In movimento: “Quando guarderemo in faccia la realtà”?

Propongo la riflessione dalla pagina Facebook “In Movimento”, su una posizione umanamente equilibrata sulle migrazioni e la speculazione in atto su questo problema; quest’ultima spesso per terzi fini o come pretesto per uno scontro ideologico, anche tra cattolici .

Vietato Parlare

[su_heading style=”modern-1-blue” size=”25″]Pensare di accogliere proponendo il tedio è disumano[/su_heading]

Accogliere non può limitarsi a salvare dal mare senza alcuna proposta per la vita, è un modo disonesto di stare di fronte al dramma di un continente

Viene da domandarsi quando si potrà finalmente affrontare l’argomento migranti senza attacchi reciproci e faziosi. Che il problema esista è un dato oggettivo, che l’UE abbia finora risposto in maniera inadeguata pure, che i problemi irrisolti crescano è un’evidenza, quindi qualcosa nello status quo va cambiato.

Secondo il Documento di Economia e Finanza del 2017 per i migranti l’Italia spende 4,7 miliardi di euro, di cui 3,5 per la sola accoglienza, che assorbe il 68,8 per cento del budget complessivo.
Il costo giornaliero per ciascun migrante è di 35 euro, oltre ad una ricarica telefonica da 15 euro una tantum. Se l’assistito è un minorenne non accompagnato, il rimborso statale arriva a 45 euro giornalieri.
Di questi solo 2,5 € sono di pocket money e vanno al singolo assistito per le piccole spese personali.
Molti aiuti per abbassare i costi dell’accoglienza arrivano da enti benefici, soprattutto cibo e vestiti.

Le persone che approdano nel nostro paese fanno tutte richiesta di asilo, anche quelle che sanno di non averne i requisiti, in questo modo parte per loro l’iter burocratico di esame della richiesta, che ha durata più o meno biennale, durante la quale i richiedenti entrano in programmi di accoglienza. In tutto questo lungo periodo possono essere assistiti, ma difficilmente possono lavorare, in quanto è complicato far loro un contratto di lavoro. Soltanto su base volontaria possono accettare di partecipare a progetti di lavori di pubblica utilità. Per loro inoltre si prevedono corsi di lingua italiana, ma senza vincolo di risultato.

Non potendo lavorare e avendo a disposizione solo due euro al giorno, la scelta che spesso si profila è attendere e sperare nell’improbabile asilo, poiché oltre il 70% sono migranti economici, e dopo due anni darsi alla clandestinità, oppure tentare la fortuna subito, lavorando in nero o inserendosi in canali illeciti o ancora provando la fuga verso altri paesi, magari con un welfare migliore e maggiori opportunità lavorative.

Pensare di accogliere proponendo il tedio è davvero disumano.
Non c’è una formula risolutiva, si può plaudere ad una singola iniziativa, ma non esultare come se ci fosse ad ogni cambio di politica un deus ex machina con la soluzione definitiva. La complessità del fenomeno richiede interventi a tutti i livelli, da quello comunale al sovranazionale, strategie geopolitiche e soluzioni giuridiche, azioni in ambito economico come in quello della sicurezza.

Alcuni segnali fanno ben sperare.
Certo formulare qualche ipotesi di intervento si può, ma con la consapevolezza della sproporzione tra il dramma umano e gli strumenti a disposizione. Magari si potrebbe distribuire il budget per migrante in maniera più incentivante, per esempio riducendo la quota che va alle strutture ospitanti e prevedere una parte come rimborso per le attività socialmente utili che venissero svolte dagli ospiti. Questo stimolerebbe i tanti giovani nel fiore degli anni a darsi da fare, renderebbe più dignitoso il loro soggiorno, più accettata la loro presenza nelle piccole comunità, che ne trarrebbero beneficio.

L’incentivo economico al lavoro, che non si configurerebbe come una vera e propria retribuzione lavorativa, darebbe loro un piccolo margine di guadagno per vedere almeno in parte realizzato, dopo tanti sforzi e sofferenze, il progetto di benessere che sta dietro l’investimento iniziale di cui spesso la famiglia d’origine si fa carico, creando nei giovani migranti un grave fardello morale, e che impedisce loro di tornare a casa da sconfitti.

Forse si potrebbe legalizzare la presenza dei migranti a condizioni più flessibili, per ridurre il tasso di clandestinità, da cui in genere non tornano indietro, con implicazioni per la sicurezza e la legalità. Si potrebbero prevedere corsi di formazione che li avviino ad un’auto-imprenditorialità eventualmente spendibile anche nel paese d’origine, se mai il permesso di restare in Italia non arrivasse.

Di proposte migliorative se ne possono fare molte, l’importante è che al centro ci sia l’uomo. Accogliere non può limitarsi a salvare dal mare senza alcuna proposta per la vita, è un modo disonesto di stare di fronte al dramma di un continente.
Sì, perché pensare di accogliere l’Africa non è utopistico, è folle.

Quindi resta aperta la domanda sul perché non si sposta mai l’attenzione sulle cause della partenza di tanti giovani in cerca di un futuro migliore, migranti economici prede facili di trafficanti di esseri umani che vendono illusioni in cambio di denaro.

Alcuni stati africani sono arretrati per un sottosviluppo che ha cause endogene ed esogene. La scarsa capacità imprenditoriale non è sempre legata ad un fattore culturale, che innegabilmente c’è. La connivenza politica di alcuni Stati europei con i governi corrotti locali alimenta la mancanza di autonomia nella gestione delle risorse di cui sono ricchi.

Alcuni stati come Francia, inoltre, godono ancora di percentuali di guadagno sulle estrazioni delle ex colonie. Si potrebbe almeno mettere a tema nei consessi europei che questo genere di introiti siano considerati illegittimi o che siano obbligatoriamente reinvestiti nello stato africano e non messi a bilancio di uno stato europeo.

Sempre la Francia addirittura controlla la politica monetaria di oltre una dozzina di ex colonie africane, che costituiscono la cosiddetta zona franco, nella quale le banche centrali sono controllate dalla Banque de France e dal Tesoro francese, che ne decidono l’emissione monetaria e il tasso di cambio con l’euro. Come se non bastasse al controllo economico-finanzairio si affianca pure la presenza di basi militari.

Difficile quindi limitarsi ad affrontare il fenomeno migratorio solo in termini di spartizione dei flussi, come se il meccanismo che sottende lo sviluppo dell’Africa non potesse essere rimesso in discussione.

Quando ero bambina si vedevano spesso in TV servizi sulle popolazioni denutrite dell’Africa, soprattutto bambini, e ricordo il senso di colpa che ne derivava nelle nostre giovani coscienze. Oggi quell’Africa, che pure esiste ancora, malgrado decenni di aiuti, di cui dovremmo domandarci la finalità e l’efficacia, non si vede quasi più nei media, se non negli spot pubblicitari miliardari di qualche organizzazione di beneficienza, e anche questo qualche interrogativo lo pone.

Lo stereotipo dell’africano nell’immaginario collettivo di oggi è un giovane uomo aitante, che affronta un viaggio rocambolesco per ritrovarsi in un centro di accoglienza e poi smistato in un hotel a oziare o a chiedere una moneta davanti ai supermercati. E noi di fronte al suo dramma? Accoglienza o non accoglienza, questo è il problema, e la nostra coscienza è a posto, sembra basti scaricare la questione sulla politica pro o contro l’UE. Ma ci poniamo le giuste domande? La nostra capacità critica si attiva fino in fondo? O restiamo fermi alla superficie propagandistica?

Qualcosa non torna. Neanche la Chiesa sembra farsi carico di spostare l’attenzione sulle cause delle migrazioni. I vescovi africani si adoperano per contrastare la partenza dei loro giovani, che sono le energie più valide della società, altrimenti si toglie a questi popoli la speranza e la possibilità di crescere. Un’accoglienza indiscriminata alimenta la falsa idea di un eldorado europeo.

Se un ragazzo qualunque riesce a mettersi in contatto con organizzazioni criminali che organizzano questi lunghi viaggi, non sarà così difficile individuare chi li gestisce. Magari con i governanti locali si potrebbero fare accordi di incentivi allo sviluppo locale in cambio di legalità nei flussi di persone. Si possono certo creare ulteriori hotspot, senza far finta che non esistano già e che hanno dato finora risultati modesti rispetto ai flussi complessivi.

Questo perché i migranti sono per la maggior parte economici, mentre gli hotspot servono a verificare le richieste di asilo per motivi politici o umanitari. Altra causa di migrazione sono i conflitti, ma è un altro vasto capitolo e su questo fronte in quanto ad atteggiamenti da struzzo tutti hanno dato il meglio di sé.

Il puzzle delle soluzioni può comporsi, ma è bene andare a fondo sul perché manchi la volontà.

(Elena Fruganti)

pubblicato su:https://www.tempi.it/pensare-di-accogliere-proponendo-il-tedio-e-disumano#.WykyXKczaUm

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