto seguito in tutto il mondo, con video e musiche che sono rimasti impressi nella mente degli appassionati, e con una sequenza del rientro dei booster diventata iconica. Come possono i piccoli costruttori di razzi competere con un simile mostro?
Il mondo del business è difficile da capire; non che il settore spaziale sia di facile comprensione per la persona media, ma i nostri lettori più appassionati sono più affini al secondo che non al primo. L’unione di questi due campi misteriosi e disgiunti ha attirato l’attenzione di tanti imprenditori, i quali hanno deciso di fare un salto nel vuoto lanciandosi nello space business partendo praticamente da zero. Elon Musk e Jeff Bezos – i più famosi – hanno messo sul piatto miliardi del loro patrimonio personale per realizzare l’impresa rischiando molto, soprattutto all’inizio. SpaceX, dopo aver rischiato di chiudere i battenti dopo i primi 3 fallimenti, è ormai una realtà consolidata, Blue Origin non ha ancora effettuato un volo orbitale ma ha già raggiunto risultati considerevoli. Ma dietro di loro ci sono più di cento aziende che stanno provando a entrare nel settore aerospaziale, investendo ingenti somme di denaro in ricerca e sviluppo per costruire razzi e motori con qualcosa di unico, allo scopo di acquisire una fetta del mercato. Sono davvero tante. Forse anche troppe.
Il mercato dell’industria spaziale ha superato nel 2018 l’incredibile volume di 360 miliardi di dollari, circa il PIL dell’Irlanda, giusto per avere un termine di paragone. La maggior parte di questo business, circa il 75%, appartiene ai costruttori di satelliti, che grazie alla miniaturizzazione riescono a realizzare prodotti complessi dalle dimensioni di un bagaglio a mano. I satelliti devono però arrivare in orbita, e le pretese di un servizio di trasporto economico verso lo spazio sono sempre più incombenti. Molti operatori commerciali offrono un servizio di ridesharing in occasione dei lanci di satelliti di grandi dimensioni, allocando spazio per i CubeSat di clienti che vogliono andare nello spazio spendendo poco. Questi autostoppisti spaziali devono però sottostare a tempi e traiettorie dettate dai requisiti del carico principale. La rigidità di questi voli ha aperto il mercato a lanciatori medi e piccoli, che riescono ad offrire più flessibilità a questo determinato tipo di clienti.
Rocket Lab
Ci sono migliaia di nuovi satelliti CubeSat previsti in partenza nei prossimi 5 anni, ed è qui che i costruttori di razzi di piccole dimensioni vedono buone prospettive per il futuro. Una delle aziende che finora ha riscosso maggior successo in questo settore è Rocket Lab, con il suo razzo Electron lungo solo 17 metri (come un TIR). Questo vettore ha già effettuato 8 voli di successo in orbita terrestre bassa (LEO, Low Earth Orbit), portando carichi di massa compresa tra 20 e 180 kg. In altri termini, se il Falcon Heavy può portare in orbita 60 rinoceronti, l’Electron lancia al massimo l’equivalente di un suino. A detta di Peter Beck, il fondatore di Rocket Lab, è proprio questo il loro vantaggio competitivo: un servizio cucito addosso alla richiesta del cliente e dal costo relativamente basso. Il confronto è simile alla scelta del trasporto tra treno e taxi: il costo del biglietto del treno è sicuramente inferiore perché trasporta molti più clienti, ma viaggia tra stazioni prestabilite ad orari fissati; il taxi è più caro ma è a disposizione con una chiamata e conduce esattamente alla destinazione desiderata.
[su_photo_panel shadow=”0px 1px 2px #eeeeee” photo=”https://www.astronautinews.it/wp-content/uploads/2019/10/mahia-1024×576.png”]Il sito di lancio di Rocket Lab in Nuova Zelanda.[/su_photo_panel]
Il costo di un lancio Electron è intorno ai 6 milioni di dollari, mentre il costo di un lancio di un vettore di grandi dimensioni si aggira sul centinaio di milioni di dollari. Inoltre Rocket Lab è al momento l’unica società a offrire un servizio di questo tipo e la domanda ha già superato l’offerta. Perciò l’azienda sta cercando soluzioni che permettano di superare i ritmi di produzione attuali di un razzo al mese: uno di questi è di “catturare” il razzo al volo mentre rientra per riciclare la maggior parte dei componenti. Secondo le previsioni economiche, la compagnia dovrebbe arrivare a offrire un volo a settimana negli anni 2020-2021.
Firefly Aerospace
Rocket Lab è stata brava o fortunata, o entrambe le cose, a concepire il giusto prodotto con l’investimento iniziale a disposizione, ma non è sempre così. Ci voglio anni di sviluppo prima di arrivare al primo lancio; cinque, dieci, dipende da tantissimi fattori, ma soprattutto non è chiaro all’inizio qual è il percorso giusto da seguire, e possono esserci intoppi gravi per la strada, difficili da aggirare o addirittura fatali. È stato così per Firefly, la compagnia guidata da Tom Markusic. L’azienda si è specializzata in vettori di piccola taglia ma in una fascia di mercato leggermente superiore alla concorrenza, sviluppando un razzo della capacità di 1000 kg di carico in orbita terrestre bassa, Firefly Alpha. La società ha accumulato miliardi di debiti fino ad arrivare al fallimento nel 2017.
Non è la prima né sicuramente l’ultima impresa nel settore spaziale a fallire senza nemmeno aver mai tentato un lancio, ma la loro fortuna è consistita nel trovare un investitore pieno di soldi deciso ad acquistare gli asset e portare a termine il lavoro. Non si parla di molliche ma di un fiume di denaro arrivato per contenere i debiti e sostenere gli investimenti: al momento la società ha un miliardo e mezzo di debiti e programma investimenti per altri 3,5 miliardi, ma prevede di arrivare a un regime con flussi di cassa positivi già dalla fine del 2020. Gli investimenti si estendono oltre il lanciatore: Firefly ha comprato, ad esempio, anche i diritti di costruzione del lander Beresheet per fornire il proprio mezzo alla NASA tramite il programma Commercial Lunar Payload Services e progetta la costruzione di lanciatori più pesanti. Il volo inaugurale è previsto per il 19 febbraio 2020.
Virgin Group
Non è difficile trovare investitori in questo settore, che sembra replicare il boom del business di internet degli anni 1990, ma che richiede solide basi tecnologiche per avere miliardi di ritorno. Anzi, ci sono addirittura investitori pronti ad aspettare anni per trovare il partner tecnologico giusto. Un caso recente ha visto convolare a nozze un’altra società di investimenti con una di servizi di trasporto spaziale. Si tratta della poco nota Social Capital Hedosophia Holdings, una società di investimenti nata nel 2017 e quotata in borsa con l’unico scopo di trovare un partner giusto, identificato nel mese di luglio 2019 in Virgin Galactic. Il prodotto offerto da questa azienda è differente dagli altri nell’intento di cercare di aggredire una specifica nicchia di mercato. Il veicolo di trasporto, lo SpaceShipTwo, è più simile a un aereo che a un razzo e non parte da terra, ma si sgancia da un aereo madre, il White Knight Two, in volo a una quota di 16 km di altitudine; da lì accende i propri motori per arrivare fino a 100 km di quota. Questo vettore è pensato esclusivamente per il volo umano suborbitale, ma in futuro potrà eventualmente effettuare anche voli orbitali.
Virgin Galactic è una società del gruppo Virgin Group, che parallelamente sta sviluppando un altro lanciatore per il mercato dei piccoli carichi con la società Virgin Orbit. Quest’ultima segue l’impostazione di lancio dell’azienda “sorella”, cioè la partenza in volo da un aereo madre. Il lanciatore vero e proprio è LauncherOne, un razzo a due stadi che, posto sotto l’ala sinistra di Cosmic Girl, un Boeing 747, viene portato a 11 km di altitudine prima di accendere i motori. Il vantaggio di una scelta simile è la possibilità di lanciare quando e dove si vuole, indipendentemente (entro certo limiti) dalle condizioni del tempo: un aereo è più versatile nel volo in condizioni meteo non favorevoli rispetto a un razzo. LauncherOne ha caratteristiche simili a Electron, 16 metri di lunghezza, 500 kg di portata in LEO e un prezzo per lancio che si aggira attorno ai 10 milioni di dollari. Pur non avendo mai volato, la compagnia ha già una coda di clienti pronta ad acquistare i suoi servizi. Il volo di test dovrebbe avvenire nel giro di qualche settimana. Di recente un consorzio di Università polacche ha scelto proprio questo lanciatore per spedire un carico su Marte nel 2022.
E il resto della concorrenza
Delle altre 100 società che hanno i propri razzi in fase di sviluppo ne sappiamo ben poco. Il mercato è ancora troppo piccolo per dar spazio a così tanti costruttori, anche se è in decisa ascesa. Qualcuno emergerà, altri inesorabilmente falliranno e chiuderanno i battenti. Ogni azienda ha la sua strategia per puntare a una fetta di mercato lasciata ancora scoperta, per migliorare l’efficienza, l’affidabilità, o la velocità di produzione, ma non tutte ce la faranno. Iniziano a soffrire anche le industrie nel settore già affermate e con un portafoglio clienti consolidato, che si devono adattare per rimanere competitive o per allargare lo spettro delle proprie entrate. SpaceX, che non dispone di lanciatori di fascia medio bassa, ha recentemente lanciato il Smallsat Rideshare Program, un servizio di lanci condiviso dal costo di un milione di dollari a pezzo sotto i 200 kg. Essendo un volo condiviso non si potrà fissare la data di lancio esatta ma si dovrà scegliere tra le partenze selezionate. Per attirare i clienti e riuscire a riempire il mezzo, l’azienda punta su una destinazione comunemente molto usata dai piccoli satelliti, un’orbita eliosincrona corrispondente alle ore di alba e tramonto sulla Terra. Qui i satelliti possono godere di luce solare continua e risparmiare chili preziosi eliminando sistemi di accumulo di energia elettrica.
Sul fronte europeo si continua nel business consolidato e ancora non sono in previsione grossi cambiamenti strategici per il lanciatore Vega, il razzo di piccola taglia di Arianspace. Attivo dal 2012, è un vettore molto potente nella categoria dei lanciatori piccoli, con circa 1500 kg di carico utile verso LEO. Si affida alla solida collaborazione con le agenzie pubbliche, soprattutto l’ASI e l’ESA, che ne hanno finanziato lo sviluppo, ma l’offerta inizia a essere fuori mercato. Il costo di un lancio si spinge oltre i 30 milioni di dollari, e sebbene fino a poco tempo fa si puntasse sull’affidabilità, l’incidente di luglio 2019 ha scosso i vertici aziendali, che hanno espresso la necessità di abbassare i prezzi in tempi rapidi. Al momento i voli sono sospesi fino a inizio 2020, data presunta entro la quale l’azienda pensa di individuare e risolvere la causa del guasto e ritornare operativa senza grosse modifiche strutturali.
Fonte: Bloomberg
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