da online international newpaper
Quando dietro le sbarre un uomo ritrova la sua dignità si può solo cercare di capire il miracolo che si sta compiendo. Nel carcere le persone vivono come in un deserto, tra la solitudine e i silenzi della cella è difficile trovare lo spazio per la speranza; in un luogo dove si è ogni giorno faccia a faccia con il proprio errore è spesso arduo guardare al futuro se non come ad una condanna spietata. Eppure a Padova nella casa di reclusione “Due Palazzi” da 25 anni si lavora per garantire ai detenuti un servizio di reinserimento nella società, che è prima di tutto l’offerta di una seconda chance. Questo accade perché c’è chi, come Nicola Boscoletto presidente dell’Officina Giotto, ha creduto in un progetto che guarda all’uomo non per quello che ha fatto, ma per quello che può diventare. E’ la seconda possibilità a cui tutti aneliamo quando ci scopriamo deboli.
La cooperativa nasce alla fine degli anni Ottanta da un gruppo di giovani laureati in Scienze agrarie e forestali in gara per un appalto sulla manutenzione dei parchi pubblici che non si sbloccava mai. L’idea rivoluzionaria è stata quella di trasformare i destinatari dell’intervento in protagonisti. I detenuti infatti, dopo un corso di giardinaggio, hanno iniziato a ripulire le zone verdi del carcere inserendo nella loro giornata un’attività che li aiutasse a uscire dalla cella e che ha permesso loro di imparare un mestiere.
Sì perché quando entri dentro una cella vieni marchiato per sempre, quelle mura si trasformano in un continuo specchio sul tuo passato e se rimani solo è quasi impossibile rialzarsi. Il riscatto che i detenuti di Padova hanno conosciuto nasce dalla fiducia di poter imparare un mestiere, dalle amicizie che nelle ore in laboratorio insieme si rafforzano in legami fraterni e che l’esperienza lavorativa trasforma donando loro rispetto e dignità, prima di tutto per se stessi e di conseguenza verso gli altri carcerati. Come racconta Zhang di 29 anni che in seguito a reati gravi è entrato in prigione nel 2005, da Belluno è stato spostato a Padova e qui ha iniziato a lavorare con la cooperativa: “E’ stato un cambiamento radicale. Mi sento un’altra persona, un uomo nuovo, più maturo, capace di autonomia. Mi piacerebbe raccontare la gratitudine per quello che ho ricevuto. Anche in un posto grigio come il carcere si può ricevere molto amore.” Uno schiaffo per chi pensa alla galera come luogo dove uccidere la speranza di una vita migliore.
Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Giotto che dal 1991 è a stretto contatto con questa realtà spiega: “In questi anni ho potuto vedere la cosa più bella che può capitare nella vita: la possibilità per un uomo di cambiare. Io ne sono testimone, tanta gente è rinata. È stupendo quando un padre e una madre ritrovano il loro figlio perduto, non c’è niente di più bello. Come dice Papa Francesco ‘solo il lavoro dà dignità’ e questo noi lo sperimentiamo ogni giorno”.
Nicola è orgoglioso del suo lavoro e nel raccontarsi si intuisce l’entusiasmo di chi crede che la vita può ricominciare là dove pesa una condanna all’ergastolo, dove l’uomo sembra non avere più il diritto di sognare: “Quando poi scopri che i panettoni sono fatti in un carcere da mani che una volta sono state cattive, allora lì ti stupisci. Ti accorgi che qualsiasi uomo, in qualsiasi parte del mondo, qualsiasi cosa abbia commesso può cambiare”. Nel silenzio di tutti i giorni c’è chi lavora per costruire una nazione civile e capace di restituire dignità a chi l’ha perduta.
partecipa alla petizione per chè riparta il lavoro nelle carceri:
"Ero in #carcere e siete venuti a visitarmi"(Mt 7,7): ripropongo la petizione sul ripristino del lavoro in carcere
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