Per la prima volta nella storia delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, Pechino starebbe considerando di inviare un alto funzionario per partecipare all’insediamento di Donald Trump. Tradizionalmente, il ruolo dell’ambasciatore cinese bastava a rappresentare il Paese in occasioni simili, ma questa mossa suggerisce che la posta in gioco è ora più alta. Tra i nomi circolati spiccano il vicepresidente Han Zheng, il ministro degli Esteri Wang Yi e Cai Qi, uno dei membri più fidati del Politburo e confidente stretto di Xi Jinping.
Questa decisione, senza precedenti, evidenzia il desiderio di Pechino di ridefinire il rapporto con Trump in un momento cruciale della politica globale. La scelta del rappresentante sarà di per sé un messaggio: Wang Yi, noto per il suo pragmatismo, potrebbe segnalare un approccio diplomatico, mentre Cai Qi, uomo di fiducia di Xi, sarebbe un chiaro simbolo di un impegno strategico e personale.
Un alleato di alto livello di Xi all’insediamento di Trump?
La Cina potrebbe sfruttare il ritorno di Trump per bypassare i globalisti neoliberisti e avviare un dialogo diretto con l’agenda “America First”. Una strategia che mira a tutelare i propri interessi, come il progetto Belt and Road, e a contenere le manovre di accerchiamento statunitense. Questa non è solo una cerimonia: è una dichiarazione. In un mondo che si muove verso la multipolarità, la presenza cinese al giuramento di Trump potrebbe segnare simbolicamente l’inizio di una nuova fase. La Cina si posiziona non come avversario, ma come interlocutore pragmatico in grado di leggere i cambiamenti globali.
E l’Italia?
Mentre Pechino si muove strategicamente, l’Italia sembra paralizzata, intrappolata in un immobilismo che rischia di farle perdere opportunità cruciali.
Gli ultimi governi italiani hanno mostrato una confusione strategica evidente. Da un lato, leader come Salvini, un tempo fautore di politiche sovraniste e di avvicinamento alla Russia, hanno abbracciato posizioni in netto contrasto con la propria retorica iniziale, rinnegando una pluralità di principi in nome di un realismo che si è rivelato più che altro sottomissione ai dettami dell’UE e della NATO. Dall’altro lato, il precedente governo Draghi ha incarnato una perfetta rappresentazione della tecnocrazia: nessun mandato popolare, ma totale allineamento a Bruxelles e Washington.
Un cambio di rotta mancato
Paesi come l’Ungheria, la Slovacchia e l’Austria hanno saputo adottare posizioni nette e riconoscibili, preservando margini di autonomia e ottenendo benefici concreti per le proprie economie. L’Italia, invece, sembra incapace di assumere una direzione chiara. La recente decisione di rifiutare la Belt and Road Initiative, senza però contrattare contropartite significative, è un esempio lampante di questa miopia strategica. Dove sono le ambizioni sovraniste che avrebbero dovuto caratterizzare l’attuale governo? E dove è la capacità di cogliere le opportunità offerte da un contesto internazionale in rapido cambiamento?
Una visione strategica necessaria
In un recente commento, Elon Musk ha criticato quasi tutti i leader europei, risparmiando Giorgia Meloni. Questo gesto potrebbe rappresentare una sorta di credito politico per l’Italia. Tuttavia, la nostra premier saprà sfruttare questa apertura? Saprà ispirarsi alla pragmatica Cina o persino ai piccoli stati come la Slovacchia, capaci di capitalizzare la propria posizione in modo intelligente?
Sinora stiamo osservando che essa è pericolosamente in bilico tra due alternative, Biden e Trump, che presentano approcci diversi soprattutto sulla guerra in Ucraina e sulle politiche economiche e sociali. Di fatto, a distanza di pochi giorni dall’insediamento di Trump, Meloni non ha ancora fatto una sola dichiarazione pubblica in rottura con le precedenti affermazioni, dove la Russia deve essere sconfitta e la colpa è da addossare esclusivamente a Mosca.
Ad esempio, durante un incontro a Palazzo Chigi con il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky il 9 gennaio 2025, Giorgia Meloni ha ribadito con forza il suo sostegno all’Ucraina: “L’Italia assicura e continuerà ad assicurare il proprio sostegno a 360 gradi alla legittima difesa dell’Ucraina e al popolo ucraino, per mettere Kiev nelle migliori condizioni possibili per costruire una pace giusta e duratura” (fonte: www.governo.it). Queste sono le stesse parole di Zelensky e, certamente, non quelle di Trump che ha più recentemente detto :
TRUMP: “La Russia ha qualcuno proprio sulla sua porta di casa, e posso comprendere i loro sentimenti a riguardo. Questa guerra potrebbe peggiorare molto più di quanto non sia già ora.
Un grande problema è stato che la Russia, per molti, moltissimi anni, ben prima di Putin, ha sempre affermato che l’Ucraina non avrebbe mai dovuto far parte della NATO. È una posizione che hanno ribadito come fosse scolpita nella pietra. Tuttavia, a un certo punto, Biden ha detto che l’Ucraina dovrebbe avere la possibilità di entrare nella NATO. E allora, la Russia si è trovata qualcuno proprio sulla sua porta di casa. Posso capire come si siano sentiti, ma ci sono stati molti errori fatti in quelle negoziazioni.
Quando ho sentito come Biden stava conducendo le trattative, ho pensato: “Finirete per scatenare una guerra”. Ed è venuto fuori che si trattava di una guerra molto brutta, che potrebbe ulteriormente degenerare e diventare ancora peggiore di quanto sia ora”.
Anche solo con questo elemento si capisce bene la differenza di posizione. Il problema è che su questa posizione si gioca molto, e il tema della guerra è centrale. Questa è una grande guerra, con centinaia di migliaia di morti, feriti e distruzione. Ma proprio su questo punto l’Italia mantiene una posizione irragionevole e, anche con l’imminenza della presidenza di Trump, rimane come congelata. La sua leadership mostra sorrisi, ma usa lo stesso linguaggio e gli stessi giudizi di Biden, che Trump critica duramente.
Come sono conciliabili queste due posizioni? Non sono conciliabili.
Senza una presa di posizione netta, una posizione di sovranità fondata sulla dignità – perché solo nella verità risiede la dignità – e senza una strategia chiara, rischiamo di rimanere spettatori passivi di un mondo che si evolve verso il multipolarismo. Ci limiteremmo ad accettare, e persino a considerarci soddisfatti, di pacche sulle spalle e gesti simbolici da parte di chi, in realtà, detta le regole del gioco. L’Italia non può più permettersi di oscillare tra alleanze superficiali, dove risulta del tutto subordinata a causa della mancanza di una politica estera autonoma, e retoriche vuote. È necessario che il governo Meloni vada oltre le apparenze, riconquistando un ruolo attivo, autorevole e rispettabile sulla scena internazionale.
E’ urgente riscoprire una leadership autenticamente sovrana
Mentre la Cina si muove con lucidità strategica e paesi più piccoli ma più decisi ottengono risultati concreti, l’Italia deve abbandonare l’immobilismo. È necessario riscoprire il valore di una leadership autenticamente sovrana, capace di costruire alleanze basate su interessi concreti e guardare anche altrove, pur mantenendo le alleanze occidentali. Altrimenti, rischiamo di restare perennemente in bilico, incapaci di decidere il nostro futuro in un mondo che si sta già trasformando.
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