di Patrizio Ricci
La pesca di frodo danneggia lo Sri Lanka per 50 milioni di dollari. Le centinaia pescatori indiani che hanno sconfinato nelle acque dello stretto tra la penisola di Jaffna (Sri Lanka) e la regione indiana del Tamil Nadu (India) nella migliore delle ipotesi mostrano una cicatrice, nella peggiore sono stati catturati o uccisi. Sembra un bollettino di guerra: 400 pescatori indiani ammazzati, 2000 feriti e 90 dispersi. In media nell’ultimo anno è stato ucciso un pescatore indiano ogni 15 giorni. E’ il bilancio della dura reazione della marina cingalese verso le violazioni delle proprie acque costiere. Lo Sri Lanka non persegue la pesca tradizionale ma la pesca intensiva, la pesca industriale con le reti a strascico. Questo tipo di pesca, praticata fino al 1980, sebbene abbia portato in breve tempo lucrosi profitti, ha causato il progressivo impoverimento dei fondali e il danneggiamento irreversibile dell’ecosistema marino.
Tuttavia, mentre lo Sri Lanka ha fatto fronte al problema impedendo la pesca intensiva con controlli più restrittivi, le autorità indiane si sono sottomesse alle potenti lobby dei pescatori imponendo il divieto solo a parole e hanno lasciato correre. Così i pescatori indiani, nonostante il rischio di incappare nella temibile marina cingalese, attraversano la linea di confine e raggiungono le più pescose acque di Delft Island, Karainagar, Point Pedro e Pesalai e altri luoghi della costa ma anche il Pakistan, spingendosi sino alle Maldive, dove spesso sono arrestati. E’ una lotta per la sopravvivenza e i pescatori cingalesi stessi, vedendosi defraudare la principale risorsa di sussistenza, attaccano di frequente i pescatori indiani, anche con armi ed esplosivo. Spesso, come per un indennizzo, li derubano di tutto il pescato e di ogni cosa che trovano a bordo.
La settimana stessa dell’arresto dei nostri due marò è accaduto che dei pescatori cingalesi hanno addirittura catturato 18 pescherecci indiani (compresi i 136 membri degli equipaggi) sorpresi a pescare nelle loro acque; sono stati poi consegnati alle autorità e sono ora ancora detenuti a Jaffna (Sri Lanka), in attesa di processo.
Dal governo indiano non è stato messo in atto nessun efficace intervento, né per far cessare gli sconfinamenti, né per ottenere dalle risposte meno aggressive e sproporzionate. Per questo l’opinione pubblica nazionale definisce il premier Singh un primo ministro debole, perché non riesce a evitare che i pescatori indiani siano uccisi. Al momento quindi dell’arresto dei due marò italiani, 2 milioni di pescatori del Kerala erano già furiosi con il proprio governo per il lassismo da tempo dimostrato.
Dopo tutte queste considerazioni, viene naturalmente da pensare. L’equipaggio del St. Antony era di ritorno dal ‘punto buono’ per la pesca ai tonni che è situato nella zona a ridosso del confine marittimo con lo Sri Lanka. Da lì era tornato stranamente con il peschereccio vuoto, dopo 4 giorni di pesca. Si può avanzare il fondato sospetto che i nostri marò non abbiano sparato contro il peschereccio St. Antony, ma che contro di esso forse hanno sparato altri? D’altra parte, gli incidenti denunciati sono così frequenti che la polizia indiana archivia subito casi simili, non riuscendo più a indagare. Oppure se così non fosse, si può legittimamente supporre che il governo del Kerala abbia trovato finalmente un modo formidabile per placare gli animi accesi da centinaia di uccisioni mai punite e mostrare di fronte ai propri cittadini la risolutezza che non ha avuto finora? In quest’ultimo caso si spera almeno che, trascorse le elezioni, si torni a ragionare.
Content retrieved from: http://www.lplnews24.com/2012/03/india-larresto-dei-maro-italiani.html.