Le improvvise dimissioni del ministro degli esteri svedese, Tobias Billström, hanno sbalordito il mondo politico internazionale, suscitando interrogativi che finora sono rimasti senza risposta. Fino a ieri, Billström era tra i più accesi sostenitori della linea dura contro la Russia, orgoglioso dell’ingresso della Svezia nella NATO e tra i promotori della nuova corsa al riarmo europeo. Pino Cabras, solleva domande cruciali che potrebbero far luce su connessioni meno visibili tra queste dimissioni .
Tobias Billström. Il ministro degli esteri svedese, sino a ieri
Fonte: Pino Cabras
Il ministro degli esteri svedese, Tobias Billström, si è dimesso improvvisamente, lasciando tutti di stucco: sino a ieri faceva le dichiarazioni missionarie di uno pronto a menare le mani ancora più forte contro la Russia, orgoglioso di aver riposto nel guardaroba dei cani duecento anni di neutralità della Svezia per farla diventare il 32° membro della NATO. È stato uno degli iniziatori più intransigenti della nuova corsa al riarmo e del nuovo corso russofobo dell’atlantismo del XXI secolo.
Sino a ieri.
Oggi, seguendo a ruota il suo omologo ucraino Kuleba, il capo della diplomazia svedese lascia non solo l’incarico, ma lascia anche il parlamento e la politica tout court: «ho cinquant’anni e voglio fare altro», ci comunica. Cosa voglia fare, non si sa. Come Forrest Gump, smette perché è “un po’ stanchino”.
Nessuno si fa domande. Nessuno gli fa domande.
Sino a ieri.
Gliele faccio io, oggi.
Dunque, sig Billström,
1) c’è per caso un legame fra queste sue dimissioni così inopinate e il bombardamento russo della scuola militare di Poltava, dove sono morte decine di addestratori militari stranieri?
2) le risulta che molti questi addestratori fossero proprio svedesi, impegnati esattamente nell’istruire i militari ucraini e della NATO in guerra con la Russia all’uso dei più sofisticati armamenti forniti anche dalla Svezia?
3) Quante delle bare che si sono chiuse sulle salme di Poltava stanno volando verso la Scandinavia in questo momento?
Fanno così, ultimamente, i grandi atlantisti. Prima appiccano incendi bellici devastanti, come in Iraq, in Afghanistan, in Libia e ora in Europa. Poi, dopo le catastrofi, se ne vanno via fischiettando, alla chetichella, come se non fossero mai passati da quelle parti. Magari dopo dieci anni, come l’inglese Cameron, rientrano per combinare altri disastri. Per loro non è importante perdere le guerre. Muoiono sempre gli altri. Per loro è importante che una guerra ci sia, sempre rinnovata, fuggendo se c’è da assumersene la responsabilità negli eventi che costeranno una sconfitta. L’ultima spiaggia è sempre la penultima. Sino a ieri.