Il post-mortem della Siria: terrore, occupazione e Palestina (The Cradle)

In questo articolo pubblicato su The Cradle, Pepe Escobar analizza i recenti eventi che hanno trasformato la Siria in un teatro di intrighi geopolitici e militari, con pesanti influenze che vanno ben oltre i confini del paese. Escobar spiega il ruolo di attori come NATO, Israele e Turchia, il crollo dell’Asse della Resistenza e le ripercussioni sulla Palestina, sottolineando come la posta in gioco non riguardi solo il futuro della Siria, ma anche l’equilibrio di potere globale. Probabilmente il miglior articolo sulla caduta della Siria laica:

di Pepe Escobar – The Cradle

[Traduzione di Patrizio Ricci]

Il titolo breve che definisce la fine brusca e repentina della Siria, così come la conoscevamo, potrebbe essere: “Eretz Israel incontra il neo-ottomanesimo.” Il sottotitolo? “Una vittoria per l’Occidente e un colpo letale contro l’Asse della Resistenza.”

Ma, per citare una cultura pop americana ancora onnipresente, forse i gufi non sono quello che sembrano.

Cominciamo con la resa dell’ex presidente siriano Bashar al-Assad. Diplomatici qatarioti, in via ufficiosa, sostengono che Assad abbia tentato di negoziare un trasferimento di potere con l’opposizione armata, che nei giorni precedenti aveva lanciato una grande offensiva militare, partendo da Aleppo, per poi dirigersi rapidamente verso sud, passando per Hama e Homs, con l’obiettivo di raggiungere Damasco. Questo è ciò che è stato discusso in dettaglio tra Russia, Iran e Turchia a porte chiuse a Doha lo scorso fine settimana, durante l’ultimo respiro del moribondo “processo di Astana” per la demilitarizzazione della Siria.

La negoziazione per il trasferimento di potere è fallita. Per questo motivo, al-Assad è stato offerto asilo a Mosca dal presidente russo Vladimir Putin. Ciò spiega perché sia l’Iran che la Russia abbiano cambiato immediatamente la terminologia, ancora durante le discussioni a Doha, iniziando a riferirsi all’“opposizione legittima” per distinguere i riformisti non armati dagli estremisti armati che stavano devastando lo stato.

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov – il cui linguaggio del corpo esprimeva tutta la sua rabbia – ha dichiarato letteralmente: “Assad deve negoziare con l’opposizione legittima, quella presente nella lista dell’ONU.”

Molto importante: Lavrov non si riferiva a Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo salafita-jihadista, o al gruppo di mercenari jihadisti finanziato dall’Organizzazione Nazionale di Intelligence Turca (MIT), armato con fondi del Qatar e pienamente sostenuto dalla NATO e da Tel Aviv.

Ciò che è accaduto dopo il funerale a Doha è stato piuttosto nebuloso, suggerendo un colpo di stato telecomandato dall’intelligence occidentale, sviluppatosi con la rapidità di un fulmine, completo di rapporti su tradimenti interni.

L’idea originale di Astana era di mantenere Damasco al sicuro e affidare ad Ankara la gestione di HTS. Eppure Assad aveva già commesso un grave errore strategico, credendo alle promesse altisonanti della NATO trasmesse tramite i suoi nuovi amici leader arabi negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita.

Con suo grande stupore, secondo funzionari siriani e regionali, Assad ha infine realizzato quanto fosse fragile la sua posizione, avendo rifiutato l’assistenza militare dei suoi solidi alleati regionali, Iran e Hezbollah, confidando invece che i suoi nuovi alleati arabi potessero proteggerlo.

L’Esercito Arabo Siriano (SAA) era in condizioni disastrose dopo 13 anni di guerra e le implacabili sanzioni statunitensi. La logistica era preda di una corruzione deplorevole. Il degrado era sistemico. Tuttavia, sebbene molti fossero pronti a combattere ancora una volta contro i gruppi terroristici sostenuti dall’estero, gli addetti ai lavori affermano che Assad non abbia mai impiegato completamente il suo esercito per contrattaccare l’offensiva.

Teheran e Mosca hanno provato di tutto – fino all’ultimo minuto. Di fatto, Assad era già in gravi difficoltà dal momento della sua visita a Mosca il 29 novembre, che non aveva portato a risultati tangibili. L’establishment di Damasco ha quindi considerato l’insistenza della Russia sul fatto che Assad dovesse abbandonare le sue precedenti linee rosse nelle trattative per un accordo politico come un segnale de facto che indicava la fine.

Turchia: “Non abbiamo nulla a che fare con questo”

Oltre a non fare nulla per prevenire l’atrofia e il collasso crescente dell’Esercito Arabo Siriano (SAA), Assad non ha fatto nulla per frenare Israele, che ha bombardato la Siria senza sosta per anni.

Fino all’ultimo momento, Teheran era disposta ad aiutare: due brigate erano pronte a entrare in Siria, ma sarebbe servito almeno un paio di settimane per dispiegarle.

L’agenzia di stampa Fars News ha spiegato il meccanismo in dettaglio: dalla mancanza inesorabile di motivazione della leadership siriana nel combattere le brigate terroristiche, al fatto che Assad ha ignorato i seri avvertimenti della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei fin da giugno, fino a due mesi fa, quando altri funzionari iraniani avvertivano che HTS e i suoi sostenitori stranieri stavano preparando una blitzkrieg. Secondo gli iraniani:

“Dopo la caduta di Aleppo, è diventato chiaro che Assad non aveva reali intenzioni di restare al potere, così abbiamo iniziato colloqui diplomatici con l’opposizione e organizzato l’uscita sicura delle nostre truppe dalla Siria. Se l’SAA non combatte, nemmeno noi rischieremo la vita dei nostri soldati. Russia ed Emirati Arabi Uniti lo avevano convinto a dimettersi, quindi non c’era nulla che potessimo fare.”

Non ci sono conferme da parte russa sul fatto che abbiano convinto Assad a dimettersi: basta interpretare il fallito incontro a Mosca del 29 novembre. Tuttavia, in modo significativo, ci sono conferme precedenti sul fatto che la Turchia fosse a conoscenza di tutto l’attacco di HTS già sei mesi fa.

La versione di Ankara è prevedibilmente ambigua: HTS li ha informati dell’offensiva e ha chiesto loro di non intervenire. Inoltre, il Ministero degli Esteri turco ha sostenuto che il Presidente-Califfo Recep Tayyip Erdogan abbia cercato di avvertire Assad (da Damasco, nessuna conferma). Ankara, ufficialmente, tramite il Ministro degli Esteri Hakan Fidan, nega fermamente di aver orchestrato o approvato l’offensiva dei mercenari jihadisti. Potrebbero rimpiangere questa posizione, visto che tutti, da Washington a Tel Aviv, si stanno prendendo il merito della caduta di Damasco.

Solo la macchina propagandistica della NATO crede a questa versione, dato che HTS è stato per anni pienamente sostenuto non solo dalla Turchia, ma anche, in modo occulto, da Israele, che è stato smascherato per aver pagato gli stipendi agli estremisti durante la guerra siriana e per aver curato notoriamente i combattenti di Al-Qaeda feriti in battaglia.

Tutto questo porta allo scenario predominante di una demolizione controllata calcolata da CIA/MI6/Mossad, completa di un flusso continuo di armi, addestramento di takfiristi ucraini sull’uso di droni kamikaze FPV e valigette piene di contanti per corrompere alti funzionari siriani.

Nuovo Grande Gioco, versione aggiornata

Il collasso siriano potrebbe essere un classico caso di “estendere la Russia” – e anche l’Iran, per quanto riguarda il cruciale corridoio terrestre che lo collega ai suoi alleati nel Mediterraneo (i movimenti di resistenza libanese e palestinese). Senza contare il messaggio inviato alla Cina, che, nonostante la sua retorica sulla “comunità di un futuro condiviso”, non ha fatto assolutamente nulla per aiutare nella ricostruzione della Siria.

A livello geo-energetico, ora non ci sono più ostacoli alla risoluzione di una epica saga del Pipelineistan – una delle ragioni principali della guerra in Siria, come analizzai nove anni fa: costruire il gasdotto Qatar-Turchia attraverso il territorio siriano per fornire un’alternativa al gas russo in Europa. Assad aveva rifiutato quel progetto, e Doha aveva contribuito a finanziare la guerra in Siria per deporlo.

Non ci sono prove che i principali stati del Golfo Persico, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, accetteranno con entusiasmo la supremazia geoeconomica del Qatar se il gasdotto sarà costruito. Per cominciare, dovrebbe attraversare il territorio saudita, e Riyad potrebbe non essere più disposta ad accettarlo.

Questa domanda scottante si collega a una serie di altre domande, tra cui, con il varco siriano ormai chiuso: come riceverà Hezbollah i rifornimenti di armi in futuro, e come reagirà il mondo arabo al tentativo della Turchia di andare a pieno regime neo-ottomano?

Poi c’è il caso spinoso della Turchia, membro del BRICS, che entra in conflitto diretto con i principali membri BRICS come Russia, Cina e Iran. La nuova svolta di Ankara potrebbe persino portare al suo rigetto dai BRICS e al mancato riconoscimento di uno status commerciale favorevole da parte della Cina.

Sebbene si possa sostenere che perdere la Siria potrebbe essere devastante per la Russia e la Maggioranza Globale, meglio non correre a conclusioni – per ora. In caso di perdita del porto di Tartus, gestito dall’URSS-Russia dal 1971, insieme alla base aerea di Hmeimim – e quindi l’espulsione dal Mediterraneo orientale – Mosca avrebbe opzioni sostitutive, con diversi gradi di fattibilità.

Abbiamo l’Algeria (partner BRICS), l’Egitto (membro BRICS) e la Libia. Persino il Golfo Persico: questo, incidentalmente, potrebbe entrare a far parte del partenariato strategico globale Russia-Iran, che sarà ufficialmente firmato il 25 gennaio a Mosca da Putin e dal suo omologo iraniano, il presidente Masoud Pezeshkian.

È estremamente ingenuo pensare che Mosca sia stata colta di sorpresa dalla messa in scena di un presunto Kursk 2.0. Come se tutte le risorse di intelligence russa – basi, satelliti, agenti sul campo – non avessero monitorato per mesi un gruppo di salafiti-jihadisti che assemblava un esercito di decine di migliaia di uomini nella Grande Idlib, completa di una divisione corazzata.
Dunque, è molto plausibile che quello che si sta giocando sia il classico approccio russo, combinato con l’astuzia persiana. Non ci è voluto molto per Teheran e Mosca per calcolare cosa avrebbero perso – soprattutto in termini di risorse umane – cadendo nella trappola di sostenere un Assad già indebolito in un’altra sanguinosa e prolungata guerra terrestre. Eppure, Teheran ha offerto supporto militare, Mosca supporto aereo e scenari di negoziato fino all’ultimo.

Ora, l’intera tragedia siriana – compresa la possibile nascita di un Califfato di tutto il Levante guidato dal jihadista riformato e “inclusivo” Abu Mohammad al-Julani – ricade interamente sotto la responsabilità gestionale della combo NATO/Tel Aviv/Ankara.

Semplicemente, non sono preparati a navigare nella ultra-complessa matrice siriana fatta di tribù, clan e corruzione, senza contare i 37 gruppi terroristici finora tenuti insieme solo dalla piccola colla dell’odio verso Assad. Questo vulcano esploderà certamente nelle loro facce, potenzialmente sotto forma di orribili battaglie interne che potrebbero durare almeno qualche anno.

La Siria nord-orientale e orientale sono già, istantaneamente, sprofondate nel caos totale, con una moltitudine di tribù locali intenzionate a mantenere i loro schemi mafiosi a tutti i costi, rifiutandosi di essere controllate da un composto US-curdo di Rojava, largamente comunista e secolare. Alcune di queste tribù si stanno già avvicinando ai salafiti-jihadisti sostenuti dai turchi. Altre tribù arabe quest’anno si erano alleate con Damasco contro sia gli estremisti che i secessionisti curdi.

La Siria occidentale potrebbe diventare anch’essa territorio anarchico, come Idlib: sanguinose rivalità tra reti terroristiche e banditesche, tra clan, tribù, gruppi etnici e religiosi regimentati da Assad, in un panorama ancora più complesso di quello della Libia sotto l’ex presidente Muammar Gheddafi.

Quanto alle linee di rifornimento dei tagliatori di teste, inevitabilmente si allungheranno – e allora sarà facile tagliarle, non solo da parte dell’Iran, ma anche dall’ala NATO tramite Turchia/Israele, quando si rivolteranno contro il Califfato, come invariabilmente faranno se gli abusi di quest’ultimo diventeranno troppo evidenti mediaticamente.

Nessuno può prevedere cosa accadrà alla carcassa della Siria dinastica di Assad. Milioni di rifugiati potrebbero tornare, specialmente dalla Turchia, dove Washington ha cercato per anni di impedirlo per proteggere il suo progetto di “curdificazione” nel nord; ma, allo stesso tempo, milioni fuggiranno, terrorizzati dalla prospettiva di un nuovo Califfato e di una rinnovata guerra civile.

C’è un possibile spiraglio di luce in tanto buio? Il leader del governo di transizione sarà Mohammad al-Bashir, che fino a poco tempo fa era primo ministro del cosiddetto Governo di Salvezza Siriano (SSG) nella Idlib controllata da HTS. Ingegnere elettrico di formazione, Bashir ha aggiunto un ulteriore titolo al suo curriculum nel 2021: Sharia e diritto.

Perdere la Siria non dovrebbe significare perdere la Palestina

La Maggioranza Globale potrebbe essere in lutto per quello che, in superficie, sembra essere un colpo quasi mortale contro l’Asse della Resistenza. Tuttavia, non c’è modo che Russia, Iran, Iraq – e persino la Cina, per ora silenziosa – permettano a un esercito proxy salafita-jihadista sostenuto da NATO, Israele e Turchia di prevalere. A differenza dell’Occidente collettivo, essi sono più intelligenti, più tenaci, infinitamente più pazienti, e considerano le linee generali del Grande Quadro che si delinea all’orizzonte. È troppo presto per dichiarare una sconfitta; prima o poi inizieranno a muoversi per impedire che il jihadismo sostenuto dall’Occidente si riversi su Pechino, Teheran e Mosca.

L’agenzia di intelligence estera russa Sluzhba Vneshney Razvedki (SVR) ora deve monitorare 24 ore su 24 quale sarà la prossima destinazione della grande brigata salafita-jihadista transcontinentale in Siria, composta in prevalenza da uzbeki, uiguri, tagiki e qualche ceceno. Non c’è dubbio che saranno utilizzati per “estendere” (termine del gergo dei think tank americani) l’instabilità non solo in Asia Centrale ma anche nella Federazione Russa.

Nel frattempo, Israele sarà sovraccarico nelle Alture del Golan. Gli americani si sentiranno temporaneamente sicuri e protetti attorno ai giacimenti petroliferi da cui continueranno a rubare il petrolio siriano. Queste due aree rappresentano latitudini ideali per l’inizio di quella che potrebbe essere la prima rappresaglia concertata dei BRICS contro coloro che stanno scatenando la Prima Guerra dei BRICS.

La tragedia definitiva: la Palestina

Un colpo di scena massiccio ha avuto luogo proprio all’interno della venerabile moschea degli Omayyadi a Damasco. L’esercito di tagliatori di teste sponsorizzato da NATO, Israele e Turchia sta ora promettendo ai palestinesi che arriveranno per liberare Gaza e Gerusalemme.

Eppure, fino a domenica scorsa, lo slogan era: “Amiamo Israele.” Il regista di questa operazione di PR – progettata per ingannare il mondo musulmano e la Maggioranza Globale – non è altri che il Califfo del Levante in persona, Julani.

Nella situazione attuale, il nuovo regime a Damasco sarà, per tutti gli scopi pratici, sostenuto da coloro che appoggiano e progettano l’Eretz Israel e il genocidio della Palestina. È già evidente, come dichiarato dagli stessi funzionari del governo israeliano: Tel Aviv preferirebbe espellere la popolazione di Gaza e della Cisgiordania in Siria, anche se la Giordania rimane la loro destinazione preferita.

Questa è la battaglia su cui concentrarsi d’ora in avanti. Il defunto segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, era categorico quando insisteva sul significato profondo della perdita della Siria: “La Palestina sarebbe persa.” Ora più che mai, spetta a una Resistenza Globale assicurarsi che ciò non accada.

***