Cattolici e politica: quali valori difendere? Di Stefano Fontana
Il 16 gennaio 2020, il Centro Culturale Pier Giorgio Frassati di Correggio (Reggio Emilia), ha organizzato un incontro pubblico in vista delle elezioni regionali in Emilia Romagna previste per il 26 gennaio successivo, tenutosi presso l’Albergo Ai Medaglioni con notevole partecipazione di pubblico. Dopo un saluto della Presidente del Centro Frassati, prof.ssa Fernanda Foroni, e una efficace introduzione ai lavori del prof. Filippo Chizzoni, vicepresidente del Frassati, c’è stata la relazione di Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Card. Van Thuân, dal titolo “Cattolici e politica: quali valori difendere?”, seguita da una notevole discussione con i presenti.
Pubblichiamo il testo completo della relazione di Stefano Fontana.
Questo incontro avviene in prossimità delle elezioni regionali in Emilia Romagna. Ogni uomo cerca una coerenza nella propria vita. Anche per i cattolici è così. Il voto alle elezioni può apparire in fondo poca cosa, si tratta solo di una crocetta su un simbolo. Però in quell’atto sintetico, la persona, e quindi anche il cattolico, condensa la sua esperienza e la sua visione della politica. Egli sa che quella crocetta rimane inadeguata rispetto alle esigenze della politica, la quale nella cabina non ci sta tutta, ma sa anche che con quell’atto egli impegna a fondo se stesso – si impegna moralmente e religiosamente – ed è consapevole che sulla base di quanto quell’atto esprime egli si comporterà poi in seguito, appunto per un motivo di coerenza. Ogni crocetta è la sintesi di un percorso, ma è anche un impegno per il futuro.
La coerenza del cattolico
Anche il cattolico cerca quindi coerenza. Sono innumerevoli i passi dei documenti della Chiesa che impongono questa ricerca come un dovere. Mi limito a citare la Nota Ratzinger del 2002: “La coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali della fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti”. Coerenza, quindi, ma con cosa? Il passo ora visto parla di coerenza morale e di coerenza con la fede. Alla coerenza con la morale ci pensa la retta ragione e alla coerenza con la fede la dottrina della fede. Allora il cattolico che vuole coerenza deve mettere in relazione il suo voto con ciò che gli dice la ragione naturale circa il bene politico, ossia con i principi del diritto naturale, e con ciò che gli dice la rivelazione sempre a proposito bene politico. In questa ricerca di coerenza da dove dovrà egli partire? Dalle esigenze emergenti dalla situazione dell’Emilia Romagna o dalla dottrina della fede? Contrariamente a quanto si pensa oggi nella Chiesa, egli non dovrà partire dai bisogni politici dell’Emilia Romagna, per interrogare a partire da essi la retta ragione e la dottrina della fede, ma dovrà fare il percorso inverso. Alla luce della dottrina della fede e tramite le verità della retta ragione, egli dovrà valutare i bisogni dell’Emilia Romagna. Un simile percorso viene di solito accusato di essere deduttivo e lontano dalla realtà, dalla quale invece si dovrebbe partire. Ma se si guarda all’Emilia Romagna alla luce della dottrina della fede e della retta ragione si potranno notare bisogni ben più profondi che non partendo dalla sua situazione. Infatti da quelle due fonti emergono i fini, in base ai quali valutare e gerarchizzare i bisogni. Se si parte dai bisogni politici della regione, lasciando in secondo piano i due criteri della retta ragione e della dottrina della fede, si finirà per adattare queste due a dei bisogni politici assunti senza criterio. Il criterio deve precedere e non seguire le scelte e le valutazioni.
Il posto della democrazia nella visione cattolica
Il cattolico che parte dai bisogni, ossia da ciò che deve essere illuminato anziché dalla luce che deve illuminarlo, può considerare come prioritari bisogni politici che invece non lo sono. Vorrei fare due esempi di stretta attualità.
La democrazia, come invece spesso si dice, non può essere il criterio di giudizio principale per un cattolico. La presenza politica dei cattolici non ha come fine la democrazia, soprattutto se si usa la parola senza ulteriori chiarimenti. Il fine della politica è il bene comune e non la democrazia. La democrazia è uno strumento per governare le scelte politiche che è legittimo se ordinato al bene comune, altrimenti diventa illegittimo come tutti gli altri strumenti. L’accettazione della democrazia nei documenti della Dottrina sociale della Chiesa è subordinata a talmente tanti paletti e vincoli da escludere, per esempio, che quella dell’Emilia Romagna sia vera democrazia. Come ha scritto Giovanni Paolo II in “Varcare la soglia della speranza”, la Chiesa è ben lontana da battezzare la democrazia.
Vorrei aggiungere di striscio, perché il tema meriterebbe ben altro spazio, che anche la Carta fondante la nostra democrazia, ossia la Carta costituzionale, non può essere criterio e fine ultimo della vita politica del cattolico. Il costituzionalismo come principale criterio politico va rifiutato. La nostra Carta non ha valore assoluto, anche essa deve rendere conto a qualcosa che la precede, non tutta la sua impostazione è giusta, anch’essa può e forse deve essere cambiata. Inoltre i tutti questi anni essa è stata stravolta dalle sentenze della Corte costituzionale a seguito dei mutamenti politici, sicché appellarsi alla Carta come ad un salvagente democratico è sempre più improponibile. I criteri per i cattolici in politica devono essere trovati altrove.
Il posto della partecipazione nella visione cattolica
Un altro esempio è la partecipazione. Sembra che il primo dovere dei cattolici sia di andare a votare, indipendentemente da come venga esercitato poi il voto. Ogni voto sarebbe quindi buono. Ma la partecipazione non ha la propria ragion d’essere in se stessa bensì, come ogni azione umana, nel fine. Se si votano forze politiche che sostengono programmi ingiusti e dannosi, sarebbe meglio che la partecipazione non ci fosse. Molto spesso, nelle urne elettorali o in quelle parlamentari, i cattolici hanno sostenuto col voto forze politiche dai programmi disumani e anticristiani: ebbene, sarebbe stato meglio che non avessero partecipato al voto, evitando di contribuire a creare danni molto gravi. Per dirla con le parole del cardinale Newman: “Hanno sostenuto uomini che rappresentavano ufficialmente principi anticristiani, e hanno collaborato con essi. Tutto ciò che appariva loro come una riforma e un miglioramento delle attuali condizioni di vita, essi l’hanno approvato e difeso, anche quando, nell’applicazione di tali riforme, dovevano commettere qualche ingiustizia… Essi hanno sacrificato la verità all’opportunismo”. Errori di questo genere ne abbiamo fatti già troppi. Richiamare al dovere del voto in quanto tale è quindi non solo insufficiente ma sbagliato. Se tutti i partiti in lizza presentassero programmi contro i principi della legge morale naturale, sarebbe doveroso non andare a votare. Non si deve infatti fare il male, nemmeno per fare un bene, figuriamoci quando è solo e certamente male.
La gerarchia dei contenuti
Dagli esempi ora visti – la democrazia e la partecipazione – emerge che il cattolico non deve mai accontentarsi del come, ma deve incentrarsi sempre sul cosa. Condivisione …di cosa? Camminare insieme … per dove? Andare a votare … a favore di chi e di cosa? Ciò che conta sono i contenuti in quanto sono ordinati ai fini. Ora, rimanendo sui contenuti, la politica, anche quella regionale, ne tocca molti. Bisogna allora distinguerli di livello. Ce ne sono di più importanti e di meno importanti. Ce ne sono di assoluti e di relativi. Non è vero che la politica si occupa solo del relativo, essa intercetta anche questioni decisive e assolute.
Chiediamoci per esempio: come criterio di voto è più importante il contenuto della famiglia o quello dell’accoglienza degli immigrati? Quale dei due mettiamo al primo posto? Le due questioni si collocano a livelli diversi. La famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e aperta alla vita è un contenuto della politica avente carattere assoluto in quanto essenzialmente connesso col bene comune. Ciò vuol dire che non ci può essere bene comune senza famiglia naturale e non c’è modo di fare delle politiche anti-familiari nel rispetto del bene comune. Una politica contro la famiglia naturale non è ordinabile in nessun modo e per nessun motivo al bene comune. Dato che la politica ha come fine il bene comune, qui la politica si suicida. Non si tratta più di politica ma di altro. Invece, l’accoglienza degli immigrati può essere fatta in molti modi diversi senza con ciò contraddire il bene comune, anzi, una politica di accoglienza indiscriminata troverebbe proprio nel principio del bene comune una decisa e sostanziale opposizione. Il tema della famiglia ha oggi anche un interessante corollario, ossia l’importanza fondamentale e strategica di politiche nataliste.
Contenuti in relazione essenziale col bene comune
Toccando il tema della famiglia, sono stato costretto a ricordare un contenuto dell’attività politica che si distingue da altri in quanto indica in modo unico ed essenziale un rapporto mai eludibile col bene comune. So che non è più di moda fare riferimento a questi contenuti, la cui negazione non è mai ordinabile al bene comune e quindi non ammettono eccezioni o scuse, ma ritengo di non potermi astenere dal farlo. La famiglia, la vita e la libertà di educazione non possono in alcun modo venire paragonati ad altri contenuti della attività politica, quindi rimangono il criterio principe di valutazione, anche alle elezioni qui in Emilia Romagna. Qualcuno può obiettare che su questi principi nessun partito offre una completa garanzia. A questo proposito occorre procedere tenendo conto della presenza o meno nel programma di politiche esplicitamente contrarie a quei principi; secondariamente alla cultura e alla storia di quel partito, ossia se l’opposizione a quei principi deriva dal suo dna culturale e se storicamente ha già dato prove in questo senso, quindi bisogna esaminare la persona candidata. Ci sono partiti che, una volta al potere, sicuramente faranno politiche anti-familiari perché le hanno sempre fatte e perché derivano dalla loro visione dell’uomo, della morale e della società. Teniamo presente che perduta la famiglia, perduto il rispetto per la vita e perduta la libertà di educare abbiamo perduto tutto, senza possibilità di ripresa successiva. Perché avremo perduto i tre pilastri di un ordine naturale che non è a noi disponibile, garanzia della nostra vera libertà, ossia della possibilità di criticare il potere e di contestare il sistema non per motivi soggettivi ma per esigenze di verità. Tolti questi tre principi non potremmo più chiamare niente con gli aggettivi “vero” e “buono”. Senza l’indisponibile tutto è disponibile e la società è un carcere insopportabile.
La valutazione del partito e del candidato
Un punto di notevole interesse nel voto è se dare maggiore attenzione alla persona o al partito. Bisogna dare più attenzione al partito, alla sua cultura, alla sua storia perché, se è sbagliata, comunque il singolo eletto vi contribuirà anche se dissenziente su qualche punto. Questo criterio vale anche per il candidato cattolico. Dato il pluralismo esistente oggi nella Chiesa, proporsi alle elezioni come cattolico non dice più nulla. Come già ricordato sopra, gli eletti cattolici hanno votato di tutto, anche le cose peggiori producendo non solo danni ma anche confusione delle menti, perché se un non credente vota una legge contro la vita o la famiglia è un conto, se la vota un credente è un altro. Non fidarsi del candidato cattolico in quanto sedicente cattolico. In questo momento noi abbiamo un cattolico alla Presidenza della Repubblica, una Cattolica alla Presidenza della Corte Costituzionale e un cattolico alla Presidenza del Consiglio ma non ci sentiamo per nulla tranquilli. Bisogna analizzare sempre i contenuti, del partito prima e poi del candidato. La stessa cosa vale per il candidato, cattolico o meno, ritenuto “onesto” e votato per questo.
Un ulteriore aspetto da tenere presente in sede di valutazione elettorale è la differenza tra la creazione di una legge e l’attuazione di una politica. Ammettiamo da un lato un partito che abbia già dato prova di aver votato leggi contrarie ai contenuti fondamentali visti sopra, cosa chiaramente avvenuta anche in Emilia Romagna. Ammettiamo dall’altro un partito che abbia fatto delle politiche di trascuratezza di quei contenuti, per esempio impiegando risorse per altri motivi meno importanti. Le due responsabilità non sono equivalenti. Una legge, infatti, dura nel tempo, crea comportamenti duraturi e mentalità ed è difficile da togliere una volta entrata in vigore. Una politica può provocare dei danni nell’immediato, ma può essere corretta.
Alcuni problematici slogan elettorali del momento
Andare ai contenuti, e quindi ai fini, con riferimento al diritto naturale e al diritto divino, utilizzare correttamente la Dottrina sociale della Chiesa: questo è quanto si deve fare anche in occasione di elezioni. A questo scopo serve un discernimento concettuale e valoriale dei principali slogan politici del momento, suadenti e accattivanti se intesi in modo superficiale, da criticare o addirittura da rifiutare se approfonditi nei loro veri contenuti. È questo il caso del tema dell’Europa e di quello ambientalista. Questi argomenti vengono proposti, come direbbe ancora Newman, “con l’eleganza e le raffinatezze della civiltà”, per cui chi se ne tirasse fuori sembrerebbe un volgare zoticone. Non dobbiamo appiattirci sui principi di una “religione mondana” e su ogni “legge pubblica di igiene” – è ancora Newman che parla. L’Unione Europea da un lato, la Madre Terra dall’altro, un anonimo Umanesimo Globalista dall’altra ancora, ossia i tre pilastri di questa “religione mondana” che “ha preso l’abitudine di fare a meno dell’eternità” e vuole trasformare il cristianesimo in “una signora che porta la minestra agli indigenti” (Graham Greene), non possono diventare i criteri fondamentali del nostro ragionare pubblico. L’attuale Unione Europea non ha più niente a che fare con il progetto originario ed è abusivo continuare a presentarla come tale. L’emergenza ecologica – tutta da provare e comunque da inquadrare in modo non ideologico – non è affrontabile se non considerando la natura frutto della creazione, guardandola quindi dal di fuori e dal di sopra e non, idolatricamente, dal di dentro. Il dialogo e l’educazione mondiali non possono fondarsi su un generico minimo comune denominatore, su un umanesimo universalistico e globalista cui tutte le religioni dovrebbero contribuire, quasi unificandosi in un’unica – ripeto l’espressione usata sopra – “religione mondana”. Indicare ai cattolici questi tre criteri per valutare i programma elettorali – europeismo, ecologismo, globalismo – è senz’altro educatamente raffinato, gradevolmente corretto, convenientemente aggiornato, così in linea con Greta Thunberg, con i compiaciuti resoconti del TG1, con le giornate mondiali dell’ONU, con il sorriso benpensante di Fabio Fazio, con le attese del presidente Mattarella… ma ha poco a che fare sia con la retta ragione sia con la dottrina della fede.
Oggi riscontriamo anche un altro aspetto di questa “religione mondana”: l’invito a non usare parole ostili, a non alzare i toni, ad essere sobri e ragionevoli, colloquianti e rispettosi. Anche questo è proposto come criterio di valutazione di cui tenere conto nella cabina elettorale. Apparentemente la proposta suona bene agli orecchi dei cattolici, ma nello stesso tempo sa di regime e re4prime come tracotante qualsiasi voce dissonante. Difficile intervenire pubblicamente contro i “nuovi diritti” senza essere accusati di linguaggio ostile. Difficile ricordare delle verità senza essere accusati di intolleranza. Molti cattolici si adeguano e adottano la neo-lingua imposta e anche loro chiamano l’aborto “salute riproduttiva” e l’utero in affitto “gestazione solidale”, ma altri cattolici vogliono far valere i diritti della verità anche nel linguaggio.
Due percorsi di prospettiva
Questa sera parliamo del voto dei cattolici in Emilia Romagna. Ma ormai i cattolici sono pochi, dispersi, divisi e spesso inconsapevoli di sé. Di fronte a questo panorama e davanti all’appuntamento elettorale occorre chiedersi quale di queste due strade percorrere. La prima è di cercare di fare delle proposte politiche capaci di intercettare le varie anime del cattolicesimo di oggi. Ne stanno nascendo anche in questo periodo. In questo modo però si rischia di costruire un accordo al ribasso, di eliminare gli aspetti più caratterizzanti perché non condivisi da tutti, di guadagnare in orizzontalità ma di perdere in verticalità: una presenza riformista, di centro, moderata, equilibrata, arrotondata, di valori accettabili, di buoni propositi, di compensazione e mai di rottura. L’altra strada è invece di non cercare più larghe intese, nemmeno dentro il mondo cattolico, ma di recuperare in profondità e verticalità quanto ci caratterizza e, con questo bagaglio molto netto nelle distinzioni, entrare nei gruppi politici che permettano una accettabile agibilità. Una simile strategia è anti-concordista, perché oggi il concordismo, ossia la volontà di procedere concordi ad ogni costo, implica compromessi troppo forti, la messa in ombra di elementi troppo importanti sia della retta ragione che della dottrina della fede, un eccessivo adeguamento al mondo il quale “invece di farci dei doni, si appresta a toglierci quel che credevamo di amare più della nostra fede” (Graham Greene).
Stefano Fontana