Venerdì scorso, gli Stati Uniti hanno annunciato di aver inserito la nuova formazione Hayyat Tahrir al-Sham (HTS) nella lista delle formazioni terroristiche. La coalizione jihadista è composta dal gruppo Jabhat al-Nusra e altri gruppi di opposizione tra i quali Harakat Nour Al-Din Al-Zenki godevano di sostegno degli Stati Uniti. Va da sé che gli USA designando il gruppo Tahrir al-Sham che è il più grande ‘gruppo di opposizione’ in Siria, come gruppo terroristico, hanno dato un duro colpo a quella che è inopinatamente considerata dalla Comunità Internazionale, ‘opposizione siriana’.
La dichiarazione è avvenuta quasi in contemporanea con il sanguinoso attentato di sabato nella città vecchia di Damasco, dove due attentatori suicidi si sono fatti esplodere causando la morte di 40 pellegrini sciiti ed il ferimento di altri 140. Tutti viaggiavano in autobus alla volta della necropoli di Bab al-Saghir. Le Nazioni Unite hanno condannato l’attentato rivendicato dal gruppo Tahrir al-Sham.
E’ da notare il gruppo Nour Al-Din Al-Zenki, appena designato come gruppo terroristico, fa parte integrante delle forze filo-turche impegnate con le forze regolari turche nell’operazione Eufrate Shield in Siria. Vedremo adesso come si comporterà la Turchia che si trova già in forte difficoltà nelle relazioni con Stati Uniti, con l’Unione Europea e con la Russia; nonché con i più diretti vicini Grecia ed Armenia.
Per giunta, nei giorni scorsi, nella valle dell’Eufrate a Manbij, le milizie filo-turche di ‘Eufrate Shield’, hanno ripetutamente attaccato le forze regolari dell’esercito siriano e le forze (a maggioranza curda) del Syrian Democratic Force (SDF), queste ultime alleate con gli Stati Uniti. L’evidenza, è che la presenza turca in terra siriana più che essere giustificata dall’interesse comune di sconfiggere lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) sia solo il mezzo per mettere in atto i propri interessi egemonici nell’area e nello stesso tempo, ottenere il massimo vantaggio dagli alleati russi e americani.
L’agenda che si era prefissata Ankara è chiara: dopo aver liberato da ISIS al Abab avrebbero voluto proseguire verso Manbij, prendere possesso della zona scacciando i curdi di SDF e poi proseguire verso l’Eufrate (che dista 30 Km da Manbij). Tuttavia, i piani turchi sono saltati a causa della fulminea avanzata dell’esercito arabo siriano (SAA) che coadiuvato dalle forze aeree russe, ha anticipato l’avanzata turca: in pochi giorni SAA ha liberato dai terroristi dell’ISIS tutta la zona che va da Manbij fino alla sponda ovest dell’Eufrate (in tutto ad oggi più di 92 villaggi per un totale di quasi 500 chilometri quadrati di territorio). Questa azione era oltremodo necessaria non solo per prevenire le forze turche ma anche per arrivare alle stazioni di pompaggio di acqua potabile di Hafsa e ripristinare l’afflusso idrico ad Aleppo (interrotto dai terroristi dal 23 dicembre).
Così, almeno per il momento, l’avanzata di Ankara in territorio siriano, è stata interrotta dall’esercito siriano. Ma non solo: alcune mezzi blindati USA hanno raggiunto rapidamente Manbji e si sono interposte a 10 Km dalle forze turche. Per giunta, il Consiglio militare di Manbij presieduto da SDF ha anche chiesto aiuto ad SAA ed ai russi, che ora presidiano alcune località più a sud rispetto alle posizioni americane. Così le forze turche, a meno che non scelgano uno scontro diretto con gli USA, con la Russia e con l’esercito siriano, sono impossibilitate a proseguire.
La situazione è diventata così tesa da indurre per la prima volta, ufficiali turchi, statunitensi e russi ad incontrasi il 7 marzo ad Antalya (Turchia) in quello che per il suo genere è stato ‘il primo vertice tripartito’. Al meeting ha preso parte il capo di stato maggiore turco generale gen. Hulusi Akar, il capo di stato maggiore degli Stati Uniti generale Joseph Dunford e il capo di stato maggiore russo generale Valery Gerasimov.
L’incontro di Antalya sembra aver avuto come scopo più una funzione “deconflicting” operativa che la volontà di allinearsi alle posizioni turche. La possibilità di un coordinamento è comunque ancora aperta ma visto il comportamento dei turchi nei confronti dei curdi, la situazione rimane conflittuale.
Comunque la diplomazia va avanti: la settimana è stata densa di incontri tutti concentrati sulla Siria. Giovedì 9 marzo, il premier israeliano Netanyahu ha incontrato a Mosca il presidente russo Putin con cui ha discusso la presenza iraniana in Siria che Tel Aviv considera problematica . Netanyahu ha detto chiaramente che Israele non tollererà una presenza militare permanente in territorio siriano. Benché la Russia abbia rassicurato che agirà da garante nei confronti di Israele, evidentemente non è stato sufficiente: gli Stati Uniti per lenire le preoccupazioni israeliane (condivise con i paesi del Golfo che hanno alimentato la crisi a lungo termine), hanno deciso di aumentare il proprio contingente militare a nord della Siria.
Così alle truppe americane già arrivate in Siria la settimana scorsa (dotate di una batteria di artiglieria con obici da 155 millimetri M777) si aggiungeranno presto i 2.500 uomini della 82^ brigata aerotrasportata di stanza in Kuwait. La presenza americana servirà evidentemente a spezzare la continuità territoriale dell’asse Iran-Iraq-Siria ma è anche necessaria per fornire supporto alle forze SDF che non sono in grado da sole di liberare Raqqa. Infine, non per ultimo, una rafforzata presenza militare statunitense assolverà anche l’urgente funzione di ulteriore “moral suasion” nei confronti di Ankara.
Comunque dopo Netanyahu, a Mosca gli incontri sono proseguiti: venerdì 10 marzo Putin ha incontrato il premier turco Erdogan. L’incontro è stato un come un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: nella conferenza stampa finale il presidente russo si è detto ‘animato di cauto ottimismo’ ma anche detto che permangono ‘grandi contraddizioni’ da parte della Turchia in Siria.
Stupisce che in questo contesto di grave violazione del diritto internazionale e dei principi basilari di umanità, alcune ore dopo la dichiarazione di Putin l’agenzia di stampa turca Andolu ha riferito che Ankara si aspetta che la Russia manifesti “una posizione più coerente in materia di terroristi curdi nella zona di Manbij”: non si capisce perché la Russia dovrebbe considerare ‘terroriste’ le forze curde che combattono ISIS in Siria quando tale posizione è coerente con quella del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e (per una volta) anche con la posizione americana.
Patrizio Ricci – © Riproduzione Riservata Il Sussidiario