Card. Sarah: “Non riformiamo la Chiesa con la divisione e l’odio. Riformiamo la Chiesa quando cominciamo a cambiare noi stessi!”
di Michael Warren Davis, pubblicato su Crisis Magazine
Nel 1577, San Giovanni della Croce fu fatto prigioniero da un gruppo di carmelitani di Toledo che si opposero alle riforme dell’Ordine che stava intraprendendo con Santa Teresa di Ávila (quello dei carmelitani scalzi, ndr). Per otto o nove mesi, fu tenuto in una cella di 1,8 per 3 metri. Il soffitto era così basso che Giovanni (non un uomo alto) riusciva a malapena a stare in piedi. La sua unica tunica era costantemente intrisa di sangue a causa dei frequenti flagelli. Il cibo che gli davano era così cattivo che sospettava che le sue guardie stessero cercando di avvelenarlo; diceva un Atto d’amore con ogni morso per darsi coraggio contro la calunnia.
Eppure fu qui che scrisse il Cantico Spirituale e parti del suo capolavoro, La notte oscura dell’anima. Sopportava la prigionia e la tortura con tale amore, pazienza e determinazione che i carmelitani più anziani lo chiamavano “il codardo”. I monaci più giovani – non ancora avvelenati dalla decadenza e dallo spirito della fazione della Chiesa del XVI secolo – piansero il coraggio di Giovanni di fronte alla sofferenza. “Questo è un santo”, sussurrarono tra di loro.
La storia più commovente, a mio avviso, arriva alla fine della sua prigionia. La figlia spirituale di Giovanni, santa Teresa Benedetta della Croce – inspiegabilmente nota anche ai cattolici con il suo nome secolare, Edith Stein – la richiama nella Scienza della Croce:
Il priore Maldonado [il leader dei “Calzati”] giunse alla cella di Giovanni accompagnato da due religiose. Il prigioniero era così debole da non potersi muovere. Pensando che il suo carceriere fosse entrato, non si mosse [per alzarsi]. Il priore lo colpì con il piede e gli chiese perché non si fosse alzato in piedi in sua presenza. Nel mentre Giovanni stava chiedendo scusa, dicendo che non sapeva chi fosse entrato, Padre Maldonado chiese: “A cosa stavi pensando, visto che eri così assorto?” [San Giovanni rispose]: “stavo pensando che domani è la festa della Madonna e che sarebbe stata una grande consolazione per me se avessi potuto celebrare la Messa”.
(Si dice che la Vergine gli apparve il giorno dopo e gli mostrò come aprire la serratura. Parlando dell’amore di una madre!)
È diventato cosa comune dire che la Chiesa sta affrontando la sua più grande crisi dalla Riforma protestante. Dobbiamo ricordare che un sacerdote molto diverso – Martin Lutero, un frate agostiniano – ha avuto una risposta molto diversa di fronte alla corruzione nella Chiesa: ha accusato il Papa di essere l’Anticristo e ha attaccato l’insegnamento magisteriale, compreso il dogma della Presenza Reale (di Cristo, ndr). Egli sfidò i vescovi, subì la scomunica e fondò una chiesa nuova di zecca per diffondere i suoi insegnamenti.
Giovanni sapeva che non ci può essere un’autentica riforma in assenza di obbedienza ai propri legittimi superiori – anche i superiori crudeli e corrotti come il Priore Maldonado. Ecco perché Giovanni è ricordato come il più grande santo della Controriforma e Lutero come il più pericoloso eretico della storia cristiana.
Ho pensato a San Giovanni mentre leggevo il nuovo libro del cardinale Robert Sarah, Si fa sera e il giorno ormai volge al declino. È dedicato a due pontefici molto diversi: Papa Benedetto XVI (un “incomparabile architetto della ricostruzione della Chiesa”) e Papa Francesco (un “figlio fedele e devoto di sant’Ignazio”). Eppure è Sarah stessa, credo, a tracciare il miglior progetto che probabilmente vedremo per la riforma ecclesiale – o forse dovrei dire contro-riforma.
Oggi, la parola “riforma” gocciola con allusioni, proprio come ai tempi di San Giovanni della Croce. Significa il desiderio di cambiare gli insegnamenti permanenti della Chiesa come soluzione alla corruzione istituzionale. Usa una crisi temporale come scusa per propagare errori spirituali. Usa la confusione morale per camuffare l’innovazione. Può anche incoraggiare la disobbedienza in nome della purezza teologica: non dobbiamo dimenticare che i protestanti originari si consideravano conservatori.
Solo perché un uomo si oppone ai Maldonados nella Chiesa non fa di lui un Giovanni della Croce. Può benissimo essere un Martin Lutero.
Non ho dubbi che il cardinale Sarah, per esempio, è un Giovanni della Croce. Come il Dottore mistico, prende sul serio l’avvertimento di San Paolo agli Efesini: “La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”. In definitiva, la fonte della presente crisi – dove “presente” significa il XVI secolo o il XXI – non è nuova: è il peccato originale.
In definitiva, quindi, anche la soluzione non è nuova: è la ricerca di una maggiore santità. Poiché il nostro Nemico è il peccato stesso, i peccati più facili da combattere sono quelli che infestano la nostra anima. Come dice San Francesco d’Assisi, “il soldato di Cristo deve cominciare con la vittoria su se stesso”.
Si fa sera e il giorno ormai volge al declino è un manuale per la nuova Contro-Riforna. Come tale, egli è preoccupato nell’affrontare le false soluzioni alla crisi come lo è con la crisi stessa, confutando sia i Luteri sia i Maldonados. Sua Eminenza avverte che:
Nessuno sforzo umano, per quanto talentuoso e generoso, può trasformare un’anima e darle la vita di Cristo. Solo la Grazia e la Croce di Gesù può salvare e santificare le anime e far crescere la Chiesa. Moltiplicare gli sforzi umani, credendo che i metodi e le strategie hanno una qualche efficacia in se stessi, sarà sempre una perdita di tempo.
Il cardinale Sarah non ci sta raccomandando di ignorare la crisi. Al contrario. “Non abbiamo paura di dire che la Chiesa ha bisogno di riforme profonde e che questo avviene attraverso la nostra conversione”. “Andate”, raccomanda, “riparate con la vostra fede, con la vostra speranza e con la vostra carità”.
“Aspetta un attimo, Davis”, sento qualcuno di voi che dice: “Questo non mi sta bene. E Bergoglio? Che dire di Pachamama e del ‘percorso sinodale’ dei vescovi tedeschi? E la relazione Viganò e i dubia senza risposta? Stai dicendo che dovremmo ignorare tutto questo e recitare il rosario?”
Beh, il rosario è certamente un buon punto di partenza e un buon punto di arrivo. Non è un brutto posto per fermarsi lungo la strada.
E’ vero che nessuna crisi è mai stata risolta con la semplice inazione. Ma, una volta che abbiamo deciso di agire, la domanda diventa: come agire nel modo più efficace? La risposta del cardinale Sarah è: la preghiera. Il suo libro è fondamentalmente sull’efficacia della grazia.
Chi segue le meditazioni quotidiane di un altro carmelitano scalzo, P. Gabriele della Divina Intimità di S. Maria Maddalena, può ricordare la riflessione di due mercoledì fa sulla preghiera apostolica. Come ci ricorda P. Gabriele,
Non possiamo mai essere certi che le nostre preghiere saranno esaudite secondo le nostre aspettative, perché non sappiamo se ciò che chiediamo è conforme alla volontà di Dio; ma quando si tratta di una questione di preghiera apostolica che chiede la grazia e la salvezza delle anime, è una questione molto diversa. Infatti, quando preghiamo per i fini dell’apostolato, siamo inseriti nel piano che Dio stesso ha predisposto da tutta l’eternità, quel piano di salvezza di tutti gli uomini che Dio vuole mettere in atto all’infinito più di noi; non possiamo quindi dubitare dell’efficacia della nostra preghiera. Per questa efficacia, la preghiera apostolica è uno dei mezzi più potenti per promuovere l’apostolato.
Infatti, “se Dio ha voluto che la distribuzione della grazia nel mondo dipendesse dalle preghiere degli uomini”, allora non possiamo rendere un servizio migliore alla Chiesa che distribuire diligentemente queste grazie, insegnando agli altri come farlo e incoraggiandoli nei loro sforzi.
Allo stesso modo, il Nemico sarebbe molto gratificato se arrivassimo a valutare i nostri “metodi e strategie” al di sopra di quelli di Nostro Signore. Meglio ancora, potremmo distrarre gli altri. Potremmo unirci ai media laici e anticattolici nell’amplificare la corruzione all’interno della Chiesa, portando così altri a scandalizzarsi. (Quasi il 40 per cento dei cattolici americani ha considerato la possibilità di lasciare la Chiesa per abusi sessuali clericali.) Potremmo far perdere la fiducia dei nostri fratelli cattolici nei nostri padri spirituali. (“Coloro che fanno annunci sensazionali di cambiamento e rottura sono falsi profeti”, accusa il cardinale Sarah).
La strategia di riforma del nostro Beato Signore è abbastanza semplice: “Chiedete, e vi sarà dato; cercate, e troverete; bussate, e vi sarà aperto”. Tutto il resto è rumore inattivo.
Il cardinale Sarah, naturalmente, non ci suggerisce di ignorare la crisi della Chiesa. Al contrario, scrive: “Non abbiamo paura di dire che la Chiesa ha bisogno di riforme profonde e che questo avviene attraverso la nostra conversione”. Queste ultime tre parole sono cruciali: attraverso la nostra conversione. “Non riformiamo la Chiesa con la divisione e l’odio”, avverte; “Riformiamo la Chiesa quando cominciamo a cambiare noi stessi!”
Dove dovrebbe condurci la nostra conversione? A una fede più profonda in Cristo, in contrapposizione a una fede orgogliosa nei nostri schemi. Di cosa abbiamo bisogno per cambiare noi stessi? Di tutto ciò che non ci separa da Lui. Egli attacca le radici spirituali e morali delle marcite radici che si diffondono ben oltre il Vaticano e vanno oltre il 2013.
Al centro di ogni moderna corruzione e decadenza – sia all’interno che all’esterno della Chiesa – è il problema del materialismo. Come dice in modo piuttosto commovente il cardinale Sarah: “Il soprannaturale è inghiottito nel deserto del naturale”. Ecco perché la vera soluzione alla crisi attuale – vale a dire la preghiera e il digiuno – sembra così pittoresca, forse anche ingenua. È come se non riuscissimo a spiegare la differenza tra un’immagine di San Michele armato per la battaglia e uno dei putti di Bouguereau.
La manifestazione più evidente di questa decadenza, di questo materialismo pervasivo, è lo smartphone. Sua Eminenza ci chiede di considerare quanto tempo passiamo “assorbiti dalle immagini, dalle luci, [e] dai fantasmi” che offre. Egli chiama l’onnipresente schermo “un’illusione eterna, una piccola cella di prigione”. Il cardinale avverte che questi dispositivi
rubano il silenzio, distruggono la ricchezza della solitudine e calpestano l’intimità. Spesso ci strappano alla nostra vita amorosa con Dio per esporci alla periferia, a ciò che è esterno a noi in mezzo al mondo.
(A proposito, questo vale anche per i tablet, i computer e le televisioni.)
Possiamo arrivare a liberarci dei nostri dispositivi, disattivare i nostri social media e dedicare quelle ore liberate ad approfondire il nostro rapporto con Dio? Possiamo accettare che la Chiesa crescerà sempre più grande e più forte solo quando noi stessi diventeremo più piccoli e mansueti? Possiamo fidarci di Cristo abbastanza da accettare la sua offerta di smettere di portare il nostro fardello e di riposare? Siamo abbastanza umili da ammettere che il nostro fardello è troppo pesante per poterlo portare, e di prendere invece il Suo giogo più leggero?
Martin Lutero disse di No, e continuò a nominarsi riformatore della Chiesa. Nella sua arroganza e disobbedienza, quel frate ha ferito la nostra Santa Madre più gravemente di tutti i Maldonados messi insieme.
Giovanni della Croce era accanto alla Chiesa. Egli pulì le sue ferite con le lacrime che piangeva per i peccati, soprattutto i suoi. L’ha nutrita con il suo digiuno. L’ha rafforzata con la sua sofferenza. Egli le ha tenuto compagnia nella notte buia, anche quando Nostro Signore ha ritirato la Sua dolce consolazione. Furono la pazienza, l’umiltà e l’obbedienza – anche verso Maldonado – a conquistare alla sua causa i malvagi monaci del priore.
“Se pensate che i vostri sacerdoti e vescovi non siano santi”, scrive il cardinale Sarah, “allora siate uno per loro”. Oggi a Toledo c’è un solo monastero carmelitano, ed è quello scalzo.
Non ci sarà carenza di Luteri in questa generazione. Ma, con Si fa sera e il giorno ormai volge al declino, sappiamo che c’è almeno un Giovanni della Croce in mezzo a noi.
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Traduzione Sabino Paciolla