fonte: Cultura Cattolica – Autore: don Gabriele Mangiarotti
Il Papa è con noi, o noi siamo col Papa? Anche oggi Papa Francesco ci ha regalato un momento intenso per vivere con più consapevolezza le nostra fede cristiana. E a Lampedusa, durante quelle ore trascorse cogli isolani e con gli immigrati, ci ha fatto capire il senso delle parole del Vangelo: “Ero nudo, affamato, in carcere…” All’omelia il giudizio si è poi fatto chiarissimo. Avremo modo di soffermarci su tutto l’avvenimento. Voglio però riprendere – sollecitato da amici – le parole rivolte ai «cari immigrati mussulmani». Le ho comprese come il segno più eloquente della passione missionaria ed educativa del Papa (e mi rattrista il fatto che in molti – penso al mondo del Web – si siano fermati al#PapaClandestino, mostrando una superficialità ingiusta di fronte a tale avvenimento). Ecco che cosa ha detto il Papa: «Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: oscià!»
Le ho lette come il grande invito ad andare al fondo della propria esperienza umana e religiosa, condizione indispensabile per poter poi incontrare una proposta cristiana. Meglio, per poter riconoscere la proposta cristiana come l’avvenimento che – unico – risponde alle esigenze del cuore. Don Giussani, che di educazione si intendeva, diceva spesso che la lealtà con la tradizione è condizione per la certezza, e che il metodo vissuto e proposto da nostro Signore era sintetizzabile in due parole: «Gesù, quindi, seguì una linea educativa nella quale dapprima tradusse in espressioni implicite e concrete quell’idea che alla fine doveva esprimere apertamente. La concretezza – l’idea che si incarna – e l’implicito – far capire senza definire astrattamente – restano la più naturale ed efficace linea educativa. Non esisteva neanche per i discepoli più vicini la possibilità di capire la portata di una risposta immediata e diretta alla loro domanda. Infatti quello che Gesù dirà di sé riuscirà ad imporsi esclusivamente per il contesto illustrativo che la sua persona avrebbe determinato».
E allora ho pensato a questi immigrati che, prendendo sul serio l’invito al digiuno, ad un certo punto si potranno domandare: «È questo ciò che ho cercato? Mi basta per vivere? Il mio cuore ha trovato le risposte che desidera?» E come non ripensare a quell’uomo vestito di bianco che ha condiviso la loro vita, che si è curvato sulle loro miserie, che nello strano (per loro) rito della messa ha ricordato che il Dio della vita ha un nome e un volto, e che si chiama Gesù di Nazaret, presente e vivente nella Chiesa?
Sì, dobbiamo imparare dal Papa, dal suo sguardo, dalle sue parole e anche dai suoi gesti, e leggerli non cogli occhi mondani, ma con quelli della fede. Non dobbiamo chiederci se il Papa è con noi, ma se noi siamo col Papa.
Anche perché, e questo è evidente, il Papa ci invita a vivere la fede in maniera completa, legata a speranza e carità. Quello di cui c’è bisogno è una Chiesa capace di testimonianza. Capace di proporre Cristo, senza complessi di colpa e senza aspettarsi l’aiuto dalle strutture. Il Papa ci mostra che la fede è il compito esaltante, e si vive nell’istante, con totale responsabilità.
«Adamo, dove sei?» «Caino, dov’è tuo fratello?»: sono domande rivolte a ciascuno di noi. E ciascuno può, fin da ora, rispondere.