Il mio sogno più grande

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di don Ugo Borghello

Il mio sogno più grande: miriadi di nuclei primari carismatici in espansione. Non c’è altra soluzione per la nuova evangelizzazione. Ed è più facile di quanto possa sembrare.

Basta presentare bene la bellezza del Vangelo quando è preso sul serio, come risposta ad una chiamata di Gesù (il battesimo è vocazionale) in comunione di cuore con altri. Occorre proporre una scelta, fuori dalla quale il Vangelo non dà i suoi frutti. Ovunque si ritrovano tre o più cattolici dovrebbe fiorire un cammino di santità.
San Josemaría vedeva un orizzonte magnifico: «Un segreto. – Un segreto a gran voce: queste crisi mondiali sono crisi di santi. – Dio vuole un pugno di uomini “suoi” in ogni attività umana. – Poi… “Pax Christi in Regno Christi” – la pace di Cristo nel regno di Cristo» (Cammino 301). La santità non è comunitaria ma neppure individuale, è sempre in comunione carismatica primaria. Quel “pugno” di uomini “suoi” indica benissimo tale comunione ovunque ci sono dei cristiani, in mezzo al mondo. E non si pensi ad un gruppo chiuso, di iniziati, ma ad una comunione di amore per grazia e misericordia divina che si apre a tutti. Il beato GiuseppeToniolo ebbe una intuizione luminosa: quando sarà caduto il marx-leninismo la vera rivoluzione la faranno comunità di santi. Effettivamente tanti giovani  comunisti hanno dato un esempio di appartenenza primaria, fino alla morte. Per una causa tragica. Noi abbiamo la causa più bella e importante, ma pochissima appartenenza primaria, senza la quale non c’è causa.

È impressionante la fecondità dei fondatori di ordini religiosi, di realtà carismatiche anche tra i laici, fiorite nel secolo appena trascorso, ma è bene prendere coscienza che anche nelle comunità evangeliche, nelle sette, di tutti i tipi, nei partiti ideologici si sviluppa una grande efficacia di reclutamento che merita miglior causa: bisogna capire che hanno trovato un modo efficace di proporre una scelta radicale. Perché ciò si diffonda tra tutti i cristiani occorre che i vescovi riflettano su come sia possibile e anche facile proporre in tutte le parrocchie la scelta cristiana che richiede sapersi amati e chiamati da Cristo alla sua sequela, in un cammino di santità, in comunione primaria carismatica e con mandato missionario. Senza questi cinque elementi non c’è Vangelo vivo, ma solo un po’ di religiosità. In una intervista, Mons. Fernando Ocariz, da poco designato da Papa Francesco come prelato dell’Opus Dei, alla domanda su cosa ci vorrebbe nella Chiesa in questo momento, ha risposto: “vivere il Vangelo intero”. Effettivamente, ma per vivere nel Vangelo occorrono le cinque cose dette. Solo che occorre dirlo  con chiarezza e proporlo nei fatti, con altri, a chiunque voglia essere coerente con il nome di cristiano.

Ţutti sanno cos’è amore umano, amicizia, comunione cristiana, santità, ecc. poi vai a vedere e rimangono al 5 o 10% se va bene. Come uno che sa di Firenze ma la riflessività è quasi zero e lo nota la prima volta che va in macchina a Firenze senza il navigatore.

È impressionante la poca riflessività dei vescovi e dei sacerdoti sulla comunione cristiana. Non sanno che tutti hanno una appartenenza primaria fuori dalla Chiesa e che questa appartenenza impedisce loro di cogliere nella vita le esortazioni catechetiche. Non sanno che nella Chiesa si può avere appartenenza primaria ma solo socio-sacrale. Non sanno che c’è una differenza abissale tra una appartenenza socio-religiosa e una appartenenza primaria carismatica (quelĺa di Pentecoste, con il comandamento nuovo), e soprattutto che occorre promuovere un cammino reale, anche con pochi, come inizio, proponendo concretamente la scelta della sequela di Gesù in comunione primaria con i fratelli. E ancora non basta: occorre riflessività su come impostare un cammino di santità e su come portarlo avanti in modo che l’istituzione e la responsabilità dei pastori non soffochi la comunione e il primato della persona.

In quasi tutti i miei libri riprendo il problema del paradigma di fondo in cui ognuno si muove, ma posso dire che praticamente è ben difficile trovare chi ne prenda sufficiente coscienza.

Tutti ci muoviamo in una appartenenza primaria, ma praticamente nessuno ne prende coscienza sufficientemente. Un po’ come i pesci che vedono rocce ed alghe, pesci piccoli da mangiare e pesci grossi da evitare, ma non vedono l’acqua!

Questa è la prima riflessività. Da ciò dipende che si possa dialogare più costruttivamente con le “chiese” relativiste che ormai infestano il mondo occidentale. Con i protestanti abbiamo fatto guerra per quattrocento anni. Poi si è capito che occorre rispettare le persone e anche la loro appartenenza, ed è nato l’ecumenismo. La nuova evangelizzazione richiede che tutti si convincano che di fatto pensano non con la ragione ma col cuore, sempre a difesa di un potere personale di immagine dentro una appartenenza primaria, che può essere un partito ideologico, una rete sociale significativa, una setta o comunità religiosa, un gruppo di coetanei tra i giovani, ecc. Il politically correct è dettato dal bisogno di consenso in un gruppo sociale primario (da cui trarre senso della vita).

La nuova evangelizzazione ha due fronti: il primo è verso la cultura. L’evangelizzazione non può essere nuova riguardo al Vangelo, ma deve sfondare la coltre culturale che si è assestata in occidente, dove ogni gnosi, ogni eresia, è riuscita a corrompere qualche concetto. Rimando al mio articolo, presente in questo Sito: Le seduzioni di una cultura gnosticaOggi se dal pulpito si predica di libertà la si intende come Pannella (senza vincoli morali a reggere in libertà l’amore!). Se si parla di giustizia la si intende secondo l’eresia marxista: tutti uguali. Da dove sono nate perversità inaudite e un femminismo paritario che ha distrutto innumerevoli famiglie. E cosa si intende quando si predica l’amore o la felicità? Tutto eccetto ciò che è amore autentico e vera felicità. Non si riesce a convincere i relativisti dei loro errori, ma sarebbe un grosso passo avanti se i relativisti o altri razionalisti riconoscessero che sono perlomeno fondamentalisti come pensano che lo siamo noi cattolici. Dopo di che si cercherebbe di rispettarci e confrontarci sul miglioramento culturale e sociale.

La seconda riflessività riguarda già l’altro fronte della nuova evangelizzazione: far fiorire il Vangelo dentro la Chiesa. Per ottenere questo occorre riflettere sul fatto che da Costantino in poi la Chiesa istituzionale ha predicato la fede, ma ha offerto solo una pratica cristiana di stampo religioso, lasciando il carisma della fede viva ai voti religiosi e ultimamente a varie realtà carismatiche, di grande fecondità. Eccezioni di santità nel popolo ci sono sempre state, ma sostanzialmente il Vangelo era relegato fuori dal mondo, fuori dalla vita reale delle famiglie e dei popoli. Ne parlo nel libro Il male più grande e nei due libri per le parrocchie sopracitati. Si è realmente abbandonato il mondo, la storia degli uomini. Sembra proprio che essere cristiani sia un proiettarsi su Cristo risorto, dimentichi dei problemi umani. Ma se si guarda come una appartenenza primaria affronta qualunque ostacolo, si può capire che non c’è ostacolo nel mondo che possa impedire di vivere il Vangelo se si vuole seguire Gesù, camminando con tutto il cuore in comunione con i fratelli ben individuati, pur con la normalità della vita laicale che non è compatibile con la visibilità sociale di appartenenze religiose particolari.

Per riportare il Vangelo nel mondo occorre riflettere sul tipo di appartenenza primaria dentro la Chiesa.

Molti cristiani anche praticanti non hanno una appartenenza primaria nella Chiesa, ma nell’immagine sociale, che li rende sensibilissimi ad ogni successo o insuccesso e del tutto ai margini del Vangelo e anche della religione ufficiale come legame primario. Tra coloro che vogliono sinceramente essere cristiani molti hanno una appartenenza di tipo istituzionale, socio-sacrale. Il presbiterio sacerdotale per secoli ha offerto un legame certamente primario ma a livello gerarchico-istituzionale. Il carisma era lasciato al clero religioso e a quei sacerdoti che cercavano alimento alla loro fede, con desiderio di santità. A questo livello il Vangelo non opera la salvezza nel cuore degli uomini.  Occorre saper distinguere nel cristianesimo la fede vissuta dalla pratica religiosa, come faccio nel libro Saper di Amore.

Si può capire che per secoli si è predicato il Vangelo, ma si è offerto solo una pratica religiosa, dove Dio rimane esterno, cercato attraverso la mediazione sacrale. Il sacro nel cristianesimo ci vuole sempre. Non si può opporre la fede alla religione come hanno creduto di fare alcuni protestanti, tuttavia la religione non basta.
Occorre una comunione in Cristo a livello carismatico, di Pentecoste, perlomeno nelle intenzioni e nella realtà di fratelli che cercano di amarsi con tutto il cuore e con tutta l’anima. Di tutto questo c’è pochissima riflessività, non certo sufficiente per diventare pratica pastorale ovunque si ritrovano tre o più cristiani. Occorre porre l’istituzione a servizio del carisma, che di un po’ di istituzione avrà sempre bisogno. Ma se l’istituzione si separa dal carisma o cresce fino a soffocare il carisma, il Vangelo scompare dal mondo. Nel libro Nuova evangelizzazione e comunione primaria in parrocchia faccio vedere che in tutte le parrocchie ci può e ci deve essere uno o più nuclei di comunione primaria carismatica, senza bisogno di imitare i movimenti, ma senza rinunciare al Vangelo sine glossa. I parroci in coro rispondono che loro devono occuparsi di tutti, ma non si accorgono che intendono una apertura per tutti come limitazione delle esigenze del Vangelo, anche per coloro, che potrebbero essere quasi tutti i parrocchiani, che sarebbero disposti a vivere cristianamente solo che qualcuno glielo proponesse come scelta reale in seno alla parrocchia. E comunque si rimarrebbe aperti a tutti per quanto riguarda la dimensione religiosa e la sacramentalizzazione.

Joseph Ratzinger, nel libro Il Cammino pasquale, descrivendo la scena del lavaggio dei piedi ai discepoli arriva a dire: «Gesù dice: se dunque io. Il Signore e Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Queste parole non sono un annesso morale al fatto dogmatico, ma appartengono piuttosto allo stesso centro cristologico. Si riceve l’amore soltanto amando. L’amore fraterno è in Giovanni inserito nell’amore trinitario. Esso è il “mandato nuovo”, non nel senso di un comandamento esteriore, ma come struttura intima dell’essenza cristiana. In questo contesto può essere interessante rilevare come san Giovanni non parli mai di un amore generale fra tutti gli uomini, ma solo dell’amore interno nella comunità dei fratelli, cioè dei battezzati. I teologi moderni criticano san Giovanni a causa di questo fatto e parlano di un restringimento inaccettabile del cristianesimo, di una perdita di universalità. Certo qui vi è un pericolo, e testi complementari come la parabola del Samaritano e quella dell’ultimo giudizio, sono indispensabili. Ma preso nel contesto dell’unità e inseparabilità dell’intero Nuovo Testamento, Giovanni esprime una verità molto importante: l’amore in astratto non avrà mai forza nel mondo, se non affonda le sue radici in comunità concrete, costruite sull’amore fraterno. La civiltà dell’amore si costruisce soltanto partendo da piccole comunità fraterne. Si deve incominciare dal particolare per arrivare all’universale. La costruzione di spazi di fraternità è oggi non meno importante che nei tempi di san Giovanni o di san Benedetto» (p. 99).

Si pensa, a torto, che una comunione carismatica sia per una elite o per pochi. Invece basta poco per accorgersi che tutti coloro che di fatto hanno trovato il modo di coinvolgere il cuore, sia a livello carismatico con tanti fondatori di ordini religiosi o movimenti, sia però anche a livello ideologico, o di setta, o comunità evangeliche, hanno una enorme fecondità, tra gente di tutti i livelli. I comunisti assoldavano col cuore milioni di giovani, di ignoranti o di intellettuali. Il Vangelo è ben più bello del Manifesto del proletariato. Ma bisogna saper mettere i giovani (ma vale anche per i meno giovani) di fronte alla possibilità di vivere per Cristo, mettendo in gioco tutta la vita, pur nella normalità della vita. Questo si può fare in una scelta con i fratelli, non certo per una esortazione all’ideale astratto.

Questo tipo di riflessività si lega pertanto alla riflessività su come fanno fondatori e ideologi, sette e comunità di tutti tipi, a coinvolgere tanti e con tutto il cuore. Di fatto si può dire che neppure i fondatori hanno sufficiente riflessività sulla differenza tra il loro modo di proporre un cammino ecclesiale rispetto e quello che la Chiesa istituzionale ha sempre fatto, a livello socio-sacrale. Giussani è forse il fondatore che più si è avvicinato ad una sufficiente riflessività su ciò che di fatto ha operato con grande fecondità. Ma neppure lui ha sufficiente riflessività. San Giovani Paolo II ci ha lasciato un documento meraviglioso, la  Novo millennio ineunte, dove la pastorale punta alla chiamata universale alla santità, in comunione primaria (Spiritualità di comunione). Certamente san Giovanni Paolo II è stato il Papa che più ha favorito le realtà carismatiche, anche perché di fatto come sacerdote, come vescovo, ha portato avanti un gruppo carismatico primario, che lo ha seguito fino alla fine della vita, nonostante avesse lasciato la Polonia. Ma proprio nel suo documento manca del tutto una riflessività su come ottenere che in ogni luogo dove si riuniscono dei cristiani si viva un cammino di santità con spiritualità di comunione (le due colonne della Novo millennio ineunte). Così quel documento stupendo è rimasto sterile, alla stregua di innumerevoli documenti della Gerarchia. Non bastano le esortazioni, ciò che cambia la vita è l’appartenenza.

Sul modo concreto di procedere per proporre a chiunque voglia dirsi cristiano un cammino di santità cliccare qui.

Tutto ciò merita studio e riflessione, dibattito e sperimentazione. Nei miei libri ci sono indicazioni abbastanza concrete e operative.

Infine occorre riflessività su come condurre una cammino di santità lungo il tempo. I grandi fondatori hanno lasciato ottime regole, ma quasi mai sufficiente riflessività su come subordinare l’istituzione al carisma. Il demonio usa la responsabilità gerarchica per soffocare la carità, come spiego ampiamente nei miei libri. Si può vedere la parte finale di Liberare l’Amore e il libro apposito Comunione carismatica in parrocchia. Quest’ultimo testo è preceduto dalla presentazione del vescovo di Brescia, Mons. Luciano Monari, che a seguito riproduco.

(Leggi la presentazione al libro “Comunione carismatica in parrocchia” scritta dal vescovo di Brescia Mons. Luciano Monari cliccando qui. Leggi l’articolo “Un kerigma coinvolgente” cliccando qui).

Nella Amoris laetitia Papa Francesco insiste sull’accompagnamento da intendersi non solo come impegno personale di un sacerdote ma come cammino di comunione che sostiene in ogni difficoltà. Ma da tutti i riferimenti non sembra che ci sia sufficiente riflessività sul fatto che nelle parrocchie normalmente non esiste una comunione reale in Cristo. Si insiste sul fatto di aprire un processo, ma non è per nulla chiaro che tale processo è veramente efficace solo se si invita a camminare insieme, in comunione primaria carismatica.

Una proposta interessante parallela al mio sogno, anche se con importanti differenze, è l’opzione Benedetto.

fonte: ugoborghello.it

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